Venere in pelliccia

Venere in pelliccia

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Nel mettere in scena la messa in scena di un adattamento, Polanski moltiplica all’infinito le potenzialità espressive del suo cinema: Venere in pelliccia è ritmato da un montaggio serrato, in cui i diversi angoli di ripresa permettono allo spettatore di essere trascinato nel mezzo di questa disfida infinita tra regista e attrice, uomo e donna, dominatore e dominata.

Dominatori e dominati

Solo in un teatro parigino dopo una giornata passata a provinare attrici per la pièce che si appresta a portare in scena, Thomas si lamenta al telefono sulla pietosa performance dei candidati. Nessuna ha infatti la gamma espressiva richiesta per ottenere il ruolo principale e il regista si prepara ad andarsene quando irrompe nel teatro Vanda, vera e propria tempesta di energia, sfrenata e sfacciata. Vanda incarna tutto ciò che Thomas detesta: è volgare, frivola, e non si ferma davanti a nulla per ottenere la parte. Ma, in parte costretto, Thomas le permette di avere una chance e rimane stupefatto davanti alla metamorfosi di Vanda. Non solo la donna si è procurata accessori e abiti di scena, ma ha compreso perfettamente il personaggio e conosce tutte le linee di dialogo a memoria. Via via che l’audizione si prolunga e aumenta di intensità, l’attrazione di Thomas si trasforma in ossessione… [sinossi]
– Il vostro cane avrà un nome da intellettuale. Bourdieu?
– …Derrida
Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric, dal film

A solo pochi mesi dai festeggiamenti per i suoi ottant’anni, di cui più di cinquanta trascorsi dietro la macchina da presa e arricchiti da venti lungometraggi, una dozzina di corti e svariate apparizioni come attore in film altrui, Roman Polanski può essere inserito di diritto nel lotto di pretendenti a un ipotetico premio che decreti il più grande regista di interni della storia del cinema. Anche in opere apparentemente pronte a confrontarsi con le riprese en plein air (si pensi alle incursioni “in barca” dell’esordio Il coltello nell’acqua e di Pirati, tanto per fare un esempio), il regista polacco ha sempre prediletto una messa in scena al chiuso, in cui le mura rappresentassero la culla/prigione dei protagonisti dei suoi film. Sono gli appartamenti, le case, gli edifici a rappresentare l’angoscia di vivere che si trasforma in sprezzante riflessione sulle interrelazioni umane: titoli come Repulsion, Cul-de-sac, Rosemary’s Baby, L’inquilino del terzo piano e La morte e la fanciulla hanno spinto la poetica di Polanski verso un’estremizzazione mai banale o gratuita del concetto di carceriere e carcerato, spesso racchiusi nel medesimo personaggio.Eppure la sua regia non si è mai distinta per un approccio accomunabile a quello generalmente definito “teatrale” (concetto labile e sempre in bilico sul crinale del fraintendimento), eccezion fatta forse per il recente Carnage, programmatico gioco al massacro tratto da una pièce della drammaturga parigina Yasmina Reza e reso sullo schermo da Polanski facendo ampio ricorso al piano-sequenza.

Anche Venere in pelliccia – venduto a livello internazionale con il titolo inglese Venus in Fur –, ultimo film tra quelli presentati in concorso alla sessantaseiesima edizione del Festival di Cannes, è l’adattamento per il grande schermo di un testo ideato e scritto per il proscenio teatrale: prende infatti vita dalla pièce dello statunitense David Ives, allestita per la prima volta nel 2010 a New York. Lo stesso Ives si è occupato di scrivere la sceneggiatura su cui si è messo all’opera Polanski, agendo con spirito diametralmente opposto rispetto a Carnage. Laddove il cineasta di stanza a Parigi aveva prediletto uno stile volutamente artefatto, ricreando una New York fittizia in un interno francese, in Venere in pelliccia l’artificio viene gettato in faccia agli spettatori senza alcun giro di parole. Non esiste ricreazione di nulla nell’ultimo film di Polanski, del tutto disinteressato all’idea stessa di simulazione della realtà e concentrato, al contrario, a rendere davanti alla macchina da presa le evoluzioni del rapporto frastagliato, tumultuoso e ambiguo tra il regista Thomas e la “provinata” Vanda. Il primo sta per portare in scena un adattamento di Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch (opera capitale a cui si ispirarono anche i Velvet Underground per la loro Venus in Furs), la seconda non ha fatto in tempo ad arrivare nell’orario previsto per i provini ma vuole a tutti i costi ricevere un’audizione per la parte della protagonista Vanda, con la quale condivide persino il nome di battesimo.

Nel mettere in scena la messa in scena di un adattamento, Polanski moltiplica all’infinito le potenzialità espressive del suo cinema, facendo volare libera la macchina da presa: Venere in pelliccia è ritmato da un montaggio serrato, in cui i diversi angoli di ripresa permettono allo spettatore di essere trascinato nel mezzo di questa disfida infinita tra regista e attrice, uomo e donna, dominatore e dominata (e viceversa). Il regista di interni, ingabbiato nelle quattro mura per scelta e per necessità – la Francia è uno dei pochi rifugi sicuri, in un mondo che vorrebbe ancora in parte vederlo processato per i fatti che videro coinvolta nel 1977 l’allora tredicenne Samantha Geimer – usa l’unica sua vera arma a disposizione, il Cinema, per scardinare il meccanismo stesso di rapporto personale.Anche per questo il film si trasforma fin dalle prime battute in una divertita – ma anche dolorosa e coraggiosa – autoanalisi, complice la presenza in scena della moglie Emmanuelle Seigner e di un Mathieu Amalric la cui postura e il fisico non possono che alimentare dubbi sul suo ruolo di alter ego del cineasta: entrambi protagonisti di una performance da lasciare senza fiato, in grado di reggere la scena splendidamente per un’ora e mezza senza dover fare ricorso nemmeno a buona parte degli attrezzi di scena – come palesa la sequenza del caffé immaginario bevuto sul palco. Intanto il mondo esterno, spazzato dal vento e sovrastato dalla bella colonna sonora di Alexandre Desplat dalle timbriche vagamente raveliane, resta escluso, inospitale e privo d’interesse. Non c’è più spazio per il “reale” nel cinema di Polanski, perché troppo miserabile, vuoto, prevedibile (gli unici elementi di banalità quotidiana dell’intero film sono rappresentati dalle discussioni telefoniche di Thomas con la sua compagna, che lo attende a casa): solo l’arte può ancora svolgere un ruolo destabilizzante. Sarcastico, crudele, ironico e al contempo disperato, Venere in pelliccia è l’ennesimo colpo di coda di un regista indispensabile, nonostante sia recluso. O forse proprio per quello.

Info
Venere in pelliccia sul sito della 01 Distribution.
Il trailer italiano di Venere in pelliccia.
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