Il sorpasso

Il sorpasso

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Il sorpasso è il film che per primo raffigura senza edulcorazioni lo schianto cui sta andando incontro l’Italia ancora presa dalla sbornia del boom economico. Una curva dopo l’altra, sempre più veloci, in una sfida contro il tempo che è sfida contro lo spazio sociale, in quell’Aurelia apparentemente infinita che è il moderno, quel non luogo impossibile da superare, pena la caduta nell’orrido. Il capolavoro di Dino Risi è anche però uno dei primi titoli a tentare una dialettica compiuta e stratificata tra le classi sociali, e le loro aspirazioni inevitabilmente mancate.

Ma nun gore ‘sta maghina?

È Ferragosto, Roma è una città deserta. Bruno, un quarantenne ossessionato dalla furia del vivere e spaventato dalla vecchiaia, convince un timido studente universitario a passare la giornata di festa sulla sua macchina, in viaggio lungo l’Aurelia. [sinossi]

Il sorpasso nascosto è quello che il film di Dino Risi, tra i punti di svolta fondamentali del cinema italiano (insieme a La dolce vita e L’avventura), compie su se stesso. La prima sequenza, dopo i titoli di testa che introducono sia il personaggio di Bruno che la sua automobile Lancia Aurelia B24 nel deserto cittadino di Roma, si svolge in via Proba Petronia, alla Balduina. È qui infatti che si trova l’appartamento di Roberto. Il primo campo controcampo che vede protagonisti i due – che per la maggior parte del film saranno inevitabilmente compresi nella stessa inquadratura, uno accanto all’altro sui sedili anteriori della macchina – è a suo modo falso: al piano medio di Vittorio Gassman, che si sta abbeverando a una fontanella, risponde un campo lungo in cui si vede Roberto alla finestra. Ma quello alla finestra non è Roberto, bensì la sua controfigura. Quando iniziarono le riprese de Il sorpasso, infatti, Risi non aveva ancora trovato il co-protagonista del film, e sapeva solo che lo voleva biondo, esile, dal viso pulito. La scelta sarebbe dunque caduta poi su Jean-Louis Trintignant – che ammise di aver sempre pensato al film durante la lavorazione come a una tragedia, al punto da stupirsi delle numerose risate che coinvolgevano il pubblico nelle prime proiezioni pubbliche – anche per la sua figura, così simile alla controfigura. In quest’incipit c’è anche un altro “errore”, che permette al film da subito di smarcarsi dalla pura e semplice rappresentazione del reale. Nonostante sia evidente come il palazzo in cui vive Roberto si trovi davanti a uno spiazzo erboso, quando il ragazzo vede una donna sul balcone dei vicini questa è proprio di fronte alla sua finestra. Di nuovo un campo-controcampo fittizio, palesemente falso. Risi fa del montaggio la tecnica per elaborare il verismo, trasformarlo in sguardo antropologico, e ancor più in lettura psicanalitica dei suoi due personaggi. In un cinema che aveva subito il boom economico, rischiando di dimenticare la preziosa lezione neorealista, Risi allarga la visuale, cambia la prospettiva, ridefinisce i codici tanto del linguaggio quanto della geografia umana e politica, la morfologia di un territorio italiano che deve finalmente essere attraversato, dopo esser stato immortalato. La cristallizzazione non è più l’atto in grado di cogliere una società in sommovimento tutt’altro che sano. Ecco dunque l’automobile, la meccanica che permette all’uomo di spostarsi fisicamente restando padrone del proprio spazio. Proprietario dello spazio.

Quell’Aurelia su cui si muove la Lancia Aurelia (ripetizione tutt’altro che ridondante) è il non-spazio reale, la lunga fettuccia di terra che lega luoghi tra loro ignoti, in una successione sempre identica di svolte, rettilinei, e nuovi tornanti. La strada è un non-luogo, uno spazio liminare in cui i personaggi si agitano, come su un nastro di Moebius che non ha inizio e non ha fine. Dopotutto anche il tempo in cui si svolgono le divertenti e tristissime vicende de Il sorpasso è fuori dai canoni: Ferragosto, il giorno in cui tutti abbandonano la città per raggiungere il mare. Ferragosto, dove ogni scherzo vale più ancora che a Carnevale. Ferragosto, che tanta parte avrà nell’immaginario cinematografico italiano. Anche Roberto si lascia convincere ad abbandonare le sudate carte per l’ipotesi del viaggio, dello spostamento senza meta (c’è in realtà, ed è Castiglioncello, nel livornese, ma potrebbe benissimo essere espunta dal racconto senza problemi); è il primo dirazzamento dal suo essere piccolo-borghese, da quella classe sociale che lo connota più d’ogni altra cosa, più dei suoi studi, più del suo acume, più della sua cultura, più del suo innamoramento per la compagna d’università Valeria. Risi è il primo regista a tentare una dialettica compiuta e stratificata tra le classi sociali, muovendosi in aperta controtendenza rispetto a un cinema che s’irrigidiva nel momento della rappresentazione: in scena o c’è la borghesia o il proletariato, o i nuovi ricchi del boom o il sottoproletario che vive alla giornata. Invece ne Il sorpasso due classi sociali e due tipologie umane non solo si trovano faccia a faccia, ma viaggiano una accanto all’altra. L’immagine si fa sempre frontale, quasi bidimensionale: Bruno e Roberto sono ripresi davanti, con lo sfondo che si fa sempre più piccino, o alle spalle, con lo specchietto retrovisore che permette in ogni caso di osservare i loro sguardi, i loro ammiccamenti. Il fuori campo è l’immensa massa di cemento e lamiere che attraversa l’Italia fingendo di unire una nazione in realtà incasellata in classi, in vasi tra loro non comunicanti.

L’incomunicabilità antonioniana è dopotutto al centro anche di uno dei dialoghi più celebri, con Bruno che confida a Roberto: «A me Modugno mi piace sempre, questo “Uomo in frac” me fa impazzi’, perché pare ‘na cosa de niente e invece c’è tutto: la solitudine, l’incomunicabilità, poi quell’altra cosa, quella che va di moda oggi… la… l’alienazione, come nei film di Antonioni. Hai visto “L’eclisse”? Io c’ho dormito, ‘na bella pennichella… Bel regista Antonioni, c’ha una Flaminia Zagato. Una volta sulla fettuccia de Terracina m’ha fatto allungà il collo». L’alienazione e la capacità di condividerla o meno, ma poi il ritorno inevitabile al materiale, con il ricordo della macchina di Antonioni e della loro breve disfida ideale sulle strade. Un mondo sempre in sfida, quello dell’Italia del boom, impegnato in uno sfoggio di forza tutta virile che si esaurisce in un’accelerazione, nell’eiaculazione precoce del sorpasso, la pallida imitazione della gara della vita, qui però esclusa dalla possibilità di un arrivo, di una bandiera a scacchi. Raro esempio di road-movie italiano, Il sorpasso è il disperato tentativo di un personaggio, e con lui di un Paese, di resistere all’avanzare del tempo: arriveranno automobili più veloci, e si verrà sorpassati, e quindi lasciati sullo sfondo senza più possibilità di ripresa. L’uomo in frac muore suicida, ma nella velocità imperante non c’è spazio per un gesto simile, perché c’è sempre un’automobile davanti da dover rincorrere. In un ciclo infinito. Ma a Risi questo non basta. Perché Roberto è altrettanto fallimentare, incapace di dare un seguito coerente nelle azioni a ciò che pensa (lo sottolinea l’uso illuminato della voce interiore), immaturo nella sua sfera erotica e dunque sociale. La vera sfida al sorpasso, come si comprende poco per volta, non è quella della Lancia alle altre macchine incontrate sulla strada, ma è quella tra Roberto e Bruno. Entrambi sconfitti, o prossimi alla sconfitta, entrambi attratti e allo stesso tempo in duello con l’altro: Risi non li giudica mai, il suo sguardo – e con lui quello degli sceneggiatori Maccari e Scola – è esplorativo, a tratti partecipe, sempre in grado di assecondare le loro sensazioni. Rifuggendo tanto la farsa quanto il pietismo Risi inventa nei fatti un nuovo modo di intendere la commedia, in parte già sperimentata l’anno precedente in Una vita difficile, con cui sembra quasi costruire un dittico ideale.

Ma se in quel film era ancora possibile, grazie alla memoria fertile della lotta partigiana – sulle cui vicende si apriva la narrazione, destinata poi ad articolarsi per oltre un decennio – la culla di una speranza per il futuro, ora quella speme è destinata a essere riposta per sempre nel cassetto. La guerra, il referendum tra monarchia e repubblica, i primi anni Cinquanta: elementi storicizzabili, leggibili in una funzione evolutiva della Storia. Il sorpasso si svolge in un’unica giornata o poco più, per quanto esemplificativa, perché il tempo è finito: si è sprofondati una volta per tutti nella dittatura dell’oggi, del contemporaneo senza più evoluzione o involuzione. Un unico tempo sempre uguale a se stesso, quello del progresso, e dunque del sorpasso. Un tempo tragico, finto eppure accettato senza problemi come vero da un mondo capitalista che non ha più armi da opporre alla tecnologia, alla meccanica. Il sorpasso è il film che per primo raffigura senza edulcorazioni lo schianto cui sta andando incontro l’Italia ancora presa dalla sbornia del boom economico. Una curva dopo l’altra, sempre più veloci, in una sfida contro il tempo che è sfida contro lo spazio sociale, in quell’Aurelia apparentemente infinita che è il moderno, quel non luogo impossibile da superare, pena la caduta nell’orrido. Senza nessuno che si ricordi neanche il nome del defunto.

Info
I titoli di testa de Il sorpasso.

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