Aleksandr Nevskij

Aleksandr Nevskij

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Tra i restauri digitali di Venezia Classici c’è anche il capolavoro di Sergej Ejzenstejn Aleksandr Nevskij, che ritorna a vivere sul grande schermo grazie alla Mosfil’m; l’occasione per godere di una delle visioni indispensabili della storia del cinema.

Sul lago ghiacciato

Russia, XIII secolo. La nazione, già sfiancata dagli attacchi dei mongoli, è vittima dell’offensiva germanica, la più grande e terribile potenza militare d’Europa. Quando i tedeschi, conquistata Pskov, proseguono la marcia verso Novgorod, gli abitanti cercano aiuto e conforto nel miglior guerriero russo, il principe Aleksandr, detto Nevskij, che ha già sconfitto gli svedesi. Aleksandr Nevskij, ora ritiratosi a vita privata come pescatore, accetta l’incarico… [sinossi]

La posizione di Quinlan sul restauro in digitale dei classici della storia del cinema è ben nota, come dimostrano tra le altre le interviste a Paolo Cherchi Usai (leggere qui e qui), Carlo Montanaro ed Emiliano Morreale; con troppa facilità, negli ultimi anni, si ricorre al digitale leggendolo come panacea di tutti i mali, e addossando alla pellicola imprecisate colpe ataviche. Ora che Cannes e Venezia hanno sposato in tutto e per tutto la logica del digitale, sgravandosi dal peso delle retrospettive e preferendo attingere al ricco catalogo delle case di distribuzione e dei laboratori di restauro, è abituale imbattersi in sala in cinefili intenti, più che a (ri)vedere grandi classici del tempo che fu, a controllare lo stato della copia e il lavoro di restituzione dell’originale.
Da questo punto di vista bisogna complimentarsi con la Mosfil’m che, nel rimettere mano ad Aleksandr Nevskij di Sergej Ejzenstejn, ha operato scelte in gran parte condivisibili. Se si eccettua una perdita di qualità nelle prime sequenze (soprattutto nelle inquadrature dal basso verso il cielo nell’incontro tra Aleksandr Nevskij e i mongoli, con le nuvole che a tratti sembravano una macchia indistinta di colore) il lavoro è apparso accurato, filologico nel restituire allo spettatore attuale le scelte fotografiche e di quadro compiute settantasette anni fa da Ejzenstejn insieme al suo fedele direttore della fotografia Eduard Tisse. L’occasione al Lido, dunque, è stata di quelle ghiotte: poter riscoprire sul grande schermo un’opera capitale, uno di quei film che spesso vengono citati senza troppa cognizione di causa, probabilmente più “parlati” che “visti” anche da sedicenti addetti ai lavori.

“Il patriottismo è il mio mondo. L’ho scritto su un pezzo di carta con le mie prime idee sul film in cui avrei riprodotto il XIII secolo, la grande lotta nazionale del popolo russo contro l’aggressione e l’immagine di Aleksandr Nevskij, un eccezionale comandante militare e politico dell’epoca. Il patriottismo è il nostro soggetto: una frase che abbiamo avuto costantemente in mente durante il processo delle riprese, del doppiaggio e del montaggio. Credo che questo motto abbia plasmato la creazione di tutto il film e che adesso riecheggi al suo interno. Il tema della lotta nazionale è all’ordine del giorno in molti angoli del mondo in cui il popolo non ha perso la dignità umana e la fede negli ideali umani. Ci auguriamo che il nostro film incoraggi chi si trova nel bel mezzo della lotta mondiale al fascismo e che inoltre ispiri ottimismo, coraggio e sicurezza a quella parte della popolazione mondiale che crede che il fascismo non possa essere schiacciato – proprio come nel XIII secolo si credeva che l’ordine dei cavalieri fosse invincibile. Non inchinatevi e non strisciate mai di fronte ai fascisti, non piegate le ginocchia in segno di sottomissione. Fermate la politica che ammette e asseconda questo mostro insaziabile. Chi non ha fede dovrebbe ricordare che nessuna forza dell’oscurità e delle tenebre può resistere agli sforzi congiunti della parte migliore, ragionevole, progressista e avanzata dell’umanità”. (S.M. Ejzenstejn, Selected Articles, Moscow, Iskusstvo Publishers, 1956, pp. 389-391)
È necessario partire da queste parole, raccolte in un volume celebrativo a quasi dieci anni dalla morte di Ejzenstejn, per cercare di comprendere il senso di un’operazione come la rievocazione delle gesta militari di Aleksandr Nevskij, principe che guidò nel XIII secolo la Russia a respingere prima gli svedesi e quindi, il 5 aprile 1242, i cavalieri teutonici, la più devastante macchina da guerra di quell’epoca storica. Quando Ejzenstejn si mette al lavoro sul film, gli occhi dello stalinismo lo braccano. Se il regime sovietico ha mal digerito La linea generale (al punto di rimontarne alcune parti e affibbiargli un titolo diverso, Il vecchio e il nuovo), il colpo di grazia ai rapporti con i vertici del PCUS è stato dato dalla trasferta americana del regista, prima negli Stati Uniti del Capitale e quindi nel Messico di Plutarco Elías Calles, dove ha cercato di portare a termine Que Viva Mexico!. Di ritorno in patria, su ordine preciso di Stalin, Ejzenstejn fatica a trovare un suo spazio nella produzione statale, che ha abbandonato la spinta rivoluzionaria e sperimentatrice voluta da Lenin a favore di un realismo socialista che esalti le gesta di contadini e operai. Un’esaltazione che deve però abbandonare la massa a favore del singolo, dell’uomo forte, unico possibile argine all’avanzata del fascismo europeo (per approfondire questo aspetto della storia sovietica, legato anche alla “russificazione” dell’URSS, è consigliabile recuperare l’ottimo Angels of Revolution di Aleksei Fedorchenko, presentato al Festival di Roma lo scorso ottobre).

Di fronte a questo cambio di rotta artistica voluto dai vertici del Partito, Ejzenstejn non ha molte vie d’uscita. Deve anche accettare che sul set, insieme a lui, ci sia un supervisionatore, funzionario del PCUS che monitora che tutto si svolga secondo la dottrina accettata. Partendo da questi presupposti, si può immaginare Aleksandr Nevskij quasi come un lavoro su commissione, ingabbiato in vincoli stretti e bloccato in angoli ottusi.
Se ciò in parte è vero, la realtà dei fatti parla di una delle opere più compiute e complesse dell’intera filmografia di Ejzenstejn. Abbandonando per la prima volta un racconto corale per concentrare la propria attenzione su un unico personaggio – seguendo, almeno all’apparenza, i dettami stalinisti – il regista lettone non si lascia sopraffare dal demone propagandista, elaborando una messa in scena che scardina, con la sua stessa esistenza per immagini, qualsiasi sovrastruttura burocratica.

Nonostante arrivi in piena epoca sonora, e faccia della parola la maggiore arma di propaganda, Aleksandr Nevskij è edificato da Ejzenstejn come se si trattasse di un film muto. Lo dimostra in particolare il montaggio delle sequenze di dialogo: i primi piani dei personaggi a cui sono affidate battute sono sempre intervallati facendo ricorso a un montaggio dialettico. I dialoghi, d’altro canto, sono tutti ripresi in primo piano, mentre per le sequenze che devono trasmettere allo spettatore la dimensione storica (ed epica) della vicenda narrata la scelta si sposta in direzione di totali, campi lunghi e a volte lunghissimi. Ogni singolo personaggio occupa il quadro in un modo preciso, atto a restituire al pubblico il valore morale e il “campo” (la funzione buono/cattivo in Aleksandr Nevskij è inevitabilmente dicotomica) in cui il detto personaggio combatterà.
Ma il vero anello di congiunzione tra questo film e l’epoca del muto – cui Ejzenstejn diede un contributo che non ha molti pari nella storia del cinema, per quanto riguarda lo sviluppo della grammatica cinematografica – è possibile rintracciarlo nell’utilizzo della colonna sonora, firmata da Sergej Sergeevič Prokof’ev, che lavorerà con il regista anche nel successivo Ivan il terribile. L’enfasi della composizione di Prokof’ev accompagna con metrica di rara precisione la progressione narrativa, ma prima ancora emotiva, di Aleksandr Nevskij. Il commento musicale che sovrasta le truci immagini della repressione della popolazione di Pskov da parte dell’armata germanica devasta e raggela l’ascolto anche a distanza di decenni.
Nella messa in scena dei Teutoni, metafora evidente dell’invasore nazista che di lì a poco metterà a ferro e fuoco l’intera Europa (e non solo), cercando anche di invadere l’Unione Sovietica e fallendo, come i suoi antenati – e Napoleone Bonaparte – prima di lui, non si nasconde solo un dovere nei confronti della disciplina di partito, ma anche l’ennesimo tassello nello sguardo sulla barbarie dell’umanità, e sulla furia dell’uomo contro l’uomo. La presa di Pskov è anticipata dalla splendida sequenza con i mongoli, che segna l’ingresso in scena di Nevskij, con le riprese di carcasse umane e animali a giacere nei tumuli d’erba; i bambini gettati nel fuoco, gli uomini impiccati, e infine la celeberrima sequenza della battaglia sul lago ghiacciato, che tanto peso avrà nelle scelte di registi in futuro, sono il simbolo di una riflessione, mai prona, sull’abiezione umana, sulla sopraffazione, e sulla lotta del popolo come unica possibile salvezza. Nevskij è sì l’uomo forte che ha già sconfitto gli svedesi, l’eroe senza macchia e senza paura, ma è anche colui che ha abbandonato le armi per vivere una vita da pescatore, con i pescatori come lui. Il suo esercito è composto da operai, donne, contadini, mercanti. È il popolo a scendere in guerra. Il popolo contro un esercito. Una scelta, a ben vedere, non poi così prossima al pensiero unico stalinista.

Aleksandr Nevskij, nel 1938, contribuisce a donare un nuovo ordine all’idea stessa di rappresentazione dell’epica, riprendendo dal passato ma guardando (come sempre per Ejzenstejn) al futuro. Non è certo casuale la scelta di molti cineasti di rifarsi idealmente a questo film per la creazione di sequenze di battaglia maestose e geometriche nella loro messa in scena. Dal Kubrick di Barry Lyndon al Welles di Falstaff, dal Dottor Zivago fino al Conan il barbaro di John Milius, la storia del cinema è disseminata di omaggi, riprese, sequenze ispirate a questo caposaldo. Un’opera in grado di atterrire, meravigliare, divertire, appassionare, lasciare a bocca aperta. Perché, e forse troppo spesso si tende a dimenticarlo, Sergej M. Ejzenstejn fu un regista “popolare”, in un’accezione che oramai sembra desueta, e i suoi film furono sempre pensati per il popolo. E questo, in un URSS che aveva ben presto abbandonato qualsiasi riferimento rivoluzionario e marxista, fu la sua condanna.

Info
Aleksandr Nevskij: la celeberrima sequenza della battaglia sul lago dei Ciudi.
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