Titane

Titane è, forse a sorpresa, la Palma d’Oro del Festival di Cannes 2021. Questo premio, per di più legato a una gaffe del presidente di giuria Spike Lee, sembra aver già distolto l’attenzione dal film di Julia Ducournau, tentativo di fondere istanze del cyberpunk a una riflessione – già presente nella filmografia della regista nel precedente Raw – sulla famiglia, e l’amore genitoriale. Probabilmente incompiuto, ma senza dubbio lontano dalla prassi.

Donne e motori

A seguito di una serie di crimini impossibili da comprendere, un padre ritrova il figlio scomparso oramai da dieci anni. Titanio: metallo altamente resistente al calore e alla corrosione, che dona delle leghe estremamente dure. [sinossi]
Dale a tu cuerpo alegría Macarena
Que tu cuerpo es pa’ darle alegria y cosa buena
Dale a tu cuerpo alegria Macarena
Hey Macarena

“Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu” canta a squarciagola Caterina Caselli in una delle sequenze più spassose e sorprendenti di Titane, quella in cui la natura della protagonista emerge per la prima volta in modo compiuto, e a seguito della quale la trama svolta in maniera decisa, e definitiva. Eppure in molti si stanno lanciando nell’arte del giudizio nei confronti dell’opera seconda di Julia Ducournau – e in effetti anche in questa sede si tenterà un’analisi del film –, una pratica amplificata com’è ovvio dal giudizio dei giudizi, quello che ha consegnato al film la Palma d’Oro 2021, la seconda in assoluto assegnata a una donna a ventotto anni di distanza da Lezioni di piano di Jane Campion. Prima di concentrare l’attenzione sul film in quanto tale è inevitabile tornare con la mente a quanto accaduto durante la cerimonia di premiazione, con la clamorosa gaffe del presidente di giuria Spike Lee che ha confuso le tempistiche del palmarès annunciando subito, in apertura di serata, che a trionfare era stato Titane. Una figuraccia in diretta mondiale che ha contribuito a sviare in maniera ulteriore l’attenzione dal film, dalla sua specificità, e dal significato che è realmente da attribuire a questa bizzarra creatura che lega le pulsioni del cyberpunk a una riflessione sul rapporto tra genitori e figli. In molti, in particolar modo tra coloro che a Cannes non erano presenti e hanno seguito la manifestazione solo a distanza, hanno interpretato l’assegnazione della Palma d’Oro a Ducournau come un atto da inserire nel solco del cosiddetto “politicamente corretto”: in pratica Titane avrebbe vinto solo per avere la possibilità di premiare una donna. Occorre sgombrare il campo da un errore di giudizio così grossolano. Qualora infatti l’intenzione della giuria fosse quello – o soprattutto quello – ben altri film avrebbero potuto godere di uno sguardo benevolo: in concorso c’era The Story of My Wife di Ildikó Enyedi, Bergman Island di Mia Hansen-Løve, La fracture di Catherine Corsini, tutti e tre diretti da donne e assai più adeguati ad ambire alla vittoria finale, più consoni alla prassi.

Per quanto si possa discutere sull’effettiva riuscita del film, Titane rientra in un’altra casistica, altrettanto politica ma meno in voga nella discussione collettiva che la bolla che si dedica al cinema sta portando avanti negli ultimi anni. Alla stregua di The Squadre di Ruben Östlund e Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul, anche Ducournau serve al Festival di Cannes per riposizionarsi all’interno dello scacchiere internazionale: Titane certifica anche al più refrattario degli addetti ai lavori come la Croisette sia un luogo aperto alle derive meno canoniche del cinema, alle opere di genere che non puntano necessariamente alla struttura autoriale ma deragliano verso il “basso”. Ci sono passaggi apertamente trash, in Titane (la già citata sequenza della mattanza nell’appartamento con Caterina Caselli in sottofondo, e la protagonista che trovandosi a tu per tu con un ennesimo individuo da massacrare prorompe in uno sfiancato “ma quanti siete in questa casa?”), così come di quando in quando ci si muove in direzione del misterico, dell’inafferrabile. Il percorso che Frémaux aveva già tentato di intraprendere inserendo in concorso Neon Demon di Nicolas Winding Refn – autore però già ampiamente storicizzato e dunque accettato – trova con questa Palma d’Oro la definitiva consacrazione. La séance de minuit elevata al livello dell’autorialità più conclamata e di prammatica. Se si vuole discutere di qualcosa, rimanendo nel campo della diatriba relativa all’affermazione di Ducournau, sia su questo aspetto, e su quel che può derivarne negli anni a venire.

Detto questo, è giusto che Titane venga affrontato criticamente per la costruzione d’immagini che la trentottenne regista parigina ha edificato. In qualche misura il film sembra la versione espansa, e forse persino un po’ drogata, del precedente Grave – noto a livello internazionale come Raw –, l’esordio con cui cinque anni fa la cineasta venne notata tanto in patria quanto all’estero. C’è la riflessione sull’infanzia e l’adolescenza, il difficoltoso rapporto tra le generazioni, l’utilizzo del corpo orrorifico come metafora della crescita, dell’accettazione di sé, dello sviluppo. Ducournau sfodera una regia muscolare, in grado di agire tanto con il piano-sequenza (si veda l’ingresso in scena della protagonista adulta nel motor-show erotizzato) quanto con una sintesi concisa dell’azione, tra tempi lunghi e ritmi serrati, in una dialettica sempre aperta che è poi quella tra le esigenze scopiche del body-horror cui la regista guarda in modo evidente e l’ambizione di stratificare il discorso. Questa dialettica non sempre appare gestita nel migliore dei modi, ed è abbastanza evidente come il film dopo un incipit dinamitardo – e anche in grado di ironizzare molto su di sé – finisca progressivamente a prendersi sempre più sul serio, fino a cedere alle esigenze del mélo in una sfilza di scene madri a tratti zoppicanti, non fosse per le intense interpretazioni di Vincent Lindon e Agathe Rousselle, quest’ultima impegnata in un tour de force attoriale complesso, in cui riesce a rendere il suo corpo davvero un oggetto alieno, distante da qualsiasi categorizzazione possibile e immaginabile. Tra il cyberpunk tsukamotiano e cronenberghiano e la riflessione su temi apertamente contemporanei – la pansessualità, l’ibridazione, la ridefinizione di sé al di là dell’anagrafe e della biologia – Titane non sa sempre trovare una propria definizione, quasi Ducournau sia ancora in realtà alla ricerca del proprio cinema, del proprio sguardo. C’è però una furia che sarebbe sciocco non prendere in considerazione, e una perversione dello sguardo imborghesito che è dote sempre più rara in un cinema europeo sempre più ritorto su sé, sulla propria storia, sull’abitudine. Tra pompieri danzerecci, donne ingravidate da automobili, omicidi plurimi e pance squarciate, Titane ha il coraggio di permettersi tutto, anche l’errore più indifendibile. Ridicolizzarne gli esiti sarebbe un gravissimo errore critico, che ovviamente in molti stanno commettendo.

Info
Titane sul sito del Festival di Cannes.

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