Allacciate le cinture

Allacciate le cinture

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Dopo la vacuità assoluta di Magnifica presenza, Ozpetek prova a tornare a raccontare qualcosa: ma il suo nuovo film, Allacciate le cinture, è indeciso se mettere in scena la storia di un amore o quella di una malattia.

Magnifica assenza

Elena ama Antonio di una passione improvvisa e corrisposta, nonostante lui sia il classico bruto: meccanico, razzista, di poche parole e persino dislessico. Quattordici anni dopo i due hanno una prole, lei ha fatto carriera, mentre lui è rimasto uguale a se stesso, scontroso e insopportabile. La malattia di lei cambierà, forse, le carte in tavola. [sinossi]

Continuando a occhieggiare ad Almodóvar, stavolta Ferzan Ozpetek incappa nella certificazione di una impossibilità: quella di mescolare i toni, di saper saltare agevolmente dal dramma alla commedia, di mischiare amore, malattia e romanticismo assoluto e un po’ decadente. Tutte capacità che il cineasta spagnolo mostra di saper maneggiare sempre – anche nei suoi lavori meno riusciti – e i cui oscuri meccanismi sfuggono invece al regista turco-italiano in maniera molto evidente nel suo nuovo film, Allacciate le cinture.
Certo, rispetto all’assoluta vaghezza di Magnifica presenza, film che si fregiava della sua inconsistenza, qui Ozpetek torna a provare a raccontare una storia: quella di Elena, barista con l’aspirazione di aprire un suo locale, che si innamora del rozzo Antonio e lo “ruba” alla sua amica. Ma, quattordici anni dopo, la malattia rimetterà in discussione il rapporto. Però, l’ellissi improvvisa e arbitraria di questi quattordici anni – che arriva quasi a metà pellicola – spezza il film in due tronconi, che non comunicano tra loro. Tra la prima e la seconda parte è come se si muovessero due mood completamente differenti, con tanto di personaggi che vanno e vengono. Nella prima, ad esempio, Carolina Crescentini e Francesco Scianna sono tra i protagonisti; nella seconda spariscono e lasciano il posto a Paola Minaccioni e, in parte, Luisa Ranieri. Il trait d’union dovrebbe essere dato dall’amore tra i due protagonisti, Kasia Smutniak e Francesco Arca; ma la loro storia d’amore, al di là del classico bagno a mare, non ha modo né tempo di esplicarsi a dovere, ingolfata e annacquata dai mille rivoli e personaggi secondari con cui Ozpetek continua a riempire i suoi film: il gay Scicchitano (sostanzialmente un doppio della Crescentini), la mamma della Smutniak, interpretata da Carla Signoris che ha una strana (strana nel senso che non viene mai davvero esplicitata) relazione lesbo con Elena Sofia Ricci, e via dicendo.

Se la coralità aveva un senso in Saturno contro o in Mine vaganti, non si capisce bene da cosa debba essere motivata nell’occasione presente di Allacciate le cinture, dove la frase di lancio – “un grande amore non avrà mai fine” – è ingannevole, visto che di questo amore non si parla se non a tratti. Il motore primo di Ozpetek sembra essere quello invece di regalare ai suoi attori parti un po’ esuberanti e sopra le righe, con tutto l’accessorio di macchiette e siparietti a sé stanti che ne consegue. L’intento probabilmente sarebbe, per l’appunto, quello di fare l’Almodovar all’italiana (e forse non è un caso che il titolo, Allacciate le cinture, rimandi – pur non essendoci neppure un aereo – all’ultimo film di Almodovar, Gli amanti passeggeri, sgangherato quanto si vuole e pieno di macchiette ma continuamente spiazzante e quasi stordente).

Quel che resta allora è lo smisurato narcisismo e l’insistito auto-compiacimento di un autore che probabilmente non ha più voglia di raccontare delle storie, quanto di gongolarsi con il suo cast e che, in questo caso, rispetto a Magnifica presenza, ha solo provato un po’ a nascondere la vacuità dell’assunto. L’unico elemento d’interesse allora diventa proprio il negletto Francesco Arca, scelto per la sua prestanza e per quel suo essere vagamente monolitico, un oggetto del desiderio puramente registico, come un tempo poteva essere Brigitte Bardot. Se infatti gli altri attori in scena devono far finta di essere dei personaggi – e in tal senso prestano le loro facce, imparruccate o meno – Arca presta il suo corpo, lo mette al servizio dello sguardo registico e spettatoriale, in un recupero – questo sì sincero e primario – della elementare pulsione scopica.

Info
La pagina di Allacciate le cinture sul sito della 01 Distribution.
Il trailer di Allacciate le cinture su Youtube.
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