Nessuno si salva da solo

Nessuno si salva da solo

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Con il suo quinto film da regista, Nessuno si salva da solo, Sergio Castellitto continua a perseguire un cinema esuberante, eccessivo e fuori controllo, al servizio di storie improntate a un innocuo e stucchevole sentimentalismo, con risultati stavolta forse ancora più incerti che in passato.

Siamo soli

Delia e Gaetano sono stati sposati e hanno due figli. Lei, che in passato ha sofferto di anoressia, è una biologa nutrizionista; lui è uno sceneggiatore di programmi TV. I due si incontrano a cena e ripercorrono tutta la loro esistenza… [sinossi]

Vedendo il nuovo lungometraggio da regista di Sergio Castellitto, Nessuno si salva da solo, diventa forse per la prima volta davvero lampante quale sia l’enorme e insormontabile limite del suo cinema: un’esuberanza, un gusto per l’eccesso e per lo sberleffo – che sembrano direttamente figli del suo essere attore – messa al servizio però di un impianto moralistico, perbenista e consolatorio – che invece sembra derivare dall’impronta autoriale della scrittrice Margaret Mazzantini, moglie del regista e sceneggiatrice di tutti i suoi film, compreso quest’ultimo. Rispetto al passato, infatti, in Nessuno si salva da solo – che per l’appunto è tratto dal romanzo omonimo della Mazzantini – mancano sia l’affresco storico (Venuto al mondo), sia il racconto corale che mischiava le carte e rendeva il tutto meno definibile (La bellezza del somaro), sia la presenza scenica comunque carismatica e controllata dello stesso Castellitto (Non ti muovere e Libero burro). Così quel che rimane è una storia esile (una coppia in crisi che si incontra a cena e riflette sul passato in comune e sugli errori fatti), affidata a due soli attori – Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca – che si trovano perciò costretti a portare la croce dall’inizio alla fine.

Riducendo – volontariamente o meno – all’osso gli strumenti a sua disposizione, Castellitto si auto-condanna a fare i conti con l’essenza del suo mondo autoriale, lasciando quindi emergere un conflitto irrisolvibile. Del resto, partendo dall’impianto di un melò che più classico non si può – come è il caso di Nessuno si salva da solo -, non si può svicolare cambiando costantemente di tono, con velleitarie quanto insensate piroette registiche (la macchina a mano, l’insistenza sui dettagli), di montaggio (stacchi rapsodici) e di recitazione (attori che sussurrano innamorati, poi subito dopo strillano come pazzi insultandosi). Se, ad esempio, si costruisce una sequenza romantica e malinconica, perché far fare, in chiusura di scena, una capriola a Scamarcio a rompere l’atmosfera? O si vogliono decostruire con consapevolezza i codici del melodramma o si vuole appesantire così tanto ogni singola situazione per paura di un non meglio identificato horror vacui. E crediamo che proprio quest’ultimo sia il caso di Nessuno si salva da solo.

D’altronde, stavolta, la situazione di partenza era davvero difficile da maneggiare, a cominciare dall’alternanza meccanica e didascalica tra il presente della lunghissima cena in cui i personaggi di Scamarcio e di Jasmine Trinca si ritrovano insieme e il passato illustrato con ripetitivi flashback di vita in comune. E a far deragliare definitivamente il tutto ci si mette anche il sotto-tema dell’anoressia, buttato lì a caso e usato in apparenza solo per rispondere a un ulteriore gusto scenico per l’eccentrico, che sarebbe poi la volontà di truccare Jasmine Trinca con dei denti consumati dalla malattia.
Aggredire la vita – e il cinema – con uno sberleffo e con l’intenzione di agire sempre sopra le righe non basta, se non si ha sufficiente auto-ironia per mettere davvero in discussione tutto quanto, a partire da un melò piatto e prevedibile e da personaggi annichiliti in un mare di incoerenze. Allora, di fronte a un incedere fuori controllo e a un esasperato spreco di energie al servizio della banalità, non si può che concludere che la montagna abbia finito per partorire il classico topolino.

Info
Il trailer di Nessuno si salva da solo.
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