L’arrivo di Wang
di Antonio Manetti, Marco Manetti
Divertente gioco cinefilo a tratti rischiosamente in bilico sul crinale che divide l’ingegno dalla sterilità, L’arrivo di Wang è un prodotto medio di quelli che in Italia nessuno sembra più interessato a portare a termine.
Gli alieni sono tra noi
Gaia, un’interprete di cinese, viene chiamata per una traduzione urgentissima e segretissima. Si troverà di fronte Curti, un agente privo di scrupoli, che deve interrogare un fantomatico signor Wang. Ma, per la segretezza, l’interrogatorio avviene al buio e Gaia non riesce a tradurre bene. Quando la luce viene accesa Gaia scoprirà perché l’identità del signor Wang veniva tenuta segreta. Un incontro che cambierà per sempre la sua vita. E quella di tutto il pianeta… [sinossi]
L’alieno è dentro di me
sotto la pelle mia, sotto la pelle mia
Aguirre, L’alieno
L’opera quarta dei fratelli Manetti (considerando anche il misconosciuto Torino Boys, da ricordare oggi più che altro come fotografia degli anni Novanta, con la colonna sonora che mette insieme gruppi dell’underground hip hop come Sottotono, Flaminio Maphia, Colle der fomento e Sangue Misto) arriva in sala a distanza di sei mesi dalla proiezione veneziana, culminata in un lungo applauso che ha riempito la Sala Grande. Un battito di mani che sembrava un andare anche oltre all’apprezzamento del film, racchiudendo al suo interno il liberatorio grido di una generazione dispersa, che guardava al cinema di genere come alla chimera in grado di donare nuovo vigore alla produzione cinematografica italiana. Dopo un decennio passato nella più totale clandestinità distributiva, generi come l’horror, il thriller e la fantascienza tornano ad affacciarsi sullo scenario nazionale: si tratta sempre nella stragrande maggioranza dei casi di produzioni indipendenti, destinate a incidere in maniera solo marginale sul box office, ancora incatenato a regole commerciali dettate dall’imperante commedia, ma quantomeno qualcosa si sta iniziando a muovere.
Il merito ovviamente va anche a operazioni come quelle portate avanti dai Manetti bros.: dal pastiche trans-genere Zora la vampira, horror in salsa hip hop con venature grottesche e parodistiche, il duo è passato al claustrofobico Piano 17, thriller che faceva del low-budget una virtù, per approdare oggi dalle parti della fantascienza. L’intuizione da cui parte L’arrivo di Wang è davvero fulminante: se gli alieni dovessero realmente prendere in considerazione l’idea di invadere la Terra per assoggettarla al loro volere, non sceglierebbero forse di esprimersi in mandarino, la lingua più parlata al mondo con più di ottocento milioni di madrelingua sparsi per il globo? Il signor Wang, portavoce di una realtà proveniente da un altro pianeta, diventa dunque l’ironico simbolo dell’ipotetica rilettura del termine fantascienza: l’impossibilità a relazionarsi tra umani e alieni nasconde al suo interno la metafora di un mondo in cui la barriera linguistica viene ancora vista come una roccaforte dietro la quale trincerarsi. Una lettura legittima e per certi versi inevitabile, ma che viene portata in scena dai Manetti solo in modo superficiale: ciò che realmente interessa i due registi romani è semmai la concreta possibilità di confrontarsi con lo sci-fi senza dover ricorrere a budget astronomici, mescolandolo al poliziesco. Per certi versi infatti L’arrivo di Wang è più che altro incentrato sul lungo interrogatorio che funge da filo conduttore dell’intero film: una scelta che devia dunque dal tracciato del genere di riferimento.
Peccato che i fratelli Manetti sembrino più interessati all’idea che allo svolgimento della stessa: la narrazione de L’arrivo di Wang presenta infatti delle falle sul percorso, tra buchi e momenti di stanca, che rischiano di minare l’intero impianto allestito per l’occasione. Sebbene la regia sia ben supportata da un Ennio Fantastichini regolarmente sopra le righe e da una assai più trattenuta – ma non disprezzabile – Francesca Cuttica, non tutto appare ben oliato: in particolar modo è la parte centrale, quella in cui dopo la scoperta dell’identità del signor Wang il film dovrebbe decollare, a lasciare più di un dubbio, riscattato fortunosamente da un finale illuminato e dissacrante. Divertente gioco cinefilo a tratti rischiosamente in bilico sul crinale che divide l’ingegno dalla sterilità, L’arrivo di Wang è un prodotto medio di quelli che in Italia nessuno sembra più interessato a portare a termine: è come se il film stesso (e il cinema popolare in generale) fosse Wang, alieno incompreso e temuto, costretto a subire le angherie di un potere ottuso e violento. Ma, chissà, pronto ad alzare la testa e a reagire quando meno ce lo si aspetta.
Info
Il trailer de L’arrivo di Wang.
Il teaser de L’arrivo di Wang.
L’arrivo di Wang su wikipedia.
- Genere: fantascienza
- Titolo originale: L'arrivo di Wang
- Paese/Anno: Italia | 2011
- Regia: Antonio Manetti, Marco Manetti
- Sceneggiatura: Antonio Manetti, Marco Manetti
- Fotografia: Alessandro Chiodo
- Montaggio: Federico Maria Maneschi
- Interpreti: Angelo Nicotra, Antonello Morroni, Carmen Giardina, Claudio Lullo, Ennio Fantastichini, Francesca Cuttica, Furio Ferrari, Jader Giraldi, Juliet Esey Joseph, Li Yong, Marco Iannitello, Massimo Triggiani, Rodolfo Baldini
- Colonna sonora: Aldo De Scalzi, Pivio
- Produzione: Manetti bros. Film
- Distribuzione: Iris Film
- Durata: 80'
- Data di uscita: 09/03/2012
