A Tunnel
di Nino Orjonikidze, Vano Arsenishvili
Film trionfatore, con la Genziana d’oro, al 68° Trento Film Festival, A Tunnel è un documentario georgiano dei registi Nino Orjonikidze e Vano Arsenishvili, che porta a conoscenza di un conflitto ambientale, quello relativo alla realizzazione di un tunnel ferroviario, in una zona rurale, cui si oppongono le popolazioni locali che non vogliono che il proprio territorio venga snaturato e deturpato. Una storia che si ripete ma che in questo caso ha per protagonista il capitalismo rampante della nuova Cina.
Le montagne hanno gli occhi
Si lavora duramente per costruire una ferrovia nei pressi di un remoto villaggio di montagna georgiano. Quando sarà completata, di qui passerà la nuova “Via della seta” ferroviaria. Ma affinché questo collegamento ad alta velocità tra Cina ed Europa sia operativo, bisogna scavare un tunnel, che passa proprio sotto una montagna dove gli abitanti del villaggio hanno i loro campi e pascoli. Vengono promessi prosperità e progresso, ma nell’atmosfera sognante di questo villaggio uscito da una fiaba, l’arrivo del treno sembra più un incubo. Sullo sfondo di splendidi e placidi scenari, i problemi di lingua e comunicazione tra lavoratori georgiani e cinesi provocano litigi feroci e sfociano in un teso sciopero, riflettendo perfettamente l’atmosfera surreale di un ordine mondiale in trasformazione. [sinossi]
Le montagne sembrano avere degli occhi, nel paesaggio della regione dell’Imerezia nella Georgia, in corrispondenza dei centri abitati di Zvare e Moliti. È l’immagine simbolo del documentario A Tunnel di Nino Orjonikidze e Vano Arsenishvili, il film che si è aggiudicato la Genziana d’oro al 68° Trento Film Festival. Quello che appare un occhio è in realtà lo sbocco della traforazione di una montagna per la realizzazione di un tunnel ferroviario, parte di un progetto faraonico di collegamento nell’ambito della cosiddetta Via della seta. A Tunnel è il resoconto di un conflitto ambientale che segue tutti i classici cliché di questo tipo, storie che abbiamo visto tante volte anche dalle nostre parti. Da un lato le ragioni del progresso che poggia su nuove infrastrutture viarie – a volte effettivamente utili per il trasporto di persone e merci ma il più delle volte semplicemente pretestuose, risultato di un bisogno fittizio creato ad arte da privati che hanno come obiettivo il proprio business piuttosto che le reali esigenze di movimenti della popolazione –, dall’altro le popolazioni locali che si oppongono, vedendosi espropriate del proprio territorio, che hanno costruito, mantenuto, gestito nel corso di generazioni, che verrà snaturato, cancellato, inquinato.
I registi raccontano questo villaggio tranquillo e premoderno, che i suoi abitanti vedono popolato di elfi, dove il trenino locale attraversa il paese e, al passaggio a livello stazionano i carri trainati da cavalli o buoi, e le rotaie sono oltrepassate spesso da mucche o capre, dove un’anziana donna ci conduce a vedere un quanto mai fatiscente edificio scolastico, dove negli interni delle case, che potrebbero essere espropriate e rase al suolo da un momento all’altro senza quasi preavviso, possono campeggiare tanto ritratti di Stalin quanto di Cristo o le icone russe. Poco importa, l’antimodernismo assume qualsiasi forma e c’è anche chi esalta lo zar Nicola II che ha fatto costruire la stazione, quella sì un’opera utile e di bellezza architettonica.
Sotto i ciliegi in fiore, tra galline che razzolano per i prati, si consuma una lotta tra un conservatorismo e un capitalismo cieco, tra una società che nutre amore per il proprio territorio che tutela e cura diligentemente e una pomposa idea di opera faraonica di una civiltà che ha costruito la Grande muraglia e la diga delle Tre gole, e che qui vorrebbe realizzare il terzo tunnel più lungo del mondo. E in questo contesto la lotta assume anche la forma di una barbara soppressione dei diritti dei lavoratori – ci scappano anche le morti bianche – attuata con spregio, che si cimentano naturalmente e spontaneamente in una primordiale lotta sindacale.
Quello che Nino Orjonikidze e Vano Arsenishvili scientemente non vogliono fare è essere analitici, è prendere in considerazione ogni analisi dei costi e dei benefici dell’opera quanto del film stesso. E ancora escludono del tutto le ragioni eventuali di una controparte. Sono solo demandate a filmati promozionali pomposi, dove dirigenti georgiani e cinesi si abbracciano trionfalmente. Raccontare i cinesi, le persone, avrebbe potuto dare qualche risultato interessante, come dimostra un film che parte da premesse analoghe, Days of Cannibalism di Teboho Edkins. Quello che interessa loro è fotografare un territorio in via di trasformazione e degrado, dove le ragioni degli ultimi non vengono prese in considerazione. Un territorio in mutazione come quello catturato da Antonioni come quel distributore di benzina in Il grido. Un territorio dove gli animali selvatici stanno scomparendo, dove si evoca un orso forse immaginario che ha aggredito il capostazione. E la terra sprofonda, come effetto del vuoto che si è creato di sotto. I cinesi rimangono fuori campo, sono nel profondo del sottosuolo a scavare. Vediamo solo un interprete, di cui i lavoratori non si fidano, che fa da portavoce dei padroni. Vediamo poi i cinesi in una breve inquadratura rubata, da lontano, di cui in realtà loro si accorgono ma non prestandoci molta importanza.
I conflitti sono anche nelle culture alimentari e un procedimento penale è in procinto di essere istruito contro dei cinesi accusati di aver mangiato un cane. Ma il Leviatano del capitalismo cinese rimane senza volto. Nel mondo antico della Georgia i bambini giocano con le pellicole cinematografiche, altro simbolo di qualcosa che è divenuto obsoleto. E la fenditura del tunnel, che segna il completamento del traforo da una parte all’altra della montagna, è vista come una fessura da cui si apre un fascio di luce, come una proiezione cinematografica. A Tunnel mette in scena un conflitto manicheo tra buio e luce dove, in quel finale lungo nel tunnel, sarà il primo a trionfare.
Info
La scheda di A Tunnel sul sito del Trento Film Festival
- Genere: documentario
- Titolo originale: A Tunnel
- Paese/Anno: Georgia | 2019
- Regia: Nino Orjonikidze, Vano Arsenishvili
- Sceneggiatura: Nino Orjonikidze
- Fotografia: Vano Arsenishvili
- Montaggio: Nino Orjonikidze, Vano Arsenishvili
- Produzione: Artefact Production, Ventana Film- und Fernsehproduktion
- Durata: 90'
