La buca

La buca

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La buca, opera seconda in solitaria di Daniele Ciprì. Una commedia farsesca senza ritmo, priva di verve, intrappolata in un’idea incapace di svilupparsi, simbolo a suo modo del cinema italiano contemporaneo.

Voragini e avvocati

Un cane arruffato diventa inconsapevole pretesto dell’incontro di due umanità disordinate e precarie. Morso dall’animale, Oscar, avvocato burbero sempre alla ricerca di spunti truffaldini, vuole trarre profitto dall’incidente e fare causa al malcapitato proprietario, Armnado. Quando però lo scaltro avvocato scopre che Armando è in realtà un povero disgraziato appena uscito di galera dopo aver ingiustamente scontato una pena di trenta anni, l’obiettivo cambia e la posta in gioco si alza… [sinossi]

La buca nel mezzo della strada che dovrebbe permettere al frodatore e ciarlatano Oscar di rivalersi sul comune intentando una causa forse milionaria è, rifugiandosi nel più classico dei tropi, la voragine nella quale sta precipitando da decenni il cinema italiano, dato per risorto a ogni opera che per i più variopinti e svariati motivi riesce a emergere dal mediocre caos intellettuale che pasce il sistema produttivo. Si potrà obiettare, portando a conferma delle proprie convinzioni referti medico/economici che constatano una salute impeccabile, ma l’opera seconda di Daniele Ciprì è monumento (im)palpabile a un cinema vuoto, privo di senso e significato, abbarbicato con le forze residue a un ideale estetico che si allontana rapidamente all’orizzonte.
La storia della strana coppia Oscar/Armando vorrebbe palesemente riprodurre le schermaglie e i battibecchi che resero celebre il duo composto da Walter Matthau e Jack Lemmon, e allo stesso tempo ogni singolo filamento de La buca si muove in direzione adorante della commedia di Billy Wilder, a partire dalle scelte scenografiche fino ad arrivare alle luci lavorate – con la mano sinistra, almeno in questa occasione – dallo stesso Ciprì.

Ma a parte l’indole estetica e qualche vezzo attoriale – il burbero interpretato da un pur volenteroso Castellitto non graffia che la superficie della stratificata ambiguità che sprigionava Matthau – La buca non è che la copia carbone, ridefinita in epoca contemporanea e svilita dal confronto con l’originale, di un modo di ragionare il cinema che viene solo imitato, e mai veramente compreso. Il gioco di gag, reiterate all’eccesso come quella che vede protagonista un Giovanni Esposito finto motuleso oppure appena accennate, esaurisce la carica sarcastica addirittura prima di giungere al proprio esito; il ritmo, la cadenza con la quale si dimena questa commedia labilmente grottesca, si fa frenesia solo per riflesso motorio, istinto all’iperbole.
Tra rabberciate citazioni wellesiane (la palla di vetro nella quale metaforicamente galleggia la nave chiamata “Rosabella”), eversioni sempre cadenzate e controllate, sguaiate incursioni in una comicità che non ha neanche la capacità di definirsi volgare, La buca di Ciprì è l’epitome di un cinema sterile ma pretenzioso, autoriale più per pomposità produttiva che per naturale spinta artistica. Mentre Belluscone, una storia siciliana dell’ex sodale Franco Maresco infiamma le sale con la sua sbrindellata eppur lucida volontà espressiva, basandosi su un’idea di cinema che è racconto della realtà attraverso la finzione – o il contrario, se si preferisce, perché il risultato non ne viene minimamente modificato –, Daniele Ciprì conferma in pieno le perplessità sollevate un paio di anni fa dal suo esordio, È stato il figlio.

Anche qui, come allora, ci si trova di fronte un cinema innamorato di se stesso, in fin dei conti insincero, costruito a tavolino, edificato con cura per far sì che non si notino le crepe che in realtà minano l’intera struttura. Un prodotto levigato per offuscare le menti già poco allenate di un pubblico sempre più pronto a scambiare la “grazia” con il “grazioso”, interessate a ricercare nel buio della sala non il piacere eversivo della devianza dalla norma, ma la placida e paludosa conferma di una innocua mediocrità intellettuale, costruita magari ad arte ma senza alcuna profondità di sguardo.
L’inoffensiva mise en scène di Daniele Ciprì è l’ennesimo tassello della studiata decostruzione dell’immaginario di una nazione che ragiona sull’estetica solo nella sua funzione meramente decoratrice, preferendo nicchiare sorniona sulle implicazioni più direttamente filosofiche. Cinema non solo privo di qualità – e in tal senso la non partecipazione de La buca alla Mostra di Venezia va a pregio del comitato di selezione – ma persino pericoloso nella propria ostentazione di velleità mai prossime alla concretizzazione.

Info
Il trailer de La buca.
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