Arthur Rambo – Il blogger maledetto

Arthur Rambo – Il blogger maledetto

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Ispirato alla vera vicenda dello scrittore, giornalista e blogger franco-algerino Mehdi Meklat, Arthur Rambo di Laurent Cantet vorrebbe proporsi come dramma etico dedicato alle attuali derive della comunicazione e dei social network. Dopo un buon avvio, il risultato è purtroppo incerto, balbettante, irrisolto.

Fenomeni parasociali incontrollabili

Sulla cresta dell’onda dopo aver pubblicato un nuovo libro, lo scrittore e fenomeno mediatico Karim D. vede rapidamente vacillare popolarità e successo quando si scopre che dietro all’anonimo nickname di Twitter Arthur Rambo si nasconde proprio lui. Arthur Rambo è infatti un profilo utilizzato per post di violenza inaudita, espressioni di tutti i maggiori luoghi comuni sull’estremismo islamico. Karim D. si difende rivendicando l’utilizzo di quel nickname come pura provocazione, condivisa oltretutto con diversi suoi amici che a loro volta hanno pubblicato tramite lo stesso profilo. Per Karim si apre un percorso di riflessione, in mezzo alle sue principali figure affettive… [sinossi]

Venuto da esperienze di cinema costantemente impegnato, Laurent Cantet si dedica stavolta con Arthur Rambo alle attuali derive della comunicazione, non limitandosi al giornalismo e all’editoria bensì espandendo il territorio d’intervento del suo cinema a quel magma continuo e ininterrotto che ormai avvolge in un unico flusso pubblicazioni ufficiali e quotidiano chiacchiericcio social. È il limite, infatti, il vero tema di questo suo nuovo film. Il limite, argine ormai quasi impossibile in un contesto mondiale di interazioni che ha trovato nella rete, nel digitale, nei nuovi strumenti di dialogo e scambio di idee un canale incontrollato di esternazioni. Il controllo delle informazioni è sempre un tema spinoso; la libertà d’espressione altrettanto. Il limite, l’argine, dovrebbe emergere da dentro di noi, dalla nostra etica personale, dai principi individuali che ciascuno di noi è chiamato a darsi per i propri comportamenti.

Ispirandosi alla storia vera del giornalista, scrittore e blogger Mehdi Meklat, al centro di un caso mediatico in Francia avvenuto nel 2017, Arthur Rambo narra infatti delle traversie affrontate dal fittizio Karim D., giovane astro nascente di giornalismo e letteratura, algerino d’origine, che durante i consueti riti di presentazione del suo ultimo libro, stavolta dedicato alla figura di sua madre, si trova a un passo dall’apice del successo per cadere poi rapidamente e rovinosamente quando si scopre che dietro all’anonimo nickname di Twitter Arthur Rambo è sempre lui a nascondersi. Violento, sgradevole, talvolta integralista, talvolta fascistoide, l’oscuro Arthur Rambo è in realtà una sorta di gioco intorno ai luoghi comuni più diffusi sulle frange estremiste della comunità islamica, sul modo con cui essa si pone e su come è percepita dal resto della popolazione. È un gioco, in ultima analisi, intorno alla stessa comunicazione social e ai suoi strumenti di espressione. Karim non è l’unico ad aver scritto dei post dietro a quel nickname. Vi hanno partecipato anche suoi amici, ma Karim è ovviamente il più esposto a livello mediatico ed è lui a rischiare di più in relazione alla sua immagine pubblica. Per parte sua, lo scrittore si difende rivendicando il proprio diritto alla provocazione, tentando di ridurre la portata violenta del fenomeno, minimizzandone la sostanza e gli effetti. Come narrata nel film di Cantet, la figura di Karim D. è anche una sorta di speranza di rivincita e di sdoganamento per la comunità maghrebina. In lui molti vedono la possibilità aperta a tutti di un riscatto sociale e/o di trovarsi finalmente rappresentati nel mondo della comunicazione. Di conseguenza la delusione è grande, tra editori, datori di lavoro, collaboratori, vecchi compagni attivisti e vecchi amici di quartiere. Karim è interrogato pure dalla madre, argomento del suo nuovo libro, e si scontra con il fratello più piccolo. Lo stordimento insomma è grande, ma è Karim stesso a evocare il tema-chiave del film: tramite quei post violenti e brutali Karim ha voluto testare il limite. Nessuno su Twitter l’ha fermato, pochi sono rimasti terrificati, e c’è voluto infine uno scandalo di portata nazionale per poter trovare uno stop. Forse Karim non ne ha piena coscienza, ma esattamente nel momento in cui il jet-set della comunicazione scopre l’inghippo e lo espelle dai suoi buoni salotti, l’esperimento di Arthur Rambo ha ottenuto un preciso risultato.

I temi evocati sono corposi, avvincenti e di grandissima attualità. Visto che fin dall’inizio del Novecento l’arte si è sempre più mescolata con la realtà demolendo il muro che tradizionalmente li teneva separati, fino a dove è accettabile il rischio che l’arte incida negativamente sulla realtà? È l’antico tema della censura, riletto in Arthur Rambo alla luce del più recente contesto in cui ormai galleggiamo da un paio di decenni, dove l’arte è fruibile secondo dopo secondo sullo schermo del proprio smartphone o pc, in un profluvio di scritture e immagini che sono frutto costante della fantasia, anche più immediata e sbrindellata, di un qualsiasi autore improvvisato all’altro capo del mondo. Sviluppato intorno a un nickname anonimo, il film non indaga in realtà la dispersione dell’identità individuale, bensì cerca di scandagliare il travaglio dell’identità sociale, divisa tra le proprie origini e il compromesso più o meno cosciente per andare incontro all’accettazione da parte degli altri. Arthur Rambo è un film di interrogativi e non di risposte. Nell’arco narrativo di pochi giorni, Karim D. reincontra le figure, affettive e professionali, più importanti nel suo percorso di vita, tentando di giustificare e far comprendere il suo atto e trovando davanti a sé (tranne nel caso del suo giovanissimo fratello) forme diverse di ossessione per l’accettabilità sociale. Le derive violente testimoniate dal profilo del fittizio Arthur Rambo finiscono per tradursi in involontari testimoni di un effettivo disagio psico-sociale, dovuto a un esplosivo incontro fra integralismo, emarginazione e discriminazione.

Benché costruito su un corposissimo tessuto di riflessioni, si deve anche rilevare che purtroppo Arthur Rambo mostra rapidamente la corda. Racchiuso in una durata assai contenuta, il film perde comunque in tempi brevi il carattere avvincente del suo esordio, dando luogo poi a uno sviluppo che raramente cattura l’interesse dello spettatore. Solo a tratti il travaglio di Karim possiede tratti credibili, oscillando imprevedibilmente fra enfatiche ellissi e brani fortemente didascalici. Pur fedele al vero destino del blogger Mehdi Meklat, lo smarrimento finale di Karim, con conseguente abbandono della Francia, finisce per assumere i connotati di una chiusura debole, confusa e sostanzialmente fragile. Arthur Rambo è insomma un dramma che non vuole compiersi, incerto, balbettato, che lascia spesso l’impressione, in netto contrasto con le sue intenzioni, di proporre uno scacco ben poco rappresentativo sul piano sociale, chiuso nelle alte sfere del gran mondo editoriale. E lo stesso tema del limite, assai adatto alla costruzione di un pregnante dramma etico, è in ultima analisi più enunciato che narrato. Più in generale, Laurent Cantet palesa stavolta un vistoso impoverimento espressivo e calo d’ispirazione che dispiace molto. Sarà colpa della pandemia, frappostasi nell’ultimo biennio a ostacolare miriadi di progetti. Forse. Probabile. Speriamo.

Info
Il trailer di Arthur Rambo – Il blogger maledetto.

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