Cannes 2016 – Minuto per minuto

Cannes 2016 – Minuto per minuto

Approdiamo sulla Croisette e arriva con noi il tradizionale appuntamento del minuto per minuto. Dalla selezione ufficiale alla Quinzaine des réalisateurs e alla Semaine de la critique, ecco a voi il Festival di Cannes 2016!

Cannes 2016 mostra, almeno sulla carta, il volto migliore possibile, ospitando alcuni dei nomi indispensabili del cinema contemporaneo. Cercheremo di raccontarvelo, come sempre, alternando gli accenni critici sui film ad appunti, note sparse, impressioni e aneddoti. Buona lettura, e buon divertimento!

 

domenica 22 maggio 2016
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21.06
Ricapitolando i premi
Palma d’Oro: I, Daniel Blake di Ken Loach
Grand Prix: Juste la fin du monde di Xavier Dolan
Miglior regia: Olivier Assayas per Personal Shopper e Cristian Mungiu per Graduation
Miglior sceneggiatura: Asghar Farhadi per The Salesman
Miglior attrice: Jaclyn Jose per Ma’ Rosa di Brillante Mendoza
Premio della giuria: American Honey di Andrea Arnold
Miglior attore: Shahab Hosseini per The Salesman di Asghar Farhadi
Caméra d’or: Divines, opera prima di Houda Benyamina [r.m.]

19.57
Mentre la truppa di Quinlan è in viaggio, è iniziata la premiazione ufficiale. Sul palco Jean-Pierre Léaud, emozionato nel ricevere il riconoscimento alla carriera. “Sono nato a Cannes nel 1959…” [r.m.]

02.15
È iniziato l’ultimo giorno del Festival, la maggior parte degli accrediti ha già preso la strada del ritorno, e si attende solo, in serata, l’annuncio dei vincitori dell’edizione numero 69. Difficile ipotizzare i reali favoriti, perché le scelte potrebbero essere davvero varie. Certo, continua a girare la vulgata che vorrebbe American Honey di Andrea Arnold in vetta alle preferenze di Miller, ma circolano anche i nomi di Jim Jarmusch, Maren Ade, Cristian Mungiu, Cristi Puiu e Asghar Farhadi. Non ci sarebbe da ridire in nessun caso, ma a Quinlan non dispiacerebbe un riconoscimento per Personal Shopper di Olivier Assayas, Elle di Paul Verhoeven e, perché no, anche il tanto discusso The Neon Demon di Nicolas Winding Refn… [r.m.]

sabato 21 maggio 2016
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11.32
La boghesia cattolica e il suo ineludibile sadomasochismo sono al centro di Elle di Paul Verhoeven, ultimo film in concorso qui sulla Croisette. Lavorando sui codici del thriller e della farsa grottesca, nel raccontare la storia di una donna vittima di stupro (una come al solito impeccabile Isabelle Huppert), il regista olandese rispolvera la sua abituale crudezza di sguardo, lanciata senza remore all’esplorazione di quella iperrealtá del vivere comune odierno, che ha perso oramai ogni interesse per l’umano, se mai ne ha avuto. [d.p.]

01.59
Dopo la sortita in Francia con Le passé, torna a girare nella natia Iran Asghar Farhadi. E con The Salesman, presentato in concorso, realizza il solito teorema crudelissimo nei confronti della borghesia, incarnata questa volta da due attori che mettono in scena Morte di un commesso viaggiatore e conoscono una reale incarnazione del personaggio di Miller arrivando, come dei burattinai, a governarne la vita. Teatro e censura, moralità pubblica e vergogne private, The Salesman è uno dei grandi film di questo concorso. [a.a.]

 

venerdì 20 maggio 2016
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22.08
Di ritorno dall’Aïoli, però, ci siamo di nuovo catapultati in sala, per recuperare Gimme Danger, il documentario sugli Stooges diretto da Jim Jarmusch e inserito tra le proiezioni di mezzanotte. Una lunga e spassosa intervista a Iggy Pop (che per Jarmusch recitò sia in Dead Man che in Coffee and Cigarettes) che rievoca in maniera cronologica il percorso della band da lui formata e poi riformata. Nulla di trascendentale, e se vogliamo anche canonico nella struttura, ma il film è di una vitalità pazzesca, e conferma il feeling tra il regista di Akron e il rock. [r.m.]

22.05
Se oggi ci siamo presi una lunga pausa nell’aggiornare il minuto per minuto non è solo per la mancanza di una programmazione ricca il penultimo giorno di festa. Il venerdì infatti si svolge il tradizionale pranzo offerto alla stampa dal sindaco di Cannes, noto a tutti con il nome di Aïoli. Libagioni nello spiazzo antistante il castello che domina la città (e il mare), vino a volontà, chiacchiere su questo o su quell’altro film. Uno dei momenti indispensabili del festival, a ben vedere. Ne abbiamo approfittato… [r.m.]

11.21
Criminali da strapazzo in cerca di redenzione. Paul Schrader con Dog Eat Dog presentato alla Quinzaine stamattina, confeziona un divertissement frenetico, un po’ “gory” e ricco di humour nero, innestandolo con le sue usuali riflessioni sul peccato e tanta cinefilia. Ma tra esplosioni di violenza alla Scorsese e vaniloqui alla Tarantino, la sua poetica appare alquanto schlerotizzata. [d.p.]

10.59
Risate e fischi – pur se bilanciati da timidi applausi – anche per The Last Face, disastroso ritorno alla regia di Sean Penn a nove anni da Into the Wild. Presentato in concorso, mentre al massimo – se proprio lo si voleva selezionare – lo si poteva mettere fuori competizione, il film di Penn si dedica anima e corpo al concetto di umanitarismo, con lo sguardo rivolto in particolar modo verso l’Africa. Completamente sballato sul piano del ritmo e della costruzione narrativa, The Last Face finisce per non raccontarci né la storia d’amore dei due protagonisti, due medici/missionari, né un nuovo e differente sguardo sulla povertà e la guerra in Africa. E, anzi, i bambini africani sono ripresi, ormai come da prassi, allo stesso modo in cui apparirebbero in una pubblicità progresso, con la differenza che qui si spinge di più il pedale sull’orrore delle ferite e della visione dei piccoli cadaveri. Tra i peggiori film di questa edizione. [a.a.]

01.35
Accolto da risate ironiche, fischi e sberleffi, The Neon Demon è un thriller/horror che prosegue la radicale stilizzazione narrativa e la costante ricerca estetica/estetizzante di Only God Forgives. Nicolas Winding Refn, aka NWR come un marchio d’alta moda, tratteggia una metafora piuttosto scarnificata ed evidente, caricandola di una sovrastruttura visiva coerente, ricercatissima, come fosse il perenne set di un (super)fotografo di riviste patinate, lussureggianti, erotiche. La messa in scena dei corpi, della centralità del corpo, del corpo perfetto e sfuggente, vanamente inseguito da bellezze che hanno smarrito (o mai hanno raggiunto) la perfezione. Corpi costruiti, fatti a pezzi, divorati, desiderati, venerati. Corpi vuoti. Fantasmi. Elle Fanning è, appunto, perfetta. [e.a.]

 

giovedì 19 maggio 2016
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15.37
Mentre dall’Italia rimbalzano fino a qui la notizia delle morti di Lino Toffolo e Marco Pannella, giunge anche il comunicato sulla scomparsa di Alexandre Astruc, grande intellettuale francese. Ci piace ricordarlo per la proiezione di alcuni anni fa in Cannes Classics del suo mediometraggio Le Rideau cramoisi, splendido adattamento del romanzo di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly che nel 1953 già anticipa i vagiti della generazione nouvelle. [r.m.]

15.29
Le séances spéciales continuano a offrire delizie per gli occhi: dopo Paul Vecchiali, arriva sulla Croisette anche Albert Serra, che con La Mort de Louis XIV tocca uno dei vertici artistici di questa edizione del festival. Metafora della decomposizione del potere, e dell’accanimento quasi animalesco per mantenerlo in vita (o in una parvenza della stessa), il film di Serra mette in scena una cancrena continua, con uno stile che mina l’elegia per spostare l’asse sul terreno del grottesco, e a tratti del disgustoso. La presenza in scena di Jean-Pierre Léaud, poi, apre vortici di senso nei quali scaraventare il discorso sul dissolversi dell’immagine, e del potere del cinema stesso. Gigantesco. [r.m.]

10.46
Che Mungiu fosse uno dei più importanti registi degli ultimi anni non c’erano dubbi, ma le conferme sono sempre benvenute. Bacalaureat, presentato questa mattina in concorso, indaga il significato di “corruzione” nella società rumena, e allo stesso tempo ragiona sul valore di onestà e amore; la potenza espressiva è sempre la stessa, la capacità di vivere su/con i suoi personaggi anche. Tra i più seri candidati a un riconoscimento. [r.m.]

01.53
Dopo Father and Son e Little Sister che erano stati selezionati in concorso, torna ad essere relegato in Un certain regard Hirokazu Kore-eda. After the Storm racconta la storia di uno scrittore fallito, che ha perso da poco il padre e si è separato dalla moglie. “Dopo la tempesta”, per l’appunto: tutto, sia le cose positive, che soprattutto quelle negative, sono già accadute prima del film, e dunque i personaggi sopravvivono, interrogandosi su quel che poteva essere e non è stato. Eliminando il nucleo drammatico e allo stesso tempo il percorso evolutivo dei personaggi, Kore-eda perde però in concretezza e ci lascia un film di transizione, tra i suoi meno belli degli ultimi anni. [a.a.]

 

mercoledì 18 maggio 2016
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21.55
In concorso è arrivato il momento dell’attesissimo nuovo film di Xavier Dolan, Juste la fin du monde; il giovane talento del Canada francofono sorprende una volta di più il pubblico, rinchiudendo il suo dramma familiare in una casa e lavorando quasi esclusivamente su primi piani. Non tutto torna alla perfezione, ma non si può non rimanere rapiti dalla capacità quasi istintiva di messa in scena di questo ragazzo, in grado poi di far lavorare al meglio un cast di primissimo ordine, composto da Gaspard Ulliel, Marion Cotillard, Vincent Cassel, Nathalie Baye e Léa Seydoux. Affascinante. [r.m.]

21.20
Presentato oggi nella sezione Un Certain Regard, La tortue rouge di Michael Dudok de Wit è l’ennesimo miracolo artistico e produttivo dello Studio Ghibli, in coproduzione con le francesi Prima Linea Productions, Why Not Production e Wild Bunch. Un miracolo che viene da lontano, dall’utopia resistente dello Studio Ghibli, dalla forza e dai numerosi talenti dell’animazione francese, dalla volontà di preservare l’arte e la sperimentazione nell’animazione contemporanea e futura. La tortue rouge è una storia che non ha un inizio e non ha una fine, è il ciclo della vita, il ciclo dell’arte e della creatività. [e.a.]

15.01
Sulla collocazione di Le Cancre, nuovo film di Paul Vecchiali, a Cannes ci sarebbe da discutere, e a lungo. Reso pressoché invisibile alla stampa, e proiettato solo nella giornata di oggi, è la conferma di un regista sopraffino, fuori da qualsiasi regola scritta, ancorato a un’idea di romanticismo che non trova corrispondenti diretti. Sulfureo e sublime, Le Cancre lavora sottopelle per raggiungere il cervello e il cuore, come la malattia che sta minando il protagonista. Un cast di prim’ordine, per un’opera minima e indispensabile allo stesso tempo. [r.m.]

14.55
Prima The Chaser. Poi The Yellow Sea. Adesso The Wailing. Fatti due conti, Na Hong-jin è oramai una certezza, un nome da seguire passo dopo passo, da pedinare senza esitazioni. The Wailing non spreca un secondo dei suoi centocinquantasei minuti, trascinandoci in un thriller che imbocca sentieri inattesi. Un film dal cuore nerissimo. Intenso, ingannevole, spietato e con un cast perfetto: Kwak Do-won finalmente in un ruolo di primissimo piano, il “giapponese” Jun Kunimura, il solito gigioneggiante Hwang Jeong-min, la “ragazza senza nome” Woo-hee Chun… [e.a.]

14.32
Oggetto strano Two Lovers and a Bear di Kim Nguyen, cineasta canadese acclamato per Rebelle e ospitato con la nuova pellicola alla Quinzaine. Una storia d’amore, d’amour fou, di fuga impossibile dai fantasmi del passato, di barzellette sceme e di orsi che parlano. Ma anche un film capace di raccontare un territorio ai confini del mondo, magnifico e letale. Qualche dubbio, ma anche uno splendido finale. Bravi Tatiana Maslany e soprattutto Dane DeHaan. [e.a.]

11.05
Con La fille inconnue i fratelli Dardenne proseguono la loro indagine etica, ma non la portano in realtà molto avanti. Oggetto del loro pedinamento questa volta è una dottoressa che si sente in colpa per non aver aperto la porta del suo studio – l’orario delle visite era finito – a una donna, ritrovata cadavere all’indomani. La mancata paziente è stata uccisa, e così la nostra protagonista per redimersi rifiuta un assai ambito posto di lavoro e inizia la sua personale indagine. Ma la sua determinazione appare a tratti cieca e ossessiva, almeno quanto quella dei Dardenne nel voler fare sempre lo stesso film. [d.p.]

10.50
Torniamo per un momento al film del concorso presentato ieri sera, Ma’ Rosa, ennesimo ritratto di solitudine e disperazione firmato da Brillante Mendoza. Ennesimo perché ormai il cineasta filippino tende a ripetere gli stessi schemi, tanto che le realistiche disgrazie dei suoi personaggi finiscono quasi per non commuovere più. Stavolta, in aggiunta, la narrazione si fa sbilenca, devìa, poi torna indietro e va a finire che la Ma’ Rosa del titolo, che era decisamente il personaggio più interessante, è ben lontana dall’essere la vera protagonista. [a.a.]

10.47
Formidabile restauro presentato ieri a Cannes Classics, quello ad opera della Cinémathèque Français di Adieu Bonaparte, capolavoro di Youssef Chahine del 1985. Frutto di un progetto ad ampio raggio che prevede il restauro di tutte le opere del cineasta egiziano in vista di una integrale a lui dedicata per il 2018 sempre alla Cinémathèque, Adieu Bonaparte appare oggi – sia pur in digitale – perfettamente restituito nella sua magnificenza coloristica, nell’eccesso strabordante della sua messa in scena. Ci viene così restituita l’attualità di un film che ragiona in maniera lucida sul colonialismo, sullo sfruttamento dei corpi, sulla concezione dell’orientalismo, ecc. Con un Michel Piccoli gigantesco, nei panni del generale Caffarelli, che guidò la spedizione di Napoleone Bonaparte in Egitto. [a.a]

 

martedì 17 maggio 2016
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23.45
Un Russell Crowe debordante e un Ryan Gosling in formato slapstick, accompagnati da una graziosissima piccola attrice, tengono in piedi The Nice Guys di Shane Black, buddy movie che gioca con gli anni Settanta/Ottanta, con una detection dai contorni noir e una comicità scalcinata, con un immaginario in equilibrio tra piccolo e grande schermo. Alcune sequenze funzionano benissimo (l’incipit, il primo incontro tra Crowe e Gosling, la sarabanda finale), ma il divertissement non prende mai davvero quota. Strampalato e godibile. [e.a.]

16.41
In salle Buñuel abbiamo assistito alla seconda proiezione per la stampa di Aquarius, il nuovo film di Kleber Mendonça Filho. Il cineasta brasiliano costruisce una narrazione stratificata che parte dai problemi della proprietaria di un immobile, ultima abitante rimasta nel palazzo che una compagnia immobiliare vorrebbe rimettere a nuovo, per arrivare a tirare le fila di un discorso sui mutamenti del Brasile degli ultimi quarant’anni, per l’esattezza dello stato del Pernambuco. Non tutto torna, in un racconto troppo esteso, ma permane la sensazione di un’opera carica di fascino, e illuminato da una notevole intelligenza. Costruito sulle spalle di Sônia Braga, Aquarius sembra prometterle il riconoscimento come migliore attrice. [r.m.]

15.00
Applausi e qualche lacrima dal palco hanno seguito oggi pomeriggio la presentazione alla Quinzaine de L’effet aquatique di Sólveig Anspach. Gli attori e lo sceneggiatore, presenti in sala per il Q&A hanno infatti accolto con una certa commozione la reazione calorosa del pubblico cannense, dal momento che accanto a loro non poteva esserci la regista, scomparsa prematuramente la scorsa estate. Tenero e brillante, L’effet aquatique è una commedia romantica ambientata tra la Francia e l’Islanda, è qui infatti che l’allievo Samir insegue la sua graziosa insegnante di nuoto Agathe, in trasferta per un convengno professionale. Tra personaggi bislacchi e situazioni assai originali, L’effet aquatique procede agile e frizzante, grazie alla notevole leggerezza del tocco della regista. Peccato aver perso un talento così originale. [d.p.]

11.40
Mentre in concorso passava il nuovo film di Almodóvar, la Quinzaine des réalisateurs apriva le porte a Fiore, il nuovo film di Claudio Giovannesi. Storia di Daphne, adolescente romana in riformatorio per rapina, Fiore inizia in maniera traballante, con un eccessivo utilizzo della tecnica del pedinamento, ma si riscatta (almeno in parte) con un finale ben diretto e intelligente. Anche se era con ogni probabilità lecito attendersi di più. Davvero convincente la prova della giovane Daphne Scoccia. [r.m.]

11.20
Per capire la sofferenza altrui, bisogna provarla sulla propria pelle. Questa grossomodo è la verità cui approda Julieta, nuovo film di Pedro Almodóvar presentato oggi in concorso. Elegante miscela di noir e melodramma, ispirata dai racconti di Alice Munro, il film racconta la sofferta vicenda di un rapporto interrotto tra una madre e sua figlia. Un po’ naif un po’ senile, il nuovo film del regista spagnolo intriga con il suo mistero, coinvolge attraverso i suoi dolenti personaggi, allestisce un intreccio di doppi e corrispondenze, ma appare troppo concentrato sui dettagli per dare forma compiuta al tutto. E la sua chiosa appare inevitabilmente frettolosa. [d.p.]

 

lunedì 16 maggio 2016
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20.53
Con ogni probabilità Personal Shopper di Olivier Assayas non potrà ambire a premi nel palmarès ufficiale, ma un record lo ottiene: quello di film del concorso più fischiato in questa edizione del festival. Dopotutto quando ci si mette a disquisire di spiriti, fantasmi ed ectoplasmi vari la bordata di fischi è sempre dietro l’angolo, si sa. Nel frattempo, chi era impegnato a sgolarsi per urlare “buu” si è perso un thriller di ottima fattura, che mette in scena il desiderio e il proibito, uniche cose davvero da agognare, e quindi da temere. Assayas sfodera un film destinato a rimanere incompreso, purtroppo. Speriamo che il suo spirito non sia rancoroso… [r.m.]

19.15
Non il miglior Miike. La fittissima rete di proiezioni del Mercato ci regala la visione di Terra Formars, action/horror fantascientifico diretto dal mutaforma Takashi Miike, regista per tutte le stagioni, per tutti i generi, per tutti i budget. A proprio agio con gli adattamenti da manga e/o anime, Miike questa volta maneggia con non troppa cura un materiale dal fiato corto, già poco brillante in partenza (si veda la serie originale, disponibile su VVVVID), limitandosi all’impeccabile confezione e a qualche zampata sadica. Opera decisamente minore. [e.a.]

18.35
Superata la prima metà del festival si può ben dire che, tra le varie sezioni, Un certain regard è quest’anno quella più deludente come qualità della programmazione. Lo conferma Apprentice, diretto dal regista singaporegno Boo Junfeng, presentato nel pomeriggio. Thriller carcerario che racconta la storia di un giovane che si ritrova a fare da assistente a un boia dall’attività ultra-trentennale (e che, si scoprirà in seguito, ha impiccato anche il padre del protagonista), Apprentice va avanti tutto il film con questa idea buona, ma basica, non sfruttandola a dovere. Il cattivo maestro e il giovane apprendista non entrano mai davvero in collisione e Boo Junfeng perde tempo in casa del ragazzo, dove questi ha lunghi e inutili confronti con la sorella maggiore. Viene allora ben presto da pensare a che bel film avrebbe invece saputo fare un serio cineasta hongkonghese con una trama così. [a.a.]

18.15
Presentato in concorso, Loving è una dignitosa pellicola sui diritti civili, un biopic che preferisce la quotidianità di una lunga storia d’amore alla “spettacolarità” della classica declinazione processuale, lasciando volutamente fuori fuoco la Corte Suprema, la Legge, la Storia. Come sempre, Jeff Nichols si focalizza sulla famiglia, sui legami interpersonali, sulla forza dell’amore. Delle cinque regie di Nichols (Midnight Special, Mud) probabilmente la meno personale, indubbiamente quella meno interessante. Cameo per l’immancabile Michael Shannon, forse troppo di sottrazione Joel Edgerton. [e.a.]

14.50
Alla Quinzaine des réalisateurs è stato presentato questa mattina Psycho Raman, nuovo thriller diretto da Anurag Kashyap; il tema è sempre quello della colpa e della distinzione (del tutto ipotetica) tra criminali e forze dell’ordine. Nonostante una messa in scena notevole, il film sembra però prendere stavolta la via più facile, in direzione di un divertissement al fulmicotone. Il pubblico del Marriott non ha gradito, riservando al film un’accoglienza più fredda di quanto avrebbe forse meritato. [r.m.]

13.15
Presentato in tarda mattinata, sempre nella sezione di Cannes Classics, un omaggio al Cinéma Nôvo, il movimento cinematografico brasiliano che rivoluzionò linguaggio e approccio del sistema produttivo locale, vinse premi nei maggiori festival europei, ma venne rapidamente censurato in seguito al colpo di stato del 1964. Diretto da Eryk Rocha, figlio di Glauber, maggior esponente del movimento, e intitolato programmaticamente Cinema novo, il film si limita a usare interviste e immagini di repertorio, andando a configurarsi come sorta di poema visivo più che di opera didattica e restituendo dunque, sia pur in forma parziale, la forza visionaria di quel cinema. [a.a.]

01.40
Lunghi applausi e una standing ovation hanno accolto stasera il maestro del documentario francese Raymond Depardon, che a Cannes Classic ha presentato il restauro digitale del suo Faits divers, lavoro da lui realizzato nel 1983 seguendo la quotidianità del distretto di polizia del 5° arrondissement parigino. Divertente e tragico allo stesso tempo, il film nel raccontare il lavoro quotidiano dei poliziotti, si concentra soprattutto sulla varia umanità che questi si ritrovano ad affrontare, tra anziane signore rapinate, un sospetto caso di stupro, un suicidio con barbiturici, un caso di malattia mentale. Tutto scorre veloce sotto i nostri occhi e pian piano emerge un ritratto sfaccettato, a tratti grottesco di una Parigi degli anni ’80 che non esiste più. Peccato non averlo potuto visionare in pellicola, fortunatamente però il restauro digitale non ha potuto cancellare né la grana fotografica né alcuni graffi presenti sul 16mm, utili a ricollocare il film nella sua epoca. Una curiosità: alla proiezione era presente Frederick Wiseman, anche lui accolto da scroscianti applausi. [d.p.]

01.11
Mentre il festival continua a selezionare nelle sezioni ufficiali sempre gli stessi francesi, senza proporre alcun dirazzamento allo schema (e lo dimostra anche Nicole Garcia, che ha presentato oggi Mal de pierres), in ACiD è stato possibile vedere il nuovo film di Sébastien Betbeder, uno dei registi più interessanti e originali messosi in luce in Francia negli ultimi anni. Le Voyage au Groenland racconta la visita di Thomas e del suo migliore amico – che si chiama Thomas a sua volta – al padre, che si è trasferito da anni a vivere nel microscopico villaggio di Kullorsuaq, nel nulla di ghiaccio della Groenlandia. Episodico e lirico, divertente e commosso, il film di Betbeder conferma una volta di più il talento di un regista che meriterebbe ben altre attenzioni, in patria come all’estero. [r.m.]

01.01
Ieri sera (poche ore fa) è stato presentato quello che è finora il miglior titolo del concorso. Paterson di Jim Jarmusch è in tutto e per tutto un film “jarmuschiano”, a partire dall’ambientazione, una cittadina del New Jersey dove tutto – forse – è collegato. Il merito? Della poesia… Il lirismo minimale di Jarmusch si lega a un’ironia sublime, e a una messa in scena di purezza rara. Pochi gli applausi, per un film forse troppo sottile per i palati non troppo fini di buona parte della stampa del festival. [r.m.]

 

domenica 15 maggio 2016
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18.42
Sempre in Un certain regard e sempre in programmazione oggi pomeriggio è apparso invece più fiacco Dogs, diretto dal regista rumeno Bogdan Mirica. All’esordio nel lungometraggio, Mirica centra il suo discorso su un thriller rarefatto e campestre, che ricorda vagamente La isla minima, ma non riesce ad affondare in alcuna direzione, quasi indeciso nello scegliere il tono e i codici giusti del suo racconto, se virare cioè verso l’autorialità di compatrioti più celebri, a partire dal Porumboiu di The Treasure, o se muoversi in un racconto di genere puro. Se è stata quest’ultima la sua decisione definitiva (e sembra proprio di sì), allora, non si può che notarne tutte le notevoli debolezze d’intreccio. [a.a.]

18.32
Se c’è una cosa insopportabile dei film da estetica festivaliera è quell’aria da minimalismo buonista e un po’ saccente, che nasconde in realtà un gran velo di ipocrisia, sia estetica che anche politica. Aveva queste caratteristiche La banda, film israeliano del 2007, esordio alla regia di Eran Korilin, che poi aveva confermato un approccio blandamente evenemenziale in The Exchange del 2011. Non ci aspettavamo molto quindi dalla sua terza regia, Beyond the Mountains and Hills, presentata nel pomeriggio in Un certain regard. E, invece, qualche sorpresa è arrivata: a fronte in effetti di una prima parte basica nelle relazioni dei personaggi e molto schematica, la narrazione si sviluppa fino ad arrivare a condannare, anche con severità, ciascuno dei suoi personaggi. La famiglia protagonista, composta da quattro persone, è l’epicentro di inganni e sospetti – e così Israele, sia al suo interno che nel rapporto con il mondo circostante. Niente di nuovo, ma detto con chiarezza e in modo poco compromissorio. [a.a.]

15.32
Altro giro, altro regalo. Restaurato in digitale con totale rispetto nei confronti della pellicola originale, il capolavoro della fantascienza cecoslovacca Ikarie XB 1 (1963) di Jindřich Polák arricchisce ulteriormente la sezione Cannes Classics. Uno splendido esempio di fantascienza umanista e politica, di space opera che è metafora della guerra fredda, del desiderio di un pacifico rinnovamento, di una visione internazionale della ricerca e del progresso. Effetti speciali d’antan ma ancora più che validi. [e.a.]

14.38
Qualche risatina a scena aperta ha accompagnato la proiezione di Mal de pierres di Nicole Garcia, oggi in concorso sulla Croisette. Melodramma provenzale ambientato negli anni ’50, il film vede Marion Cotillard nei panni di una ragazza tormentata che i genitori pensano bene di far sposare al primo venuto, pur di togliersela dai piedi. Affetta da calcoli renali (il mal di pietre del titolo), la nostra eroina trascorre un periodo alle terme e qui si innamora di un malaticcio Louis Garrel. Ma non tutto è come sembra. Tra colpi di scena risibili e trovate a tratti demenziali, il film procede dritto per la sua strada, senza accorgersi di aver sbagliato toni e tempistiche degli snodi narrativi. [d.p.]

13.05
Un boato ha accolto i titoli di coda di Ma vie de courgette, delizioso film d’animazione a passo uno (con personaggi in plastilina) presentato alla Quinzaine des réalisateurs. Diretto da Claude Barras (Patate, il corto Au pays des têtes) e sceneggiato da Céline Sciamma, Ma vie de Courgette è un dolce e doloroso viaggio nella realtà delle case/famiglia per bambini orfani, maltrattati o con i genitori in prigione. Senza rinunciare ad alcuni passaggi duri, e con un’aura di tenera mestizia a dominare il tutto, Barras riesce nel delicato compito di costruire una narrazione adatta anche ai più piccini. Un’operazione arguta, condotta con eleganza e ricca di inventiva, che conferma una volta di più lo stato di forma dell’animazione d’Oltralpe. [r.m.]

12.45
Al Festival di Cannes stare in fila è un po’ come respirare. Tra una fila infinitamente lunga per il Concorso e una rapida e indolore per Cannes Classics, capita di sfogliare qualche daily e di adocchiare le mille e mille e mille proposte del mercato, le news sulle nuove produzioni, su progetti che magari non vedranno mai la luce o che aspetteremo con ansia giorno dopo giorno. Hollywood Reporter di oggi ci informa del biopic Borg/McEnroe di Janus Metz, con Shia LaBeouf nei panni del tennista più talentuoso di sempre (un ceffone per quelli che hanno pensato a Borg…), ci ricorda delle proiezioni di vagonate di lungometraggi d’animazione in computer grafica (tipo l’action Spark, coproduzione sudcoreana & canadese), ci regala la perla Showdown in Manila con Casper Van Dien e ci sollazza con una lunga serie di horror forse destinati all’oblio come Worry Dolls (“Horror like Jeepers Creepers”), Lost Solace (“American Psycho meets Limitless”) e Dark Show (“A contemporary twist on the complex relationship between entertainment and sadism”). [e.a.]

12.15
Torniamo a ieri sera/notte. L’ampio minutaggio di American Honey, ultima fatica della regista inglese Andrea Arnold (Wuthering Heights), ci ha consegnato una Salle Bazin semideserta, ideale per tranquilli recuperi del Concorso. La pellicola, visceralmente indie, ha radici visive e narrative che partono da lontano. Un film che potremmo dire di avere visto centinaia di volte, storie che ci hanno già raccontato: macchina a mano, incollata alla protagonista e a questa bizzarra carovana di giovani venditori di riviste porta a porta, un girovagare spesso frammentario, vite ai margini, la provincia americana, a volte ricca e a volte povera, tanta musica e via discorrendo. Ma la Arnold non è mai banale, ed è certosina nella messa in scena anche quando cerca di filmare (di cogliere) questa disordinata libertà. Un progetto corale, che può coinvolgere quanto respingere. Noi un paio di riviste le avremmo comprate. O avremmo provato a venderle… [e.a.]

09.51
Tornando per un momento alla giornata di ieri, in Debussy nel pomeriggio (e poi in seconda serata) è stato presentato The Transfiguration, opera d’esordio di Michael O’Shea. Un film che gioca con il mito dei vampiri rimettendo in scena umori anche metropolitani e citando apertamente classici del genere come Martin di George Romero: peccato che il risultato si muova nel solco di un horror – neanche tale in senso stretto – d’auteur, privo di anima e troppo legato a uno schematismo minimale che finisce per inaridire le intuizioni di regia. [r.m.]

 

sabato 14 maggio 2016
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21.10
È un’operazione sempre salutare e necessaria quella di provare a sganciarsi di tanto in tanto dall’ansia da prestazione festivaliera nel vedere film “nuovi” per calarsi piuttosto nella revisione e riscoperta di film del passato. La sezione di Cannes Classics serve per l’appunto a questo. Oggi pomeriggio veniva presentato Signore & signori di Pietro Germi, restaurato dalla Cineteca di Bologna a cinquant’anni dal premio per il miglior film che vinse proprio qui al Festival di Cannes del 1966, ex-aequo con Un uomo, una donna di Claude Lelouch. E allora nel rivedere questo film vien naturale il gesto di ricontestualizzarlo nel contemporaneo, finendo per trovarvi delle affinità incredibili con quanto conosciamo a menadito: ragazze minorenni che vengono indotte a prostituirsi, la stampa che si piega ai potenti, l’ipocrisia che regna sovrana. Germi ha saputo fotografare con questo suo film una condizione e delle caratteristiche forse eterne dell’uomo italico. Tra duecento anni probabilmente ci saranno ancora gli stessi scandali, ma già da tempo non c’è più lo stesso cinema… [a.a.]

17.35
Vagonate di zombie dalla Corea del Sud!
Corrono, si lanciano da qualsiasi altezza, si rialzano più famelici di prima, hanno un po’ di problemi al buio e con le porte scorrevoli. Un padre poco premuroso e una graziosissima bimbetta prendono il treno sbagliato, o forse quello giusto. L’epidemia zombie si scatena senza un vero perché (bene…) e tutti i personaggi, compreso una sorta di Bus Spencer coreano, dovranno sbrigarsi a cambiare vagone e a non farsi mordere. Sangue, morti viventi che si accatastano furiosamente e qualche melensa lungaggine, ma Train To Busan si lascia guardare, (s)corre abbastanza veloce e ha delle carte da giocare.
A questo punto, non ci resta che attendere pazientemente Seoul Station, pellicola zombesca d’animazione diretta dallo stesso Yeon Sang-ho e che dovrebbe svolgersi 24 ore prima del capitolo live action. Un discreto esordio nel cinema dal vivo per Yeon, che si era mostrato molto più impietoso e cattivo nei due precedenti lungometraggi animati: The King of Pigs e The Fake. [e.a.]

16.20
Presentato in Un certain regard, Harmonium di Koji Fukada è un dramma familiare in due parti, riflessione sul senso di colpa e sul sacrificio come unico elemento (forse) di redenzione. Fukada coglie alcuni aspetti affascinanti della vicenda, ma si perde in un struttura, anche visiva, così rigida da sterilizzare tutto. Peccato. [r.m.]

15.40
La poesia (e la creazione artistica tout court) come strumento di guarigione, intimo e collettivo, dai traumi personali e da quelli del proprio paese. Alejandro Jodorowsky nel suo nuovo film Poesia sin fin, presentato alla Quinzaine, prosegue l’indagine su sé stesso già iniziata con La danza della realtà. Con l’usuale realismo visionario incentivato dalla splendida fotografia di Christopher Doyle, Jodorowsky riporta alla luce questa volta, procedendo dunque in senso cronologico, il suo ingresso nell’età adulta e, con esso, il suo allontanamento dalla figura paterna, dalla casa, dal Cile. Sincero, poetico (ovviamente) e toccante Poesia sin fin è un’esperienza immersiva nella formazione dell’immaginario del suo autore, un viaggio dal quale anche lo spettatore, quando fa ritorno, non è più lo stesso. [d.p.]

14.15
Inizia a preoccupare la deriva di Park Chan-wook, oramai lontanissimo dalla trilogia della vendetta e un po’ ripiegato su se stesso, sull’indubbia abilità di metteur en scène, sulle composizioni geometriche. Una geometria anche narrativa, a tratti interessante, ma che alla lunga sembra un divertissement eccessivamente dilatato e fin troppo compiaciuto: presentato in Concorso, The Handmaiden (Agassi) brilla per quanto è levigato – e non è una buona notizia. Aleggia sulla visione il tragico ricordo del corto A Rose Reborn, targato Ermenegildo Zegna. Speriamo in un futuro cambio di rotta… [e.a.]

14.00
Roald Dahl ha sempre scritto fiabe per l’infanzia, inevitabilmente “semplici”; Spielberg, nell’adattare The Big Friendly Giant, dimostra una volta di più la sua maestria autoriale, attraverso una messa in scena che evita sempre l’effetto luna park. Elegante, tenero e divertente, BFG è il film per l’infanzia che chiunque sogna di fare, ma in pochi possono permettersi. Forse nessuno. [r.m.]

07.27
Viene presentato oggi alla Semaine de la critique (fuori concorso) I tempi felici verranno presto; l’opera seconda del friulano Alessandro Comodin conferma in gran parte le doti del giovane regista, ma mostra anche un’involuzione sotto il profilo della narrazione, che si fa più caotica e criptica, come se dovesse provare a confrontarsi ad armi pari con il caos della società che lo circonda. Interessante ma incompiuto, sospendiamo il giudizio in attesa dell’opera terza. [r.m.]

 

venerdì 13 maggio 2016
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23.55
Dopo Alle Anderen, che vinse l’Orso d’argento a Berlino nel 2009, torna la cineasta tedesca Maren Ade con Toni Erdmann, in concorso qui alla Croisette e tra i film più applauditi di questi primi giorni. Mettendo in scena la relazione contrastata, contraddittoria e soprattutto sadica tra un padre burlone e una figlia in carriera, Maren Ade scoperchia il vaso di Pandora delle relazioni familiari, sottolineandole con una lucidità e una crudeltà che si rinnovano costantemente e in maniera sempre imprevedibile, sia pure al cospetto del lato ludico e superficiale della commedia. Si ride – e con gusto – vedendo Toni Erdmann, ma non si può fare a meno di commuoversi e di interrogarsi in maniera viscerale sul senso dell’esistenza, con un’ultima inquadratura che non lascia speranze. [a.a.]

23.47
Tra le visioni pomeridiane abbiamo recuperato anche Exil, il nuovo lavoro con cui Rithy Panh torna a confrontarsi sulla memoria – universale e intima – della dittatura di Pol Pot in Cambogia. Affascinante e doloroso come sempre, Exil sembra però meno a fuoco rispetto alle opere precedenti di Panh (su tutte lo splendido L’image manquante), anche per l’eccessiva carne al fuoco estetica. Un film da vedere, in ogni caso. [r.m.]

23.36
Serata tutta all’insegna di Cannes Classics. Abbiamo infatti recuperato anche la versione restaurata (con una certa cura) di Tiempo de morir, l’esordio alla regia di Arturo Ripstein. Girato nel 1965, è un western disilluso che, memore della lezione del cinema classico, ne rivede il mito stravolgendolo. La violenza è un atto insensato e vacuo, che provoca solo una catena di sangue senza fine; una dannazione a cui l’uomo non sa però sottrarsi. Un film anti-machista, metafora dell’impotenza (anche virile) e della frustrazione che ne consegue. Imperfetto, immaturo ma carico di fascino, e con un utilizzo del piano sequenza a macchina a mano che lascia a tratti stupefatti. [r.m.]

21.40
Proiettato nel tardo pomeriggio all’interno della sezione Cannes Classic Close Encounters With Vilmos Zigmond di Pierre Filmon è un documentario molto classico che ripercorre attraverso sequenze di film e interviste (tra gli altri, a Vittorio Storaro, Ivan Passer, John Boorman, Jerry Shatzberg) la carriera del maestro delle luci (I compari, Il cacciatore, Sugarland Express sono alcuni dei film da lui fotografati) recentemente scomparso. A smorzare la “frontalitá” di questa struttura ci pensa però una sequenza in cui il gotha della direzione della fotografia della New Hollywood disserta disposto in circolo, quasi fosse in una riunione in stile alcolisti anonimi, sul proprio mestiere. E se tra i presenti, oltre allo stesso Zsigmond, ci sono anche personalità del calibro di Haskell Wexler e Caleb Deschanel, il piacere feticistico è assicurato. [d.p.]

19.58
Cannes Classics è una sezione altra, quasi un festival parallelo. O una dimensione parallela: una preziosissima macchina del tempo capace di riportarci a pochi mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale, più precisamente nella primavera del 1945. Hiroshima e Nagasaki non sono ancora teatro di un mostruoso crimine contro l’umanità e la Marina giapponese crede ancora nella propaganda, nell’Impero, nella vittoria. Dopo un lungo e fatico lavoro, il 12 aprile viene proiettato Momotarō: Umi no Shinpei (Momotaro’s Divine Sea Warriors o Momotaro, Sacred Sailors) di Mitsuyo Seo, prodotto dalla Shochiku. È il primo lungometraggio d’animazione giapponese, imperfetto e in bianco e nero. Una convinta risposta alla prima pellicola animata cinese, Princess Iron Fan (1941). Propaganda, guerra, vittoria, bambini che sognano di diventare soldati valorosi e di paracadutarsi sugli Stati Uniti. Gli yankee sono degli orchi, degli oni, con tanto di corno in testa. E anche Braccio di Ferro non viene risparmiato, nonostante la sua immancabile scatola di spinaci. La Storia ci racconterà un finale diverso, l’animazione giapponese ripartirà dalle ceneri, diventerà un colosso, ragionerà in maniera straordinaria sulle tragedie della Seconda guerra mondiale (Barefoot Gen, Una tomba per le lucciole, Si alza il vento…). Per il quinto anno di fila, la Shochiku porta a Cannes Classics un preziosissimo restauro. [e.a.]

15.19
La difficile arte di separarsi, quando oltre ai figli, si hanno anche dei problemi economici. È proprio il tema della mancanza di denaro, come ben ci indica il titolo, L’économie du couple, l’unico aggiornamento apportato da Joachim Lafosse al genere del “dramma di coppia” d’oltralpe. Rigoroso e stilisticamente elegante – praticamente un’unica location, molta macchina a mano, abile pedinamento domestico – il film, presentato alla Quinzaine è un ottimo palcoscenico per i suoi interpreti, Bérénice Bejo e Cédric Kahn, ma tutto quel loro litigare alla lunga stanca. [d.p.]

12.30
Épater le bourgeois, è in fondo questo, da sempre, l’obiettivo di Bruno Dumont, che con Ma Loute, presentato stamane in concorso a Cannes, prosegue il discorso già intrapreso con il delirante P’tit Q’ nquin per inscenare una farsa surreale e sottile, che con dovizia di particolari mette alla berlina i vizi della borghesia di inizio secolo, che forse è già morta da tempo e ancora non lo sa. Geniale ed estremamente appropriato l’utilizzo dei suoi interpreti, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrice Luchini, Juliette Binoche, esemplari proprio di un certo cinema francese di stampo borghese. Quel che si dice combattere il sistema dall’interno. [d.p.]

12.00
Visti i ritmi rutilanti del festival si rischia sempre di dimenticarlo, ma esiste anche la sezione Cannes Classics, dove vengono recuperate (e a volte riscoperte) gemme del passato. Oggi alle 13.20 tocca a Farrebique, il film di Georges Rouquier che nel 1946 fu il primo ad accaparrarsi il premio Fipresci; un’opera che ragiona già settant’anni fa sulla futilità della distinzione del tutto arbitraria tra documentario e finzione, e che racconta con potenza espressiva rara la vita contadina e i primi contatti con la modernità destinata a sconvolgerla. Se siete sulla Croisette, non perdete l’occasione di (ri)vederlo. [r.m.]

11.06
Passano gli anni ma la domanda resta sempre la stessa: perché mai a Pablo Larraín viene sempre precluso l’accesso al concorso di Cannes? Non è possibile per un’edizione rinunciare a uno degli ospiti fissi che affollano la selezione e trovare spazio per quello che è oramai impossibile non considerare uno dei maggiori registi in attività? Anche Neruda è stato accolto dalla Quinzaine des réalisateurs (stesso destino di No, e di Tony Manero), rischiarando una giornata a dir poco nuvolosa. Larraín da principio sembra muoversi nel solco del film biografico, salvo poi depistare completamente lo spettatore scartando dal sentiero e gettandosi in un agone in cui si danno battaglia dialettica il potere, l’arte, il ruolo principale e quello secondario, lo schema del noir e quello della vita reale. Traboccante di genialità, Neruda è un’opera stratificata, persino divertente, in cui giganteggia una volta di più il cast di fedelissimi del regista cileno. Colpo al cuore, e alla testa. Ce ne sono pochi, di questi tempi. [r.m.]

00.30
Proviene dalla sezione dell’ACiD – Association du cinéma indépendent pour sa diffusion ed è un lavoro d’animazione, la vera sorpresa di questa seconda giornata di festival. Si tratta di La jeune fille sans mains, opera prima, completamente disegnata a mano, di Sébastien Laudenbach. Mescolando le atmosfere più tetre delle fiabe dei fratelli Grimm, il film racconta una storia di cupidigia e dannazione, dove una giovane fanciulla si ritrova ad affrontare il mondo da sola e privata di entrambe le mani dal suo stesso padre. Con un tratteggio appena abbozzato e proprio per questo multiforme ed evocativo, il giovane regista ci trascina in un’avventura poetica e rocambolesca, dove a trionfare è soprattutto il suo talento tecnico e visionario e un’inusitata capacità di lavorare col disegno, le forme e la loro natura effimera e mutevole. [d.p.]

 

giovedì 12 maggio 2016
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19.30
Forse non sarà (più) il Ken Loach dei tempi migliori, ma sullo schermo della Salle Debussy di Cannes abbiamo rivisto una pellicola a tratti graffiante, ancorata alla realtà, consapevole della quotidianità, delle complessità e delle difficoltà dei “cittadini”. Ecco, proprio i cittadini, quelle persone normali, spesso oneste, a volte straordinarie, che lavorano, vivono e muoiono. I, Daniel Blake non è privo di difetti, degli eccessi tipici della scrittura di Paul Laverty, ma regala momenti di straziante “normalità”, squarci di lotta quotidiana per la sopravvivenza. Per la dignità. [e.a.]

16.30
Presentato nel primo pomeriggio Omor shakhsiya (Personal Affairs), film palestinese prodotto in Israele e diretto da Maha Haj. Inserito in Un Certain Regard il film vorrebbe essere in grado di svelare, attraverso la commedia bozzettistica, abitudini dure a morire e ossessioni degli arabi che vivono nel territorio israeliano. Peccato che la risata si esaurisca presto (sempre che sia mai partita). [r.m]

14.16
Platea in brodo di giuggiole per il fuori concorso presentato nella tarda mattinata alla stampa, Money Monster di Jodie Foster, che da oggi esce anche nelle sale italiane. Quarta regia cinematografica per l’attrice statunitense, in realtà Money Monster ci è apparso un film in cerca della risata facile e di riflessioni a buon mercato sulla società dello spettacolo e sulla dittatura di Wall Street. Incentrato su un buffone della tv che dà consigli per investimenti in borsa ai suoi telespettatori e che viene sequestrato in diretta da uno di questi, il film della Foster accumula stereotipi su quel che è oggi il mondo dello show business e della finanza e mostra un cinismo “leggero” e crudelissimo che va forse al di là delle intenzioni della stessa regista. [a.a.]

13.40
Dopo Sieranevada di Cristi Puiu, è stato presentato in mattinata il secondo film del concorso qui alla Croisette, Rester vertical di Alain Guiraudie, apprezzato di recente – anche in Italia – con Lo sconosciuto del lago. Rispetto al suo precedente lavoro, in cui si raccontavano i rapporti (e i crimini) all’interno di una slabbrata comunità gay, qui il cineasta francese si fa più esistenzialista e mette a confronto, a tratti in maniera grossolana, l’uomo con le bestie. Rester vertical, restare eretto, bipede, è per l’appunto la sfida che affronta il protagonista, incappando in una serie di grottesche e tragicomiche situazioni. Pur con una serie di scene forti, tra cui un atto di sodomia per accompagnare un anziano verso la morte, il film di Guiraudie dà però l’impressione di lasciarsi “scorrere addosso”; probabilmente è l’umorismo – solo in parte bonario e soprattutto molto giudicante nei confronti dei personaggi – che limita la radicalità del suo discorso rendendolo paradossalmente innocuo. [a.a.]

13.05
In mattinata in Salle Bazin è stato presentato anche L’ultima spiaggia, il documentario codiretto da Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan inserito tra le proiezioni speciali del Fuori Concorso; racconto della vita quotidiana in uno stabilimento balneare triestino in cui uomini e donne sono ancora nettamente divisi, il film sembra quasi una versione giuliana di Sacro GRA di Gianfranco Rosi, accumulando bizzarrie, discorsi da bar e idiosincrasie. Non giova al pur interessante lavoro una durata monstre, oltre le due ore, e un’armonia altalenante nel rapporto tra riprese dal vero e materiale di repertorio. [r.m.]

12.25
“Ci sono ovvietà che sconvolgono”. Ecco servito il quid di Fai bei sogni, il nuovo lavoro di Marco Bellocchio presentato stamane alla Quinzaine des réalizateurs. Travestito da biopic sul giornalista della Stampa Massimo Gramellini (è tratto dal suo libro autobiografico), con tanto di flashback innestati su eventi storici quali la commemorazione della tragedia di Superga, Mani Pulite o la guerra nell’ex Yugoslavia, tutti rotanti attorno al grave trauma della perdita della madre vissuto dal protagonista (Valerio Mastandrea in versione adulta) il film di Bellocchio punta in realtà a rivelarci la facile seduzione della banalità e del sentimentalismo attraverso la parabola ascendente verso il successo mediatico di un uomo senza particolari qualità. Un paradossale film biografico su un personaggio che il regista non ama particolarmente, questo è Fai bei sogni: probabilmente non un bel film , ma un film geniale, nella sua schizofrenia, in quel perpetuo accostarsi ai personaggi e alle loro storie per poi prenderne le distanze con l’arma affilata dell’ironia, in quel suo travestirsi da melodramma familiare per andare poi a denunciare, con l’usuale sapido moralismo di Bellocchio, quanto assopita sia la società odierna, tramortita dal cicaleccio mediatico, e forse proprio per questo sempre più adusa a commuoversi per l’ennesima ovvietà. [d.p.]

 

mercoledì 11 maggio 2016
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23.59
Ad aprire il concorso è Sieranevada, nuovo film di Cristi Puiu, noto alle platee internazionali per Aurora e soprattutto per lo splendido La morte del signor Lazarescu; Sieranevada ripropone lo stile abituale di Puiu, fatto di lunghi piani sequenza nervosi, a macchina a mano, e basati su una dialettica campo/fuoricampo incessante e mai banale. Lungo le tre ore e poco meno del film Puiu squarcia il petto della famiglia rumena contemporanea, tra ansie, paure recondite e segreti più o meno nascosti. Un’opera potente, che merita attenzione e si candida fin d’ora a dire la sua nella serata di premiazione. [r.m.]

14.57
Prime certezze del festival: la mensa sotterranea del Palais è ancora lì, e si può ancora mangiare un piatto di qualcosa di decente in mezzo a tutti i lavoratori del festival. I veri addetti ai lavori. Un’abitudine utile a nutrirsi e a togliere un po’ di lustrini e di eccessiva patina a una macchina comunque industriale; bene così. [r.m.]

12.38
Leggiadro, ironico, romantico, nostalgico. Accompagnato dai colori di Vittorio Storaro e dalle immancabili sonorità jazz. Woody Allen, come sempre. Café Society assicura al Festival di Cannes un’apertura glamour, da copertina, col riflesso della Hollywood d’antan e le bellezze di oggi Kristen Stewart e Blake Lively. Ma lo script è per Jesse “Woody” Eisenberg e per Steve Carell, entrambi perfetti. Il film scivola via, coi suoi tramonti newyorkesi, le ville hollywoodiane, i dialoghi sagaci, le peripezie del fratello gangster, gli intrecci amorosi, The Woman in Red con Barbara Stanwyck… Godibilissimo, (ma) adesso il Festival può cominciare davvero. [e.a.]

 

martedì 10 maggio 2016
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23.15
Ebbene sì, piove. Cannes accoglie gli stanchi accreditati arrivati già oggi con un bel po’ di goccioloni; ci si ripara nei ristorantini, nei pub e nelle case, in attesa che arrivi tra qualche ora l’inizio ufficiale, con Café Society di Woody Allen. [r.m.]

17.37
Neanche il tempo di iniziare e il festival regala già una sorpresa (in realtà nell’aria). Mentre metà della truppa di Quinlan sta per valicare le Alpi e l’altra metà prepara le valigie in attesa di partire domani, dalla Croisette amici e colleghi ci informano che il Palais è stato evacuato per un’esercitazione anti-terrorista. Già da qualche settimana si sapeva che Cannes avrebbe puntato molto sul tema della sicurezza, ma fare una sorta di pre-apertura con uno sgombero in stato di emergenza – per quanto fittizio – non è proprio un biglietto da visita rassicurante… [r.m.]

Info
Festival di Cannes 2016, il sito ufficiale.
Il concorso del Festival di Cannes 2016.

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