Mona Lisa and the Blood Moon

Mona Lisa and the Blood Moon

di

Piacevole miscuglio di generi e suggestioni provenienti dal cinema degli anni ’80 e ’90, Mona Lisa and the Blood Moon di Ana Lily Amirpour inanella situazioni e personaggi bizzarri, senza il supporto di una coesione narrativa. In concorso a Venezia 78.

Ragazza sola

Mona Lisa Lee è una ragazza dotata di insoliti e pericolosi poteri che scappa da un manicomio e tenta di cavarsela da sola a New Orleans. [sinossi]

Un pizzico di cinema di supereroi, una buona dose di horror e fantasy anni ’80, un po’ di film d’avventura per ragazzi della medesima decade, infine una spennellata di indie anni ’90 per amalgamare il tutto. E tanta musica. Sono questi gli ingredienti continuamente shakerati insieme in Mona Lisa and the Blood Moon, terzo lungometraggio della regista statunitense di origine iraniana Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home Alone at Night, The Bad Batch).

Presentato in concorso a Venezia 78, il film narra le vicende di Mona Lisa Lee (Jeon Jong-seo, la protagonista di Burning), una ragazza di origini coreane dotata di superpoteri, che fugge da un manicomio e si avventura nella vicina città di New Orleans. Ha così inizio un percorso rocambolesco, prevalentemene notturno e a tratti lisergico, condito di incontri con una galleria di outsiders.

Qualcuno le regala un paio di scarpe, i clienti di un diner la guardano con malcelato disprezzo, un dj spacciatore la aiuta e se ne innamora all’istante, mentre un poliziotto tenace si mette sulle sue tracce, Mona Lisa d’altronde l’ha malamente umiliato, ipnotizzandolo con i suoi poteri e costringendolo a spararsi da solo a una gamba. Un’onta insostenibile per uno sbirro.

Alla Amirpour non interessa però tanto il versante supereroico dal suo film, e sceglie di non connotare visivamente l’esercizio dei superpoteri, correndo il rischio di renderli, almeno all’inizio, difficilmente decifrabili. Vediamo infatti le vittime di Mona Lisa in un vago stato di trance, mentre lei li guarda concentrata con gli occhi sgranati, da questo comprendiamo che sta governando le loro azioni, con risultati talvolta assai spassosi.

Strutturato dunque come un road movie urbano con relativo percorso di formazione all’american way of life (in questo leggiamo anche una sottotraccia autobiografica per la regista di origini iraniane), Mona Lisa and the Blood Moon è un susseguirsi di personaggi e invenzioni, rinvigorite dalla galvanizzante colonna sonora a cura di Daniele Luppi, che mescola sonorità techno e metal. Quel che sfugge, durante la visione, è il quid, la ragion d’essere del racconto, che appare oltretutto piuttosto sbilanciato. Se inizialmente i vari incontri hanno breve durata, il film va poi a concentrasi, per un’ampia porzione, sul personaggio di Bonnie, una spogliarellista incarnata con vigore atletico e un alto tasso di rozzezza proletaria da Kate Hudson. La donna poi, per meglio mantenere il figlioletto Charlie (Evan Whitten), pensa bene di usare i superpoteri persuasivi di Mona Lisa, prima per farsi elargire mance più sostanziose dai clienti, poi per derubare gli utenti del bancomat. Emerge così il tema del denaro, fondamentale superpotere del capitalismo statunitense.

Ma anche questo sembra non interessare troppo l’autrice, la cui volubile curiosità si sposta ben presto sul rapporto tra Mona Lisa e Charlie, l’undicenne il figlio di Bonnie, una relazione depurata dalla necessità dei dollari e basata sull’heavy metal e qualche scorribanda. In questa breve porzione del film si leggono in controluce le influenze di tutto quel cinema anni ’80 dedicato alla pre-adolescenza e sospeso tra avventura e nerditudine (da I Goonies a buona parte della filmografia di John Hughes e Joe Dante).

Il titolo poi non mente, in Mona Lisa and the Blood Moon (letteralmente: Mona Lisa e la luna di sangue) Ana Lily Amirpour cerca la sua via a un cinema d’autore indipendente che strizzi l’occhio al genere, in particolare all’horror-fantasy anni ’80, anche con riferimenti al cinema John Carpenter.

Peccato dunque che nel complesso il film, con la sua natura episodica e la lunga parte dedicata all’incontro con la spogliarellista Bonnie, non possa vantare uno script sufficientemente coeso, equilibrato e che vada in una direzione precisa. La metafora del denaro che fagocita, anche con una certa spavalderia anarchica, ogni tipo di morale funziona, certo, ma non c’è altro di sostanzioso a cui appigliarsi.

Resta da apprezzare quel gusto reiterato per la trovata originale e per una descrizione, sempre empatica, di una galleria di freaks imprevedibili e bizzarri. Tra i quali spicca senz’altro il tenero dj e spacciatore Fuzz (Ed Skrein), un emulo forse, per via di quel mix di ingenuità, tenerezza e illegalità, dell’Alien che James Franco incarnava, svolgendo il medesimo mestiere, in Spring Breakers di Harmony Korine.

Ed è proprio all’indie americano degli anni ’90, da cui d’altronde anche Korine proviene, che la regista guarda in fondo da sempre, e innestandolo con sfumature jarmushiana, fin dall’ottimo esordio con A Girl Walks Home Alone at Night, e che tra l’altro, proprio come Mona Lisa and the Blood Moon prevedeva un’ibridazione con l’horror, solo che questa volta dal film di vampiri si passa al cinema di supereroi. Se poi consideriamo anche il meno riuscito The Bad Batch, con la sua umanità degradata e aggressiva in stile Max Max, appare chiaro come la regista stia portando avanti una sua personale, per quanto derivativa, poetica degli outsiders.

Una poetica che nel caso di Mona Lisa and the Blood Moon predilige l’accumulo, il rifrullaggio pop di un immaginario del passato rilelaborato da una memoria cinefila personale che non sempre trova la sua strada e rischia di far bollare il film come un qualcosa che vuole sembrare nuovo e ammiccante, ma in realtà è già “vecchio”.

L’autrice, oltre che abile metteur en scène e accorta selezionatrice dei suoi referenti, dimostra però anche una certa autoironia e consapevolezza, quando, sottolineando metacinematograficamente l’incompiutezza narrativa del film, fa dire al personaggio di Fuzz: “Ci vediamo nel sequel”, alludendo dunque al fatto che Mona Lisa and the Blood Moon non solo sembra il capitolo introduttivo di una nuova saga, ma forse lo è davvero.

Info:
la scheda di Mona Lisa and the Blood Moon sul sito della Biennale.

  • Mona-Lisa-and-the-Blood-Moon-2021-ana-lily-amirpour-001.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Venezia 2021Venezia 2021 – Minuto per minuto

    Venezia 2021 e Covid Atto II. Tra film, file, tamponi e prenotazioni su Boxol (il vero protagonista della Mostra) si torna a pieno regime al Lido. Più o meno. Anche il nostro “Minuto per minuto” tornerà a pieno regime? Ai posteri bla bla bla…
  • Festival

    Venezia 2021Venezia 2021

    Recensioni, interviste e aggiornamenti dalla Mostra del Cinema di Venezia 2021, dall'attesissimo Dune ai film della Settimana della Critica, da Orizzonti ai film in concorso, da Sorrentino a Erik Matti...
  • Festival

    Venezia 2021 – Presentazione

    Alberto Barbera e il presidente della Biennale Roberto Cicutto hanno presentato in streaming la selezione di Venezia 2021. Un'edizione che sembra volersi prendere dei rischi, garantisce il ritorno del mainstream d'oltreoceano e apre gli spazi al cinema italiano.
  • Venezia 2016

    The-Bad-BatchThe Bad Batch

    di Opera seconda di Ana Lily Amirpour, in concorso a Venezia 73, The Bad Batch è un'interessante operazione sull’America marginale, sui reietti della società, su un mondo da far west dove vige la legge del più forte. Ma scade, e si esaurisce, nella vuota ricerca estetica, peraltro con un immaginario abbastanza povero e comunque già visto.
  • In Sala

    A Girl Walks Home Alone at Night

    di L'esordio al lungometraggio di Ana Lily Amirpour, regista statunitense di origine iraniana, è una storia di vampiri che guarda con insistenza all'indie degli anni Ottanta. In Mondo Genere al Festival di Roma 2014.