Sicario

Rarefatto ma esplicito nel rappresentare la violenza, sempre pronta ad esplodere in carneficina nelle zone di confine tra USA e Messico, Sicario più che un film d’azione è un accurato affondo nelle menti tormentate dei suoi personaggi. In concorso a Cannes 2015.

Senza regole

In una zona di confine tra Stati Uniti e Messico, dove la legge non conta, Kate è un’agente dell’FBI giovane e idealista, arruolata dal funzionario di una task force governativa per la lotta alla droga per compiere una missione speciale. Sotto la guida di un ambiguo e impenetrabile consulente la squadra parte per un viaggio clandestino, costringendo Kate a mettere in discussione tutto ciò in cui crede per riuscire a sopravvivere… [sinossi]

Il cinema di genere d’autore è un prodotto da maneggiare con cura, da proteggere e difendere come un animale raro. Nelle sue sfilacciature, in quelle piccole grandi imperfezioni, si cela infatti non solo l’intento autoriale, ma anche una chiave preziosa di reinterpretazione dei codici del genere, una loro apertura a innesti inattesi. Dopo l’ottimo Prisoners (e il per ora inedito da noi Enemy) Denis Villeneuve prosegue nella sua ricerca di una via personale al thriller mainstream con Sicario, presentato in concorso a Cannes 2015. Questa volta, il regista del controverso (ed eticamente discutibile) La donna che canta immerge l’agente dell’FBI ligio al dovere incarnato da Emily Blunt nel mondo del narcotraffico, posizionandola al seguito di una squadra speciale governativa poco propensa a seguire un lecito protocollo. A capitanarla d’altronde è un Josh Brolin che partecipa alle riunioni in infradito, coadiuvato da un inquietante Benicio Del Toro, sospetto di doppiogiochismo.

Rarefatto ma esplicito nel rappresentare la violenza, sempre pronta ad esplodere in carneficina nelle zone di confine tra USA e Messico, Sicario più che un film d’azione è un accurato affondo nelle menti tormentate dei suoi personaggi. Sebbene risultino infatti impeccabili dal punto di vista registico, le sequenze action vengono diluite in una serie di momenti di stasi dove, dai ritratti insistiti dei volti e dei corpi dei protagonisti, emerge la loro profonda inquietudine, lo spaesamento, la paura della morte. Impossibile non registrare dunque nel film di Villeneuve una complessiva schizofrenia del ritmo, che lo rende ben distante dallo sviluppo usuale del thriller odierno e più apparentabile, proprio per le sue smagliature narrative, al cinema americano della New Hollywood, con i suoi outsiders un po’ nichilisti e silenti e la sua alta dose di paranoia antigovernativa, a quei tempi figlia della contestazione, oggi di una realtà sempre più multiforme e difficile da interpretare. Al centro di Sicario vi è infatti la necessità per la protagonista di prendere una posizione in una situazione le cui dinamiche sono indecifrabili, mentre l’inganno e il relativo twist narrativo sono sempre dietro l’angolo, ma tardano a manifestarsi.

Sono forse numericamente troppe le sequenze di dialogo che ribadiscono quanto la nostra agente dell’FBI si trovi a disagio in una squadra della quale non comprende né la procedura né i reali obiettivi, ma evidentemente a Villeneuve questa storia interessava più come sfida ed esercizio di stile che altro. In tal senso, l’autore rischia in più di un’occasione di incarnare i panni del turista in una realtà, quale è quella del narcotraffico, distante dalle sue latitudini geografiche come anche dalla sua, sempre più eclettica, poetica. A consolare e a tratti a far completamente dimenticare le lacune del film ci pensa però la strabiliante fotografia di Roger Deakins, intento a profondere la sua luce in una pellicola che del gusto ricercato per l’immagine fa il suo reale punto di forza e il suo primario interesse.

Info
La scheda di Sicario sul sito del Festival di Cannes.
Il trailer italiano di Sicario.
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