Ma Loute

Ma Loute

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Per scandalizzare la borghesia Bruno Dumont mette in scena una farsa sfrenata e delirante, dove la lotta di classe assume connotati paradossali grazie anche all’utilizzo sapiente di interpreti ben noti a certo cinema “borghese”.

Scene di lotta di classe in alta Francia

Un detective e il suo assistente vengono mandati in una località balneare del nord della Francia per indagare su delle misteriose sparizioni. Qui faranno la conoscenza di due strane congreghe, i Bréfort, clan familiare che vive della raccolta di mitili e dell’attività di trasporto dei turisti sul fiume, e i Van Peteghem, decadenti borghesi in vacanza, come ogni anno, nella villa di famiglia. [sinossi]

Un tempo Dumont lo si attendeva bramosamente al varco delle presentazioni festivaliere dei suoi film, per osannarlo o detestarlo poco importa, l’importante era che offrisse ogni volta ai programmatori delle kermesse internazionali il vanto di aver selezionato il “film scandalo” dell’annata, con la sua dose di sesso&violenza o magari anche di blasfemia. Indimenticabile fu in tal senso l’accoglienza turbolenta (mormorii, fischi, fuggi fuggi dalla sala) riservata allo splendido e per larga parte incompreso 29 Palms in occasione del Festival di Venezia 2003.
Oggi però, specie dopo il rigoroso Camille Claudel 1915 e la serialità sregolata e slapstick di P’tit Q’ nquin (i cui quattro episodi furono proiettati a Cannes nel 2014), Bruno Dumont per scandalizzare la borghesia – che poi, fondamentalmente è il suo pubblico – utilizza altre armi, quelle di una satira di costume esasperata, sottile, malvagia e dunque anche assai spassosa. Con Ma Loute presentato in concorso a Cannes 2016, il regista francese mette infatti alla berlina vizi e bizzarrie della borghesia di inizio secolo (non che le cose siano molto cambiate) attraverso un ritmo sregolato, farsesco, divertito, del tutto esente da tentazioni moralistiche.

La trama è presto detta: in una comunità di pescatori di mitili del Canale della Manica arrivano, come ogni anno, i borghesi Van Peteghem, clan familiare dedito all’endogamia per ragioni di alleanze industriali. Il patrimonio genetico è dunque già da tempo corrotto e non c’è da stupirsi se il capofamiglia, André (un eccezionale Patrice Luchini), appaia come una sorta di creatura invertebrata, dotata di gobba, una serie di tic e una camminata sbilenca accompagnata dal perpetuo cigolio degli stivali in cuoio. La sua consorte Isabelle (una sorprendente Valeria Buni Tedeschi) non è da meno, affetta com’è da una religiosità posticcia nonché dalla classica “malattia di nervi” propria di tutte le signore della sua classe sociale. A loro si aggiungono due figlie, il fratello di Isabelle (Jean-Luc Vincent), la di lui moglie Aude (una strepitosa e gorgheggiante Juliette Binoche) e la loro Billie (Raph). Ma quanto a legami di parentela, date le abitudini di accoppiamento interfamiliari, la situazione è un po’ confusa, così come l’identità sessuale della giovane Billie.
A fare da contraltare a questo côte decadente di consanguinei, troviamo poi una famiglia di indigeni brutta, sporca e cattiva, che sopravvive raccogliendo cozze sulla spiaggia e accompagnando i turisti nelle loro brevi – e spesso esiziali – traversate del fiume locale. Quando però il numero di turisti scomparsi nel nulla si fa cospicuo, ecco sopraggiungere in loco anche un detective sovrappeso e il suo smilzo assistente. Nucleo propulsore di una serie di grotteschi eventi è poi il rampollo del clan indigeno, Ma Loute (Brandon Lavieville), con il suo amore impossibile per l’ambigua Billie.

L’umanità descritta da Bruno Dumont in Ma Loute è dunque circoscritta a tre sole categorie: si sono i proletari, i borghesi e i poliziotti. Nessuna di queste brilla per acume né possiede morale alcuna, il loro agitarsi è vano e l’intercomunicazione è resa impossibile da soliloqui deliranti.
C’è un’indagine da fare, ci sono dei mobili da spolverare e anche una storia d’amore da direzionare, ma a Dumont nessuna di queste cose interessa davvero particolarmente, i suoi obiettivi sono piuttosto lo studio fisiognomico dei personaggi, l’esercizio virtuosistico sul ritmo delle acrobazie slapstick, l’accorta calibratura delle angolazioni quasi metafisiche dei paesaggi dove, quando visibili, le presenze umane gli offrono la possibilità di orchestrare una sinfonia dissonante di bizzarre espressioni facciali. Quello ritratto da Dumont è un universo primo novecentesco eppure eterno, iperreale, derivativo di un immaginario che discende dalle illustrazioni d’epoca, dal fumetto, dalla pittura, sia essa metafisica o surrealista.

A tenere insieme questa sciarada incontrollabile e imprevedibile è dunque il personaggio di Ma Loute, terminologia con la quale in francese si intente “la mia donna”, ma nella quale non è difficile leggere, nonostante una “t” mancante, il riferimento alla lotta, naturalmente quella di classe.
In tal senso appare quantomeno geniale ed estremamente appropriato l’utilizzo che Dumont fa qui dei suoi interpreti più noti, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrice Luchini e Juliette Binoche, esemplari proprio di un certo cinema francese di stampo “borghese”. Sono proprio le loro performance attoriali, così sfrenate e sopra le righe a rendere la satira sociale di Dumont ancora più efficace di quanto non fosse nel suo film precedente, geniale, irriverente sì, ma a lungo andare ripetitivo. Qui invece proprio la ripetizione è utilizzata come banco di prova attoriale e dettaglio precipuo di una borghesia che l’autore conosce assai bene, per esperienza quotidiana. Ma Loute è dunque la lotta di Dumont contro la propria, nostra classe di appartenenza, contro certo cinema europeo grazioso e poco incisivo, contro i suoi spettatori. Insomma, è quel che si dice combattere il sistema dall’interno.

E dunque in questa pletora montante di scene di lotta di classe sulle bianche scogliere del nord della Francia, Bruno Dumont propone la sua drastica soluzione: l’ultima possibile evoluzione di questa lotta è il cannibalismo, la “Restaurazione”, tanto invocata dal personaggio di Luchini, non è più possibile.

Info
La pagina dedicata a Ma Loute sul sito del distributore Movies Inspired.
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