Fortunata

Fortunata

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Presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard e già nelle sale, Fortunata di Sergio Castellitto cerca di essere un romanzo popolare, di immergersi nella sofferta quotidianità di una giovane madre, di una parrucchiera che lotta in un quartiere periferico, multietnico, malandato. Un cinema colorato, urlato, con sprazzi di vita, ma artificioso e dallo sguardo pigro, troppo distante dalla realtà che vorrebbe raccontare.

Beh, parlo Torpigna!

Fortunata ha una vita affannata, una bambina di otto anni e un matrimonio fallito alle spalle. Fa la parrucchiera a domicilio, parte dalla periferia dove abita, attraversa la città, entra nelle case benestanti e colora i capelli delle donne. Fortunata combatte quotidianamente con determinazione per conquistare il proprio sogno: aprire un negozio di parrucchiera sfidando il suo destino, nel tentativo di emanciparsi e conquistare la sua indipendenza e il diritto alla felicità. Fortunata sa che per arrivare fino in fondo ai propri sogni bisogna essere fermi: ha pensato a tutto, è pronta a tutto, ma non ha considerato la variabile dell’amore, l’unica forza sovvertitrice capace di far perdere ogni certezza. Anche perché, forse per la prima volta, qualcuno la guarda per la donna che è e la ama veramente… [sinossi]

C’è Vivere di Vasco Rossi, ma c’è anche l’intramontabile Have You Ever Seen The Rain dei Creedence Clearwater Revival nell’Awesome Mix Vol. 1 di Fortunata di Sergio Castellitto. C’è una sensuale Jasmine Trinca, corpo popolare e generoso, in bilico precario sui tacchi troppo alti, spogliato dall’estate torrida, abusato dal marito (quasi ex). C’è una Torpigna italo-cinese, povera e depressa, con Largo Pettazzoni che sembra una condanna eterna, una prigione senza via d’uscita, un non-luogo lontano dallo sguardo della Fortuna. E poi la macchina da presa che non si ferma mai, i ralenti imperdonabili, gli snodi emotivi-narrativi gettati nel mucchio e il romanzo popolare che si gonfia sempre di più, fino a deragliare in un iper-melodramma che si porta via le performance attoriali, una prima parte che si teneva in piedi e questa Roma apparentemente periferica (ma solo in un certo immaginario). Ma non c’è misura di scrittura e di messa in scena, non c’è uno sguardo vero sul non-luogo.

Già, il non-luogo. Che poi Largo Pettazzoni non è così male. Anzi. Volendo, fai quattro passi, attraversi il Quadraro con le sue casette basse, e ti ritrovi alla metro di Porta Furba, all’inizio di quel centro commerciale a cielo aperto che è la Tuscolana. La brulicante Hong Kong romana, che dalla parte del (magnifico) Parco degli Acquedotti diventa via via lussuosa. Provate a comprarla una casa a Via Lemonia… oppure giri per Torpignattara, che sarà il prossimo Pigneto. Quartiere di alti e bassi, di contraddizioni, di tensioni e integrazioni. Del Cinema Impero, dell’istituto Pisacane. Di stranieri e di studenti. Di poveri e di ricchi.

Largo Pettazzoni, Viale dell’Acquedotto Alessandrino, Parco Giordano Sangalli. Un po’ di verde spelacchiato dall’estate torrida e sensuale, molto cemento, il condominio dall’aria troppo vissuta, l’area bimbi, le rovine romane. La vita di Fortunata sembra rinchiusa in un triangolo delle Bermuda, salvo avventurarsi dalle parti del Raccordo per tagliare capelli a domicilio. Ecco, il Grande Raccordo Anulare. Quello di Rosi e di Guzzanti/Venditti. Perché nel film di Castellitto si respira l’aria del GRA, la distanza siderale da Roma, dal centro, dai soldi, dalla vita felice. La Torpigna di Fortunata non conosce gentrificazione, ma risponde a un immaginario che non tramonterà mai, partorito dall’alto dei colli e delle colline – Oppio? Fleming? Poco importa…

La messa in scena di Castellitto e la penna della Mazzantini disegnano una Torpigna a misura di iper-melodramma, di storia esemplare per i salotti buoni, condita da colori e canzoni, sudore e sesso. Corpi veri in un triangolo immaginato, immaginario. Il mondo di Fortunata, così chiuso e impenetrabile, destinato per nascita alla sofferenza, (r)esiste solo per un’ora – nonostante le pistole, la violenza, la droga, la malattia, le grida, il lavoro in nero e quel benedetto Raccordo dietro l’angolo. Esiste grazie alla verve del cast, alla sua romanità; grazie a Largo Pettazzoni e al ristorante cinese dietro l’angolo. Grazie a Torpignattara. Poi le canzoni si affastellano e le urla cercano di coprire gli affrettati snodi narrativi ed emotivi. Tutto si gonfia, eccede, travolto da una ipertrofia narrativa, e anche i dettagli stonano, come quelle due signore al balcone che devono proprio ricordarci che siamo a Torpigna, ai confini delle povertà. Dove si urla, si soffre, si esagera sempre. Dove otto ore (non) sono un giorno, una vita intera.

Info
La scheda di Fortunata sul sito di Cannes.
Il trailer ufficiale di Fortunata.
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