Quando
di Walter Veltroni
Con Quando Walter Veltroni torna a dirigere un film di finzione a quattro anni dall’esordio C’è tempo, e conferma tutti i limiti del suo sguardo cinematografico, sia sotto il profilo della messa in scena che per quel che riguarda lo sviluppo narrativo, nonostante la storia provenga da un testo letterario sempre firmato dall’ex direttore de L’Unità. La riflessione politica, che pure parrebbe il punto di partenza, è solo accennata.
Qualcun altro era comunista
La giovane vita di Giovanni va in pausa nell’estate del 1984 a San Giovanni, durante il dolore collettivo per la morte di Enrico Berlinguer, per colpa dell’asta di una bandiera finita tragicamente sulla sua testa. Dopo 31 anni si risveglia dal coma, ed è come una nuova rinascita, da adulto. Tutto è cambiato, il mondo che aveva lasciato non c’è più: la sua famiglia, la ragazza, il partito tanto amato, tutto in questa nuova epoca è stravolto. Giovanni è come un bambino cinquantenne, deve imparare a muoversi in questa nuova dimensione, accettando anche la perdita dei vecchi legami e la scoperta di nuovi. Ad aiutarlo ci sono Giulia, una giovane e tormentata suora che si è presa cura di lui negli ultimi anni della sua degenza, e Leo, un ragazzo problematico affetto da mutismo selettivo. Grazie a loro Giovanni, oltre che a riprendere le normali funzioni vitali, troverà il modo di riuscire a comprendere la sua nuova esistenza e ad affrontare il passato, che ritornerà nelle sembianze di Francesca, la figlia avuta nella sua precedente vita. [sinossi]
“Mo’ pure le monache ce scavalcano a sinistra”, commentava con sarcasmo Nino Manfredi nei panni del portantino Antonio in C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Era il 1974, le scosse telluriche del Sessantotto ancora riverberavano, e il Partito Comunista Italiano si apprestava a superare i dieci milioni di elettori (accadrà la prima volta alle politiche del 1976). Proprio nel 1976 un ventunenne Walter Veltroni verrà eletto nel Consiglio Comunale di Roma, nelle storiche amministrative che videro la Capitale per la prima volta guidata da un sindaco non democristiano, il comunista Giulio Carlo Argan. Sono gli anni in cui Veltroni inizia anche la sua attività saggistica e letteraria, pubblicando dapprima Il PCI e la questione giovanile per Newton Compton e quindi per Editori Riuniti (fondata da Roberto Bonchio fondendo due realtà prossime al PCI, Edizioni Rinascita ed Edizioni di Cultura Sociale) una lunga intervista all’allora deputato Achille Occhetto dal titolo A dieci anni dal ’68. Il futuro direttore de L’Unità, in cui sperimentò su larga scala e in modo continuato – a cadenza settimanale – la diffusione delle VHS contenenti classici del cinema, in quella che è a tutt’oggi la più lungimirante delle sue iniziative culturali, si è da poco diplomato al Cine-tv, l’istituto professionale sito in via della Vasca Navale, nel quartiere San Paolo. Il cinema, insomma, fa parte della sua educazione ma non lo vedrà cimentarsi in prima persona fino al 2014, quando dirigerà il documentario Quando c’era Berlinguer, quasi vent’anni dopo la sua reggenza del dicastero della Cultura sotto l’egida del primo governo Prodi. Questo breve excursus biografico serve a contestualizzare due aspetti che tornano preponderanti in Quando: l’eredità del comunismo italiano nello scenario successivo al discioglimento del Partito, e la presenza in scena di una monaca che se non ha scavalcato a sinistra il protagonista Giovanni non gli è nemmeno così distante per quel che concerne la lettura del mondo. Veltroni, e lo palesava già C’è tempo, precedente e prima incursione del regista nel mondo della “finzione” cinematografica, vorrebbe guardare negli occhi l’era degli Scola, dei Monicelli, dei Risi, e rispecchiarvisi; una tensione che lo spinge in direzioni da un lato cinefile e dall’altro tese a una rappresentazione del proprio mondo, dell’Italia in cui vive e ha vissuto.
Quando, che pure come molti hanno notato può essere paragonato a Goodbye, Lenin! di Wolfgang Becker – anche se qui nessuno cerca di edulcorare la realtà al protagonista – o addirittura al celeberrimo sketch della trasmissione di RaiTre Avanzi in cui Antonello Fassari si risvegliava dal coma nel 1993 e scopriva che il PCI non c’era più, può essere anche letto come una dichiarazione di intenti di Veltroni, una sorta di vademecum attraverso il quale comprendere non tanto lo straniamento di un diciottenne entrato in coma ai funerali di Enrico Berlinguer che si ritrova cinquantenne nel 2015, quanto semmai i motivi naturali per cui l’esperienza del comunismo italiano si tramutò, nel breve arco di neanche vent’anni, nel Partito Democratico. Da fondatore del PD, e oggi suo “padre nobile”, Veltroni utilizza la storia dello sfortunato dormiente Giovanni per rivendicare quella scelta – e prima ancora quella della Bolognina – affrancandosi una volta per tutte da un passato marxista che non ha mai sposato. D’altro canto già nel 1993, a pochi anni dal crollo del Muro di Berlino, Veltroni affermava: “Si poteva stare nel PCI senza essere comunisti. Era possibile, è stato così”, mentre nel 1999 in un’intervista concessa a La Stampa, rincarava la dose: “Io ero ragazzo, allora, ma consideravo Breznev un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere”. Quando Giovanni, scoprendo dalla suora Giulia che l’Unione Sovietica non c’è più, dopo un istante di stupore dichiara con scioltezza e senza titubanze “Siamo sempre stati per lo strappo dall’URSS”, che suona a mo’ di base programmatica, un po’ come l’altrettanto pamphlettistica frase “L’ideologia era sbagliata, gli ideali no”. Al di là che si sia d’accordo o meno con questa visione delle cose, se Veltroni avesse sfruttato Quando per una riflessione di questo tipo il film avrebbe in maniera inevitabile stimolato una dialettica fertile, perfino interessante viste le non poche difficoltà che il suo partito vive nell’accreditarsi come credibile agli occhi del cosiddetto “popolo della sinistra”. Invece questa intuizione è del tutto superficiale, e diventa solo un’affermazione apodittica, che rintocca nelle orecchie come se si affermasse che il comunismo sbagliava, ma Veltroni no. La sovrapposizione tra la figura di Giovanni e quella di Veltroni è garantita dall’immaginario del primo, che il pubblico scopre durante una sequenza onirica abbastanza goffa, in cui la camera digitale accede alla mente dell’uomo nella fase REM come se fosse una stanza: aeroplanini, la pubblicità degli Urrà Saiwa (in C’è tempo il regista faceva rivivere il ghiacciolo Arcobaleno), le Big Babol, un poster del mundial spagnolo, e poi un calcio balilla, una chitarra elettrica, un juke box, il cubo di Rubik, un flipper. Il pop occidentale che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, lo stesso mondo ideale che da sempre rivendica il regista, non così distante dal liceo Marilyn Monroe mostrato da Nanni Moretti in Bianca.
Perduto l’epicentro politico a Quando non resta che riassestarsi come commedia gentile, mai sopra i toni. Ed è qui purtroppo che i veri nodi vengono al pettine. Come già evidenziato da C’è tempo il cinema di Veltroni manca completamente sia per quel che concerne la messa in scena sia per la struttura narrativa, una volta di più buttata via, trattata con poca cura. Ovviamente un racconto come quello del redivivo Giovanni punta tutto sulla complicità del pubblico, ma ogni singolo sviluppo della trama è governato da una noncuranza poco giustificabile, al punto che le domande si fanno ininterrotte: perché la suora Giulia è così emotivamente legata a Giovanni e al suo “miracolo”? E perché le viene concesso di trasformarsi in una sorte di tutrice dell’uomo? Perché Giovanni non ha mai alcun contraccolpo dal fatto di essere rimasto in coma per oltre trenta anni, e perché nonostante chiunque ripeta che è rimasto fermo ai suoi diciott’anni ragiona e si comporta in tutto e per tutto come un uomo di mezza età? Perché la sua ex non vuole confidargli il segreto che resta l’unico appiglio narrativo e una volta che questo viene svelato ciò non comporta smottamenti di sorta? Perché nella struttura per la riabilitazione in cui viene spedito Giovanni a parte il giovanissimo Leo non c’è nessun altro? A tal proposito, perché il succitato Leo, vittima di mutismo selettivo, parla immediatamente con l’uomo senza che anche questo comporti alcunché nello sviluppo emotivo del personaggio? L’impressione è che tutte le soluzioni in fase di sceneggiatura siano state elaborate senza porsi alcuna domanda, quasi che ogni elemento servisse solo ed esclusivamente ad arrivare al pistolotto finale che Giovanni fa di fronte alla commissione di diploma – il fattaccio lo colse prima del conseguimento della Maturità – e che si riduce a un semplicistico “credo ancora in un mondo con meno poveri, più giustizia, e senza guerre” più prossimo al cristianesimo caritatevole che alla socialdemocrazia.
Per giungere a tale sentenza Quando inanella una serie di sequenze goffe, quasi disarticolate – quei movimenti di macchina così poco congrui –, che di nuovo sottolineano la poca qualità nella gestione della regia e della sceneggiatura (il personaggio dell’amatissima fidanzata, che ossessiona ogni sogno di Giovanni, può senza problemi sparire dalla circolazione non appena sopraggiunge una sua evoluzione, se così si può dire) e che raggiungono vette prossime allo scult, come quando Giovanni arriva a comprendere ciò che nel mondo è accaduto nel periodo in cui è stato incosciente solo osservando una decina di fotografie sui fatti salienti – il crollo del Muro, la strage di Capaci, le Torri Gemelle, Tienanmen, la balcanizzazione della Jugoslavia – senza neanche una didascalia che ne giustifichi una contestualizzazione o che nessuno gliele “spieghi”. A tutto questo si somma lo sguardo di Veltroni, impoverito sotto il profilo dell’immaginario e più prossimo a una fiction Rai che a un’opera cinematografica. Perfino la recitazione del ricco cast, con l’unica eccezione del brillante Fabrizio Ciavoni – già apprezzato nel bel Giulia di Ciro De Caro –, lascia a desiderare. Forse Veltroni avrebbe dovuto credere di più nel contenuto politico del suo film, invece di limitarsi a qualche riferimento blando e decrittabile solo da alcuni (quanti spettatori comprenderanno il riferimento agli “ingraiani” e ai “miglioristi”, o a Pajetta?). Sarebbe stata almeno una scelta forte, che dopotutto mancava già nell’ancor più programmatico Quando c’era Berlinguer.
Info
Quando, il trailer.
- Genere: commedia
- Titolo originale: Quando
- Paese/Anno: Italia | 2023
- Regia: Walter Veltroni
- Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Simone Lenzi, Walter Veltroni
- Fotografia: Davide Manca
- Montaggio: Mirko Platania
- Interpreti: Adriano Giannini (II), Andrea Salerno, Anita Zagaria, Carlotta Gamba, Dharma Mangia Woods, Elena Di Cioccio, Fabrizio Ciavoni, Filippo Tirabassi, Gianmarco Tognazzi, Giulia Ridolfi, Luca Maria Vanuccini, Luca Vendruscolo, Massimiliano Bruno, Michele Foresta, Neri Marcorè, Ninni Bruschetta, Olivia Corsini, Pierluigi Battista, Stefano Fresi, Valeria Solarino
- Colonna sonora: Mauro Pagani
- Produzione: Lumiere & Co, Sky, Vision Distribution
- Distribuzione: Vision Distribution
- Durata: 114'
- Data di uscita: 30/03/2023
