Le otto montagne

Tratto dal romanzo omonimo di Paolo Cognetti, vincitore del premio Strega, Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch è una coproduzione franco-italo-belga supportata da un buon cast (Marinelli, Borghi, Timi), scritta e diretta con piglio mainstream, a partire dalle scelte musicali, ma paradossalmente troppo distante dalle montagne che mette costantemente in scena. Una distanza che è inizialmente quella di Pietro\Berio e che è, inevitabilmente, quella dei suoi amici di città. I paesaggi spettacolari sembrano filtrati proprio da occhi di città, ammirati ma incapaci di restituirci la maestosità della montagna in tutte le sue amorevoli e letali declinazioni.

La natura

Le otto montagne è la storia di un’amicizia. Di bambini diventati uomini che cercano di cancellare le impronte dei loro padri, ma che, attraverso le loro scelte, finiscono sempre per tornare a casa. Pietro è un ragazzo di città, Bruno è l’ultimo figlio di un paesino di montagna dimenticato. Bruno negli anni resta fedele alla sua montagna, mentre Pietro è colui che va e viene. I loro incontri li introducono all’amore e alla perdita, li riportano alle origini, lasciando che i destini si svolgano, mentre Pietro e Bruno scoprono cosa significa essere veri amici per la vita… [sinossi]
Là su sui monti
Dai rivi d’argento
Una capanna cosparsa di fior.
La montanara, Coro della Sat.

Forse sono proprio le scelte musicali il primo campanello d’allarme di un film che accarezza benevolmente le montagne, ma senza coglierne davvero l’essenza, almeno sul piano visivo ed estetico. C’è la meraviglia, certo. C’è lo stupore, l’imponenza. I paesaggi de Le otto montagne sono – inevitabilmente – bellissimi. Le cime, il lago, il bosco, ma anche i dettagli, dai pascoli verdi alle distese innevate. Non c’è però la montagna, sempre imponente, sorda al passaggio umano, indifferente. Non crudele, semplicemente indifferente. In montagna si vive, si muore. Nel film di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (Alabama Monroe, Beautiful Boy) la lotta per la sopravvivenza in quota si racconta, si mette in scena, ma non è mai palpabile, non ha davvero spessore. Proprio le scelte musicali, così à la page, così orecchiabili e patinate, iniziano a svelare l’assenza dell’altro versante della montagna.

Tratto dal romanzo omonimo di Paolo Cognetti, vincitore del premio Strega e presentato in concorso al Festival di Cannes, Le otto montagne è un’ambiziosa coproduzione franco-italo-belga, supportata da un buon cast: a parte qualche cedimento nell’inflessione, funziona Luca Marinelli e funzionano ancor di più Alessandro Borghi e Filippo Timi – gli bastano poche pennellate per restituirci l’immagine di un padre amorevole ma discontinuo, appassionato solo a tratti, costretto a una vita non sua, castrato dai ritmi e dalle maglie della grande città. Progetto dal piglio decisamente mainstream, Le otto montagne deve confrontarsi con un romanzo non troppo lungo ma denso, persino troppo per una sceneggiatura che avrebbe avuto bisogno di maggior tempo o di una mano più ferma, capace di sfrondare.
Il film di van Groeningen e Vandermeersch è paradossalmente troppo distante dalle montagne che mette costantemente in scena. Una distanza che è inizialmente quella di Pietro\Berio e che è, inevitabilmente, quella dei suoi amici di città. I paesaggi spettacolari sembrano filtrati proprio da occhi di città, ammirati ma incapaci di restituirci la maestosità della montagna in tutte le sue amorevoli e letali declinazioni.

Pur rinunciando a un formato panoramico in favore di un quadro più compatto e anche svicolando dall’effetto cartolina, Le otto montagne non ha la forza, il coraggio o semplicemente l’intenzione di sfuggire dalla trappola della fotogenia. Anzi, si lascia cullare dai panorami, da quella natura che proprio Bruno smaschera magistralmente in uno dei dialoghi più illuminanti del film. La natura è un concetto astratto per la gente di città, quella che alla fine della settimana, alla fine dell’estate, se ne torna a casa. Per i montanari ci sono i boschi, le cime, i laghi, i corsi d’acqua. Come ci sono pietre e legname, tanto per costruire, poco per vivere. Sopravvivere.

Diseguale, troppo parlato nonostante i silenzi (la voce narrante di Marinelli si muove sulla scia delle varie canzoni che accompagnano gli snodi narrativi), Le otto montagne è un film sulla crescita, sull’amicizia, sui padri e sui figli. Una storia soprattutto al maschile, di abbandoni e ritorni, di legami che valgono più del sangue perché appartengono ai luoghi. Groeningen e Vandermeersch, come prevedibile, concedono troppo al côte sentimentale, non tagliano il tagliabile. È la montagna vista dalla città, sicuramente più rassicurante per il box office.

Info
Il trailer de Le otto montagne.
La scheda de Le otto montagne sul sito di Cannes.

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