Pauline alla spiaggia

Pauline alla spiaggia

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A quarantun anni dalla sua realizzazione, Pauline alla spiaggia continua a riscrivere le regole dell’attrazione e dei sentimenti raccontando le ingenuità e le ipocrisie degli adulti attraverso la purezza dello sguardo della giovanissima protagonista. Terzo capitolo del ciclo Commedie e Proverbi, torna sul grande schermo del 42mo Bergamo Film Meeting uno fra i più brillanti e celebrati capolavori di Éric Rohmer, nell’ambito dell’omaggio retrospettivo che il Festival ha dedicato al grande autore francese.

La chambre et la fenêtre

Marion, stilista a Parigi, e Pauline, la sua giovane cugina, trascorrono le vacanze in una località balneare della Normandia. Lì incontrano l’insegnante di surf Pierre, innamorato di Marion, Henri, un etnologo divorziato e attraente, e il giovane Sylvain, un adolescente in cerca di una ragazza della sua età. Intrighi amichevoli e romantici si intrecciano tra questi diversi personaggi. [sinossi]

A ben vedere è per molti versi uno schermo cinematografico, quella finestra che esattamente a metà di Pauline à la plage, in titolo italiano semplicemente Pauline alla spiaggia, incornicerà la bella venditrice di noccioline Louisette nuda nella camera da letto di Henri, vista dal surfista Pierre mentre passa per caso in strada. Come se fosse un campo al quale manca il controcampo, o meglio al quale manca l’uomo che rimane fuori dal campo (visivo) di chi guarda, per un amplesso che indica sicuramente un’infedeltà ma senza che sia possibile identificare chi sia il traditore e di conseguenza chi sia la tradita, aprendo alla speculazione dialettica fra le possibili combinazioni di ciò che Éric Rohmer mostra al pubblico ma non a uno dei suoi protagonisti, all’esacerbarsi del contrasto fra l’immagine e la parola come realtà e fraintendimento, alla possibilità che ognuno ne tragga la propria verità personale, decidendo deliberatamente di credere alla versione che meno lo fa soffrire. Una vera e propria riflessione teorica sull’immagine e sulla sua mancanza che funge da fondamentale punto di innesco e deflagrazione tanto per la commedia degli equivoci quanto per la consueta indagine sentimentale dell’autore francese, che nel 1983 firmava una delle tappe più luminose e apprezzate del suo prodigioso cinema in costante sottrazione. Un cinema fatto di impercettibili increspature e di instancabili variazioni sul tema, di dicotomie e di apologhi morali, di giovani che crescono e di adulti irrisolti rimasti per molti versi bloccati nell’immaturità dell’adolescenza, di coincidenza quasi perfetta fra lo scorrere della vita e la sua rappresentazione. Un cinema di dialoghi in larga parte improvvisati e di lunghi controcampi su chi ascolta, di attori quasi sempre non famosi (studiati nella personalità fino ad adattare su di loro la sceneggiatura, e non il contrario, per far emergere la maggiore spontaneità possibile) e di riprese a bassissimo costo in 16mm, di schemi dalla derivazione puramente teatrale e di troupe rigorosamente ridotte all’osso – e magari, come in questo caso, ospitate per tutta la durata delle riprese nella casa-location di proprietà di uno dei tecnici. Un cinema in cui non serve che “succeda” praticamente nulla: basta e avanza il procedere naturale di un lacerto di vita, con i suoi incontri apparentemente casuali e con le sue attrazioni reciproche, con i suoi sentimenti contrastanti e con le sue impressioni giuste o sbagliate, con le sue parole dette o non dette e con i suoi gesti più impulsivi e veri. Con i suoi malintesi, con i suoi fulminei innamoramenti, con le sue disillusioni anche brutali. Con i suoi cancelli che si aprono e che si chiudono, nei rapporti e nelle dinamiche interpersonali così come nel superamento delle fasi dell’esistenza. Fra gli ultimi scampoli d’estate e l’avvento dei primi freddi e grigiori d’autunno, fra la città e la provincia, fra gli interni angusti delle case e gli spazi esterni sterminati dei parchi o delle spiagge. Fra la fine dell’adolescenza e il definitivo ingresso nell’età adulta.

È per questo che è proprio l’entrare e uscire della Mini di Marion dal cancello della casa delle vacanze la metafora che, come se fosse un sipario a teatro, incornicia il pugno di giorni di inizio settembre di cui si compone la narrazione di Pauline à la plage, terzo capitolo del ciclo Commedie e proverbi preceduto da Il bel matrimonio e seguito da Le notti di luna piena, e soprattutto fondamentale testo di riferimento per moltissimo cinema che sarebbe venuto dopo, dalla Trilogia del Lutto di François Ozon ai Mektoub, my love del rohmerianissimo Abdellatif Kechiche, dai Vanzina di Sapore di mare fino a L’Île ultimo e magnifico lavoro di Damien Manivel. È la massima del poeta medievale Chrétien de Troyes «Chi parla troppo danneggia se stesso» l’adagio intorno al quale Rohmer tesse tutto il senso del film: parole “dannose” che sono senza dubbio quelle di Pierre quando, messo alle strette, spiffera alla giovanissima Pauline il (falso) tradimento del coetaneo Sylvain in realtà semplicemente incastrato dal ben più vecchio e viscido Henri ma troppo educato per rivendicare le proprie ragioni, eppure a ben vedere tutti i protagonisti di un Rohmer balneare (come già era balneare fra i Sei racconti morali La collezionista nel ’67, e come saranno balneari poi nell’86 e nel ‘96 il penultimo Commedie e Proverbi Il raggio verde e quel Conte d’été che la versione italiana, deliberatamente trascurando il senso complessivo dei Racconti delle quattro stagioni, massacrerà con l’insensato titolo Un ragazzo, tre ragazze), ma soprattutto più che mai corale, non fanno altro che esporsi e compromettersi sin dalla prima serata insieme, quando a turno esprimeranno le loro visioni dell’amore mentre solo la quindicenne Pauline preferirà ascoltare senza dovere necessariamente dire la sua. C’è la bellissima Marion, cugina trentenne già con un matrimonio fallito alle spalle, che crede nel colpo di fulmine e proprio per un colpo di fulmine rifiuterà le tenere attenzioni di Pierre per gettarsi fra le braccia dello sciupafemmine Henri. C’è appunto Pierre, che invece crede nella tenacia e nella costanza del sentimento e proprio per questo non ha mai smesso di correre dietro al suo grande amore non (più) corrisposto Marion. E poi c’è il padrone di casa Henri, seduttore seriale di mezza età che mente parlando ancora di sentimenti, ma che in realtà sembra conoscere oramai solo l’impulso e il desiderio, la soddisfazione egoistica e personale, il capriccio e il tirare acqua al proprio mulino a costo di non farsi alcuno scrupolo a calpestare, tradire e calunniare chiunque gli possa essere d’intralcio, e non certo in ultimo una discreta dose di vigliaccheria nelle fughe mattutine alla chetichella (magari dopo averci viscidamente provato nottetempo con una ragazzina) abbandonando con un gelido biglietto d’addio. Un uomo che non mancherà di sfruttare l’unica mezza giornata di assenza di Marion per lanciarsi fra le braccia della bella venditrice ambulante della spiaggia Louisette, e che non si farà il minimo problema a salvare le apparenze gettando la croce addosso all’innocente Sylvain proprio quando la sua amicizia giovanile con Pauline stava diventando un tenero (primo) innamoramento reciproco.

Passerà tuttavia proprio dalla delusione e dalla riconciliazione, fino alla maturità nel comprendere e nell’accettare la necessità di Marion di credere alla propria verità di comodo, l’educazione sentimentale di Pauline. Dalla purezza innocente di chi è ancora nel pieno dell’adolescenza (non è un caso che Rohmer lasci proprio ai ragazzi di quindici anni il compito di analizzare e smascherare l’ipocrisia nei comportamenti degli adulti, fino a ergerli a unici possibili depositari della verità) alle prime “corruzioni” che arrivano dal mondo dei grandi quando Pauline vedrà non vista la cugina nuda a letto con Henri, e altrettanto farà Marion quando uscirà dalla stanza di soppiatto dopo aver scoperto Pauline, ingenua eppure non certo per caso già (in)volontariamente maliziosa con il suo bikini sempre un dito troppo in basso, sdraiata senza reggiseno e impegnata nei primi baci con Sylvain. Due sguardi liberamente (in)discreti che nient’altro sono che gli ennesimi campi senza controcampo, con i quali venire a sapere qualcosa di qualcuno senza che l’altro ne sia consapevole, e in cui vedere i gesti dei giovani che, crescendo, inizieranno progressivamente a ricalcare sempre più quelli di chi è già adulto: al contempo individui che si aprono sinceramente per come sono di fronte a una macchina da presa e figure pienamente archetipiche nelle loro caratteristiche fisiche e morali (ma anche nella geometria scalena dei loro veri o supposti triangoli amorosi), al contempo purissima finzione lungamente scritta e rielaborata (la prima versione del soggetto di quello che sarebbe diventato Pauline alla spiaggia risale addirittura ai primi anni Cinquanta, con il titolo provvisiorio Les Vacances ou Friponnes de porcelaine, riscritto a metà Settanta come Loup y es-tu? e solo alla fine delle riprese dedicato al personaggio affidato da Rohmer alla straordinaria esordiente Amanda Langlet che, con le sue considerazioni, aveva finito per guidare la macchina da presa verso il suo personale sguardo sulla vicenda) e assoluta autenticità delle persone al di sotto dei personaggi. Una tappa, all’interno della filmografia di Éric Rohmer, che procede nella chiusura di un (secondo) cerchio aperto tre anni prima con i malintesi e le gelosie verso La moglie dell’aviatore, e che solo nell’87 con il chiasmo di coppia di L’amico della mia amica troverà definitivamente il suo punto di assestamento e di felicità condivisa, mentre qui c’è spazio solo per l’illusione e per la più o meno consapevole decisione di auto-ingannarsi pur di riuscire a guardare avanti senza soffrire, per la scelta di credere a ciò che nel fondo del cuore si sa perfettamente essere falso e non verosimile come un disperato tentativo di proteggere se stessi e la propria emotività. Non resterà che abbandonare la casa al mare in Normandia e ripartire verso Parigi, la coda di un’estate ormai finita ancora da mettere alle spalle ma forti di un bagaglio di esperienze emotive inedite e potentissime, con le quali scoprirsi nuove, diverse, cresciute. Ben più consapevoli del dolore, dell’ambiguità del mondo, delle lezioni esistenziali imparate sulla propria pelle, ma anche della poesia minimale del quotidiano su cui fondare tutto il resto della propria vita. O per lo meno il proprio cinema, che a volte è davvero la stessa identica cosa: un miracolo.

Info
Il trailer di Pauline alla spiaggia.

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