Rogue One: A Star Wars Story

Rogue One: A Star Wars Story

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Il primo episodio della Star Wars Anthology, Rogue One: A Star Wars Story, è una sorta di risarcimento: ai coraggiosi che hanno recuperato i piani della Morte Nera; ai fan disperati che non hanno mai mandato giù Jar Jar Binks e tutto quel che segue; agli spettatori che ne Il risveglio della Forza hanno visto soprattutto un Guerre stellari in tono minore. Decisamente minore. Rogue One trova la sua ragion d’essere nei chiaroscuri, tra le pieghe della storia originale, nei sussurri della Forza, nella difficoltà della battaglia.

Prima di Yavin, prima di Endor

In un periodo di conflitto un improbabile gruppo di eroi intraprende una missione per sottrarre i piani della più potente arma di distruzione di massa mai ideata dall’Impero, la Morte Nera. Questo evento, fondamentale per la storia di Star Wars, spingerà delle persone ordinarie a unirsi per realizzare imprese straordinarie, diventando parte di qualcosa di più grande… [sinossi]
Non è una luna quella,
è una stazione spaziale.
Obi-Wan Kenobi – Guerre stellari

Tra le pieghe della storia originale, della prima trilogia, si può trovare terreno fertile per nuovi racconti, per rinnovare il mito, per non farsi ingabbiare da personaggi e snodi narrativi troppo ingombranti. Potrebbe essere una sorta di episodio 3 e ½ Rogue One: A Star Wars Story, ma è più un 3.9, un quasi quattro, una dilatata (e dovuta) premessa a Guerre stellari – o, se si preferisce, Star Wars IV – Una nuova speranza.
Tracciata la strada da J. J. Abrams e dal suo Star Wars: Il risveglio della Forza, ai nuovi timonieri basta seguire la rotta del rispetto filologico e dell’effetto nostalgia, ma senza il fardello di Han Solo, di Leia Organa e di un sequel che sembrava un timoroso remake. Rogue One si tiene ovviamente a distanza di sicurezza dalla seconda e contestatissima trilogia prequel, a partire dalla sobrietà della messa in scena, della composizione dello spazio sci-fi. Si respirano, insomma, le atmosfere degli anni Settanta/Ottanta, si gongola visivamente negli spazi e nei paesaggi ariosi e non ingolfati da inutili orpelli in computer grafica. Ci si immerge in un’avventura già decodificata, ma che non appare scontata. Ritroviamo quello spirito eroico e un po’ ingenuo. La Forza è basilare e non arzigogolata.
Questi personaggi usciti dall’ombra sembrano dei compagni mancati di Luke e Obi-Wan, eroi che finalmente trovano la giusta collocazione. Rogue One è una sorta di risarcimento: ai coraggiosi che hanno recuperato i piani della Morte Nera; ai fan disperati che non hanno mai mandato giù Jar Jar Binks e tutto quel che segue; agli spettatori che ne Il risveglio della Forza hanno visto soprattutto un Guerre stellari in tono minore. Decisamente minore.

Non è un meccanismo perfetto Rogue One: A Star Wars Story. Anzi. Probabilmente dovremmo aspettare un po’ per capire il peso degli interventi di Tony Gilroy, chiamato a dare una mano a Gareth Edwards, ma lo squilibrio tra la prima e la seconda parte appare piuttosto evidente, come se mancasse qualcosa, soprattutto qualche (altra) pennellata cupa. È qui, in questi riflessi oscuri che sembrano sempre pronti a prendere il sopravvento, che lo spin-off Rogue One guadagna terreno sul sequel Il risveglio della Forza e trova un suo senso compiuto, una ragion d’essere. Rogue One è la storia che negli anni della prima trilogia non ci avrebbero mai raccontato, è una storia di chiaroscuri, di mani sporche di sangue, di errori e ingiustizie. Di redenzione. È una storia che non può ancora aggrapparsi alla Forza, ma la rende comunque viva, pulsante. Guardando Rogue One: A Star Wars Story riusciamo a intravedere Obi-Wan Kenobi, Luke Skywalker, Han Solo. Quattro decenni dopo, Edwards e Gilroy poggiano le basi per qualcosa che in realtà c’è già stato. Un bel paradosso, ma ha funzionato.

Meccanismo imperfetto, si diceva. L’imperfezione è evidente soprattutto in quel ponte che non si vuole abbattere: la presenza del gelido Wilhuff Tarkin, un Peter Cushing fatto di pixel, è una scorciatoia narrativa che ci mette di fronte ai limiti della computer grafica. I paesaggi, le astronavi, i dettagli microscopici o la mastodontica Morte Nera trasudano fotorealismo; il Cushing ricostruito non è mai vero, nemmeno per un istante. E non è il solo.
Pur senza gli eccessi de Il risveglio della Forza, questo primo episodio della Star Wars Anthology non riesce a rinunciare alle rassicuranti icone, alle loro spalle larghe. In parte non può – si pensi a Darth Vader, che di umano ha però ben poco ed è prima di tutto un magistrale oggetto di design. Nella sceneggiatura scritta a più mani sopravvivono quelle che sembrano delle scorie, agganci per il pubblico. Ma questi specchietti per le allodole sono traditi dai pixel, dalla loro stessa natura di simulacri virtuali.

I numerosi e inevitabili déjà-vu non disturbano, fanno parte di un universo narrativo coerente, rientrano in una più che accettabile dialettica di richiami e rimandi. Fortunatamente Rogue One non è un film clone, ed è abitato da personaggi che hanno sangue caldo nelle vene, come la coppia sui generis Chirrut Îmwe & Baze Malbus. Perché, sì, la Forza vuole i suoi rappresentanti, meglio se asiatici, per assicurarsi fette ancor più ampie di mercati in bulimica espansione, ma Donnie Yen e Jiang Wen riempiono lo schermo, hanno fisicità fuori dal comune e smisurato talento attoriale. A Rogue One non serve cercare disperatamente un nuovo Han Solo, basta dare spazio alle pirotecniche arti marziali di Donnie Yen, al vigore di Jiang Wen, al dolore di Jyn Erso (Felicity Jones) e Cassian Andor (Diego Luna) o ai circuiti colmi di ironia e umanità di K-2SO. Il primo passo della Star Wars Anthology non è infatti indietro, semmai a lato, a scoprire ad esempio una nuova spalla robotica: non solo comica, ma anche d’azione, per stazza e utilità più vicina a Chewbecca che al ciarliero e spassoso droide umanoide C-3PO.
Rogue One rimette a posto tasselli smarriti, proseguendo la declinazione al femminile de Il risveglio della Forza. Jyn Erso è un’eroina in anticipo sui tempi. E forse proprio per questo possiamo incontrarla solo ora e non nel 1977 – giocando coi paradossi temporali, annotiamo una data, il 1979 di Alien, e immaginiamo una bella amicizia tra Jyn ed Ellen Ripley.

Questa storia di spie, sabotatori e ribelli, un po’ sporca dozzina, con la normalità che reclama il proprio spazio accanto alla Forza, sembra quasi voler riequilibrare i festosi eccessi e la giocosità de Il ritorno dello Jedi. Una sorta di specularità, di rovesciamento realistico. La battaglia finale di Rogue One, fortunatamente senza traccia di ewok, è un vero e proprio teatro di guerra, drammatico, inteso e caotico, senza respiro. Senza quelle parentesi retoriche che solitamente accompagnano i caduti. Perché nel furore della battaglia è il tempo a dettare il ritmo, non le lacrime. E così, prima del didascalico riaggancio a Guerre stellari, un po’ meccanico e poco aiutato dai pixel, il vero finale si consuma prima del ritorno alla trilogia classica.
Dovremmo saperlo, gli eroi son tutti giovani e belli.

Info
Il trailer italiano di Rogue One: A Star Wars Story.
Rogue One: A Star Wars Story, il sito ufficiale.
La pagina facebook di Rogue One: A Star Wars Story.
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