Forgotten Silver

Forgotten Silver

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Forgotten Silver è uno dei più travolgenti e geniali mockumentary della storia del cinema, con ogni probabilità il capolavoro di Peter Jackson.

L’invenzione del cinema

Nella cittadina neozelandese di Pekua Bay, dove il regista Peter Jackson è cresciuto, la sua vicina di casa e amica di famiglia Hannah McKenzie, da lui conosciuta come “zia Hannah”, ha conservato in un baule le vecchie pellicole girate dal marito Colin. Jackson è convinto si tratti solo di pellicole amatoriali, filmini di famiglia, importanti da un punto di vista di documentazione storica ma non da un punto di vista cinematografico, invece scopre un incredibile tesoro, una straordinaria collezione di pellicole in 35mm. È l’inizio della riscoperta di un genio misconosciuto, di un autentico gigante del cinema delle origini, anticipatore delle maggiori invenzioni tecniche (sonoro, colore), ma che la storia ha finito col  dimenticare. [sinossi]

Fra tutti i progetti portati avanti da Peter Jackson nel corso della sua più che ventennale carriera (fin dall’esordio Bad Taste, finito nel 1987 dopo una lavorazione durata tre anni), è concreto il rischio che un titolo come Forgotten Silver venga sottovalutato dallo spettatore medio. Non giocano infatti a suo favore né la durata, di poco inferiore all’ora, né tantomeno il fatto che si tratti di una produzione televisiva [1]; tutto questo evitando di puntare l’accento sulla mancanza di una distribuzione sul suolo italico – elemento, quest’ultimo, che accomuna il film a Meet the Feebles, altra folle creatura jacksoniana sconosciuta ai più. Chi non ebbe l’occasione di visionare il film in giro per i festival di mezzo mondo, ricorderà forse i passaggi notturni all’interno del palinsesto di Fuori Orario – Cose (mai) viste, unico spazio – esclusi i cineclub – in cui questo caposaldo del cinema contemporaneo ha avuto la possibilità di trovare una propria collocazione. Nonostante il crudele disinteresse mostrato nei suoi confronti, Forgotten Silver è un’opera di capitale importanza per chiunque avesse voglia di comprendere il ruolo svolto da Peter Jackson nell’immaginario collettivo di questi ultimi decenni.

Come probabilmente sarà stato possibile comprendere gettando uno sguardo alla breve sinossi che apre questa disamina, Forgotten Silver racconta il viaggio alla scoperta di un vero e proprio pioniere del cinema, in grado di precedere lo sviluppo della settima arte di anni, in alcuni casi di decenni. Per coloro che si stessero ponendo l’amletico dubbio, urge precisare che Colin McKenzie, l’eroe della vicenda, non è mai esistito. Forgotten Silver è infatti un mockumentary [2], probabilmente uno dei migliori mai venuti alla luce. A tal proposito è interessante notare come nel corso del 1995 uscì un film che, per una serie di motivi, può essere considerato una sorta di gemello di Forgotten Silver. Si tratta de I fratelli Skladanowsky, elegante ma in fin dei conti sterile gioco con la materia cinematografica portato avanti da Wim Wenders; laddove il film di Wenders, anch’esso dedicato a fantomatici precursori del cinema, si diverte principalmente a rimettere in scena tecniche e stili che hanno segnato le origini del cinema, disperdendo di fatto il tutto in un ammiccante, per quanto estremamente curato calembour a uso e consumo dei cinefili di stretta osservanza, Peter Jackson ha uno scopo diverso, e ben più complesso. Per quanto non manchi la strizzatina d’occhio allo spettatore, soprattutto nelle carambolesche disavventure cui incappa il giovane McKenzie nel cercare di raggiungere il sogno di diventare un regista, Forgotten Silver non è un semplice divertissement. Potrà anche apparire un goliardico – aggettivo utilizzato da ben più di un critico nei confronti del film – gioco, ma l’impressione è che alle spalle del progetto ci sia davvero molto di più: Forgotten Silver è l’ultima frontiera dell’utopia, la cristallizzazione definitiva di quell’ideale cinema bigger than life che il regista neozelandese ha sempre perseguito con estrema coerenza. Non si tratta solo di veleggiare attraverso lo sviluppo di un’arte e di un’intera evoluzione culturale globale – il volo, l’avvento del capitalismo, la rivoluzione sovietica – perché nascosto nelle finte pellicole d’epoca del capolavoro invisibile Salomé è possibile rintracciare il senso stesso della poetica cinematografica di Jackson. È lui, prima di ogni altro, a rispecchiarsi negli occhi, nei fermenti e nelle follie di Colin McKenzie, e come quest’ultimo riprende involontariamente la sua morte nel tentativo disperato di salvare un repubblicano spagnolo colpito da un proiettile nella battaglia di Malaga contro i franchisti [3], così Jackson ha dimostrato di essere in grado di affrontare le più ardue difficoltà per raggiungere quella sottile terra di mezzo che divide l’esistenza reale, materiale, terrena e terracea, con quella immateriale, visibile ma intoccabile, del cinema. Una ricerca che si è andata rinnovando film dopo film, anno dopo anno, ma che ha senza dubbio trovato in Forgotten Silver, dolce, divertito e disperato melodramma documentario che documentario non è, l’apice del suo percorso.

Note
1. L’unica, finora, nella filmografia del regista neozelandese.
2. Ovvero un “falso documentario”. Per una seppur breve analisi del genere rimandiamo alla recensione de Il quarto tipo, presente su queste pagine.
3. In una sequenza di raro impatto emotivo che sottolinea, per chi ha voglia di notarlo, la falsità alle spalle dell’intero progetto (se McKenzie sta soccorrendo il repubblicano, chi sta girando la manovella per riprendere la scena?).
Info
Il trailer di Forgotten Silver.
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