Love’s Twisting Path
di Sadao Nakajima
Presentato nella retrospettiva The Tyger Burns del 49 International Film Festival Rotterdam, Love’s Twisting Path è un classico film di samurai che vede il ritorno dietro la macchina da presa di Sadao Nakajima, autore chiave nella storia del cinema di genere nipponico.
Bellezza e tristezza
Kyoto, fine epoca Edo. Tajūrō Kiyokawa ha lasciato il suo feudo e vive da rōnin in ritiro, sbarcando il lunario. Otoyo, ragazza che gestisce un’izakaya, prova sentimenti per lui. Un giorno il fratellastro più giovane di Tajūrō, Kazuma arriva a Kyoto, credendo che Tajūrō faccia parte delle forze contro lo shogunato. Tajūrō viene catturato dalla pattuglia cittadina. [sinossi]
Si può dire che Sadao Nakajima rappresenti la storia stessa del cinema di genere giapponese, dei popolari chanbara, i film di cappa e spada, e degli yakuza eiga, i film di gangster. Nakajima ha incrociato agli inizi della sua carriera, a fine anni Cinquanta, Masahiro Makino, uno dei padri fondatori del cinema giapponese, di cui è stato aiuto regista. La carriera di Nakajima comprende una sessantina di opere realizzate in seno alla Toei, dal 1964 fino a quando, nel 1998 dopo aver realizzato Yakuza Ladies: Decision, decide di ritirarsi per dedicarsi all’insegnamento alla Osaka University of Arts.
Love’s Twisting Path, presentato nella retrospettiva The Tyger Burns del 49 IFFR rappresenta quindi un ripensamento, un ritorno sulle scene dell’ottantaquatrenne cineasta portandosi dietro uno dei suoi alunni, Kumakiri Kazuyoshi, come aiuto regista. La storia di Love’s Twisting Path riflette proprio questa condizione dell’attività artistica del regista, un samurai in ritiro, che ha da tempo appeso al chiodo la katana, si trova nelle condizioni di tornare a fare lo spadaccino, rinverdendo la vecchia gloria e mostrando ancora la sua grinta da leone e un’abilità che non è poi così arrugginita. La sua katana in effetti, spesso inquadrata in primo piano, è tutt’altro che scintillante come vorrebbe l’iconografia del genere, bensì è parecchio consumata, scheggiata e graffiata. In una battuta iniziale si fa riferimento a un evento storico, la morte, avvenuta da poco, di Sakamoto Ryōma, il condottiero che aveva combattuto contro lo shogunato, su cui Nakajima aveva anche realizzato un biopic poco prima del suo ritiro. Dopo un po’ si sentiranno i gridi di Ee ja nai ka, il motto dei movimenti di protesta.
Per un regista che ha realizzato molti film storici, si tratta di enunciare subito in che epoca ci troviamo, quella del Bakumatsu, degli scontri interni, gli ultimi sgoccioli dello shogunato Tokugawa e dell’epoca storica che ne ha preso il nome. Dopo pochi anni verrà avviata la Restaurazione Meiji, il paese uscirà dalla sua epoca feudale, entrando nella modernità e aprendosi all’Occidente, e la classe dei samurai verrà abolita. Seguendo il filone diffuso nel cinema di samurai degli ultimi decenni, opera di grandi registi come Ōshima, il cui Tabù – Gohatto ha dato il via alla rinascita del genere, o Yōji Yamada, il jidaigeki, il film di ambientazione storica, si concentra su questa precisa e delicata fase storica del paese, cogliendone il clima di decadenza, la fase del tramonto dell’epoca dei samurai. Il chanbara, il genere di cappa e spada, è crepuscolare, proprio come lo è stato il western. Parlare di un’epoca nella sua fase terminale sembra essere l’unico modo di cogliere quel pathos che è proprio di un filone cinematografico una volta popolarissimo e ora in fase di revival.
Sadao Nakajima svolge il compito in maniera filologicamente impeccabile, costruendo un film che segue in tutto e per tutto i dettami dei classici film di samurai e dedicandolo a Daisuke Itō, un altro dei grandi padri del jidaigeki. Ci sono i temi della lealtà e dell’onore, del dovere e del sentimento declinati in quella fase storica dove i punti di riferimento stavano saltando. A chi dovrebbe essere fedele un samurai? Allo shogunato Tokugawa o all’Imperatore? Nakajima traccia anche un affresco di quell’epoca Edo ormai agli sgoccioli, della sua fioritura artistica, del mondo fluttuante. Così Tajūrō, rōnin disoccupato in una lunga epoca di pace, si dedica all’arte, alla pittura e alla calligrafia. Lo vediamo ritrarre un gruppo di iris, il fiore simbolo delle stampe di ukiyo-e, trasmesso poi con il giapponismo a van Gogh. Lo vediamo dipingere un altro fiore sulla schiena della ragazza in un scena che ricorda molto quella iconica di Kenji Mizoguchi di Utamaro e le sue cinque mogli, film proprio dedicato al grande artista di epoca Edo.
Le immagini della natura, i fiori, i bambù, i frutti, con la loro valenza simbolica, come tipico in quella corrente artistica, si susseguono nel film. L’esibizione di una pistola anticipa un periodo in cui le scintillanti katana diventeranno obsolete con il predominio delle armi da fuoco. Ma per ora tutto il film ossequia quel tipico rumore del clangore delle spade giapponesi, il tripudio di quell’onomatopea chan chan bara bara che ha dato il nome al genere. Abbondano le scene di addestramento all’arte della spada, nei dojo, a sottolineare anche la correttezza filologica con cui Nakajima, a sua volta ora un insegnante di cinema, mette in scena duelli e combattimenti.
L’ultima parte del film ancora riecheggia i tanti finali del cinema classico di genere, si pensi ai chanbara del muto di Buntarō Futagawa o di Masahiro Makino o a quelli in technicolor di Kenji Misumi. L’eroe solo contro tutti, assalito da un esercito infinito di spadaccini che fa cadere come birilli, ma ne spuntano sempre di nuovi. E alla fine il samurai eroe finirà inesorabilmente per cadere, ma cadrà in piedi dopo essersi difeso fino all’ultimo barlume di energia. Così è per Tajūrō che termina la sua ritrovata carriera imbrigliato dalle corde della pattuglia dello shoghunato. Una peculiarità della cultura giapponese, impensabile nel cinema occidentale dove l’happy end deve essere garantito e l’eroe deve comunque vincere. È quella nobiltà nella, e della, sconfitta, come definita dal grande nipponista Ivan Morris, intrinseca nella storia del Giappone.
Info
La scheda di Love’s Twisting Path sul sito dell’International Film Festival Rotterdam
- Genere: drammatico, jidai-geki
- Titolo originale: Tajūrō jun'ai-ki
- Paese/Anno: Giappone | 2018
- Regia: Sadao Nakajima
- Sceneggiatura: Sadao Nakajima
- Fotografia: Yoshito Asakura
- Montaggio: Kengo Kora, Ryo Kimura, Tabe Mikako
- Interpreti: Kengo Kora, Mikako Tabe, Ryō Kimura
- Colonna sonora: Kazuki Kuriyama
- Produzione: Thefool
- Durata: 94'