Fortuna

Dopo aver preso parte oltre dieci anni fa al film collettivo Napoli 24, Nicolangelo Gelormini esordisce alla regia in solitaria con Fortuna, trasfigurando un’atroce vicenda desunta dalla cronaca nera in un viaggio nell’immaginario cinematografico, cercando di affrontare la “realtà” con occhi non proni al “realismo”. Opera anti-verista ma di profonda consapevolezza registica, Fortuna è un piccolo ufo nello scenario produttivo italiano.

Lupo, questo è il lupo

Nancy è una bambina timida che vive con i genitori in un palazzone incastonato come un meteorite in un angolo del mondo dimenticato dal bene. Chiusa da qualche tempo in un silenzio che allarma sua madre, viene seguita da Gina, una psicologa dell’Asl distratta e scostante. La bambina sembra non riconoscersi nel nome con cui gli adulti la chiamano e sente di non appartenere a ciò che la circonda. Come in una favola a cui a volte stenta a credere, pensa di essere una principessa in attesa di tornare sul suo pianeta nello spazio. Sono Anna e Nicola, i suoi amici del cuore, a chiamarla Fortuna. Ed è solo con loro che condivide un segreto indicibile, che appartiene a un mondo nero di adulti senz’anima. [sinossi]

La tragica storia di Fortuna Loffredo la si può facilmente reperire online, anche perché all’epoca dei fatti e per la durata dell’iter giudiziario se ne discusse ampiamente, anche sulla cronaca nera nazionale. Non è dunque il caso di soffermarsi oltre su questo punto, anche perché l’esordio alla regia di Nicolangelo Gelormini (che nel 2010 insieme a ventisei colleghi aveva firmato il collettivo Napoli 24, tentativo di racconto alternativo della città campana), pur senza svilire in nessun modo la verità processuale che ha seguito i fatti, si muove in tutt’altra direzione. Già presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma lo scorso ottobre, Fortuna ha continuato il suo percorso festivaliero – in particolar modo in Asia – prima di approdare nelle sale cinematografiche italiane, ricevendo per ora una scarsa attenzione (poco più di diecimila euro di incasso complessivo). È davvero un peccato ipotizzare come il film di Gelormini corra il serio rischio di scomparire completamente dallo sguardo di un potenziale pubblico, semmai per risorgere sul piccolo schermo, magari su Raiplay o a notte fonda, perché l’impressione è che invece proprio un’operazione come questa mostri la via da percorrere per compiere l’impresa di riportare in auge un cinema italiano che sappia dialogare con il pubblico ma che allo stesso tempo non accetti in maniera prona i compromessi estetici e narrativi della contemporaneità rischiando le zone d’ombra, sfidando i preconcetti e i dogmi, contrapponendo a queste forme statiche una profonda libertà espressiva.

L’ambientazione di Fortuna potrebbe a un primo sguardo superficiale apparire canonica: la periferia partenopea, con i suoi palazzoni, le strutture grige in cemento, la desolazione architettonica che si sposa a quella umana, e psicologica. Di nuovo potrebbe apparire canonico lo sguardo posato sui bambini, e lo stesso effetto lo rimanderebbe la consapevolezza di trovarsi a tu per tu con una narrazione per immagini che posa le sue basi sulla realtà, su fatti acclarati, sul vero. Gelormini spazza via questa struttura mentale aprioristica fin dalla primissima sequenza: tagli prospettici di un palazzone, una chiesa che è una vera e propria cattedrale (di dubbio gusto) nel deserto e sulla cui sommità è piazzato un megafono, una giostra di seggiolini volanti – noti tradizionalmente come “calcinculo” – piazzata proprio lì davanti, e dalla quale vola via sfracellandosi al suolo una bambina, che dopo essersi rialzata sente il suo nome ripetuto ossessivamente dal megafono e viene rincorsa da una donna in motorino. Nell’incipit di Fortuna c’è già tutto il senso del cinema per Gelormini: non una mera riproposizione del vero, ma l’inserimento dello stesso in una cosmogonia dell’immagine a se stante, costruita ricorrendo al genere non per sfuggire dalla cruda verità ma semmai per trasfigurarla in un affresco ancora più ampio, e per questo ancora più agghiacciante. Gelormini gira un horror, com’è inevitabile che sia, ma anche qui non si affida al catechismo del genere, non si accomoda nella prassi, non accetta una struttura preordinata. Anche per questo il film assume da subito una postura quasi lynchiana, immergendosi in un magma onirico che è visivo ma anche – e in alcuni casi “prima” – uditivo, sensoriale. Gli occhi della piccola Nancy/Fortuna (Nancy, e forse non è una casualità, è il nome del personaggio protagonista di Nightmare – Dal profondo della notte di Wes Craven, a sua volta allucinata nella dimensione onirica) stra-vedono il mondo circostante, lo abitano di mostri, di giganti, di fantasmi, di incubi e sogni, di voli non solo pindarici, di percorsi à rebours.

Anche quando deraglia Fortuna lo fa per eccesso, per volontà di scavalcare il muro della norma e riadattare gli occhi a una verità che non sia processuale, ma puramente cinematografica, e quindi potenzialmente infinita. La sua periferia napoletana (i fatti ebbero come triste teatro il Parco Verde di Caivano, a nord dell’area metropolitana, mentre il film è stato girato tra Pozzuoli e Castel Volturno) è un non-luogo astratto, violento visivamente prima ancora che fisicamente, e la sua anima può essere traslata in un viaggio nell’immaginario cinematografico che lambisca i confini della fantascienza, sguazzi negli squarci di ὕβϱις dell’orrore ma sia anche in grado di raccontare l’intima tragedia di un’infanzia cresciuta a uso e consumo del mondo adulto, stuprata in ogni modo possibile e immaginabile, abbandonata a se stessa e sempre incompresa, vessata, schiacciata, e infine massacrata. Non c’è rivalsa, non c’è salvezza neanche nel cinema, suggerisce Gelormini – che il film lo ha anche montato e scritto insieme a Massimiliano Virgilio, già al lavoro su Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero e Il ladro di cardellini di Carlo Luglio –, perché da quei palazzoni l’unica via di fuga resta il tuffo nel vuoto. Dopotutto anche Jia Zhangke in Still Life ipotizzava derive spaziali per evadere dalla bruttura del quotidiano, oramai definito moderno per alleggerirne le responsabilità. Lavoro coraggioso, che riesce a far dialogare attori di consumata esperienza come Valeria Golino e Libero De Rienzo con le stupefacenti interpretazioni delle giovanissime Cristina Magnotti e Denise Aisler, Fortuna merita di essere annoverato tra i più interessanti esordi italiani degli ultimi anni.

Info
Fortuna, il trailer.

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