La tenerezza

La tenerezza

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Gianni Amelio torna agli aspetti della poetica che gli sono più cari e consoni e ne La tenerezza racconta il disperato tentativo di creare rapporti affettivi, al di là o nonostante l’appartenenza “di sangue”. Un’opera dolorosa ed essenziale, un gradito ritorno. Con un eccellente Renato Carpentieri, che guida le fila di un cast composto anche da Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti e (in un ruolo marginale) Greta Scacchi.

Vicini di casa

In un bel palazzo antico al centro di Napoli vive Lorenzo, che in anni lontani è stato un famoso avvocato. Ora, dopo qualche infortunio professionale, è caduto in disgrazia, per colpa di un carattere bizzarro, che lo porta più all’imbroglio che al rispetto della legge. Anche nei rapporti familiari Lorenzo frana ogni giorno, negando apparentemente senza ragione, l’affetto ai suoi figli. Saverio, il più giovane, se ne infischia: sta investendo in un locale dove si fa musica, e ha solo fame di soldi. Elena invece gli vuole bene e ne soffre. Ormai padre e figlia non si parlano nemmeno, qualcosa li divide, un fatto oscuro legato alla morte della moglie, che Lorenzo, come lui stesso ammette, non amava e tradiva senza scrupolo. Egoista e brusco, compagno solo del nipotino Francesco, che sottrae alla scuola per educarlo alla sua maniera, Lorenzo assiste a un evento in apparenza banale, che però gli cambia la vita. Nell’appartamento di fronte al suo vengono ad abitare Fabio e Michela, una giovane coppia con due bambi i piccoli, che arrivano dal Nord, un po’ girovaghi per via della professione di lui, che fa l’ingegnere navale; e anche un po’ spaesati in una città splendida e difficile come Napoli… [sinossi]

La tenerezza, diceva Evgenij Aleksandrovič Evtušenko in Autobiografia precoce, “è l’unica cosa che valga veramente”. Non sembra pensarla così Lorenzo, il protagonista de La tenerezza, il film con cui Gianni Amelio torna alla regia a quattro anni di distanza dal disastroso e disastrato L’intrepido: Lorenzo è stato un avvocato di successo quanto truffaldino, si è rovinato con le sue stesse mani, è vedovo e non ha più alcun rapporto con i due figli, un maschio e una femmina. Quando si trova in ospedale per un malore fa finta di dormire sotto l’effetto dei sedativi pur di non doversi intrattenere con la figlia – il maschio, invece, ha a sua volta tagliato i rapporti col genitore, nel quale vede solo ed esclusivamente una figura a cui chiedere aiuto economico. Lorenzo non dispensa tenerezza, né la chiede in prestito a chicchessia. Ma ha un suo codice di relazioni. Vive un proprio mondo, ispido e a suo modo caloroso, esattamente come quella Napoli dalla quale non si è mai voluto distaccare. Non si strappa un cordone ombelicale, non si recide il rapporto con la città/mamma. Non si abbandona l’affetto. Non ha famiglia pur avendola, Lorenzo, vive solo in un grande e luminoso appartamento che in realtà appartiene ai figli, che glielo hanno messo a disposizione. Tutto, nel rapporto con i suoi eredi “di sangue”, è oramai regolamentato solo da pratiche legali. Quelle pratiche nelle quali si è immerso un’intera vita, chiuso in quell’ufficio che ora stanno dismettendo, e nel quale si reca Elena, la figlia, per ritrovare l’odore, l’essenza di quel padre con cui non ha più rapporto. Quelle pratiche legali che in un modo o nell’altro fanno parte anche della vita di lei, che lavora come interprete dall’arabo per il tribunale, e che non crede che la moglie e il figlio citati come morti in mare da un imputato tunisino siano davvero mai esistiti. Affetti inventati. Famiglie fantasma, mai esistite. Ma dopotutto, quale famiglia esiste davvero? Quella di Michela e Fabio, per esempio, che con i loro due bimbetti si sono trasferiti a Napoli proprio nell’appartamento accanto a quello di Lorenzo, con il quale condividono anche un pezzo di terrazzo? È quella la famiglia nella quale ricercare la tenerezza perduta, o forse mai sperimentata?

Ne La tenerezza c’è un dolore più antico del mondo che pervade le strade di una Napoli mai così ectoplasmatica, evanescente, quasi incorporea. C’è il dolore non dettato dalla memoria di un passato da ricordare con nostalgia (nessuno dei personaggi prova melanconia per i giorni che furono), ma dalla consapevolezza di non avere nulla a cui aggrapparsi: Lorenzo non ha più moglie, forse mai davvero amata e sicuramente tradita in ogni modo, e ha sfilacciato in modo estremo il legame con i figli; Elena cresce da sola un bambino che non ha mai avuto padre, e che ha come unica figura maschile proprio il nonno, che gli ruba ore scolastiche per poter passare del tempo con lui; Fabio è un uomo spaurito, costretto da responsabilità sociali che non sa davvero sostenere, e non ha praticamente più rapporti con la madre, che deplora; Michela, infine, è un’orfana scappata di casa a Ostia a sedici anni.
In questo sgretolamento continuo, diaspora umana che non sembra avere vie d’uscita, Amelio cerca di raccontare la necessità della tenerezza, l’indispensabile riconoscimento di una comunione di sensi non amorosa, ma sincera. Vigile. Reale. Nel mondo del virtuale, rintraccia una volta di più la vertigine di un faccia a faccia dialettico, di un’empatia che è l’unica reale risorsa rimasta agli ultimi. Non più ultimi economici, com’era per i protagonisti de Il ladro di bambini (vertice del cinema italiano degli anni Novanta dimenticato troppo in fretta), ma comunque pedice di una piramide sociale levigata e sdrucciolevole. Come in Colpire al cuore, anche Lorenzo e le persone che gli gravitano intorno ne La tenerezza sono tutti vittime, ma anche inconsapevoli carnefici. Se l’affastellamento di un gran numero di personaggi secondari costringe Amelio a cercare di tenere insieme una narrazione che in modo probabilmente inevitabile si perde di quando in quando in rivoli forse inessenziali, la costruzione psicologica del protagonista, cui regala un’interpretazione luminosa lo splendido Renato Carpentieri – che non ottiene comunque l’onore del primo posto in cartellone –, è scritta con una grande raffinatezza. Amelio “costringe” Lorenzo a una serie di faccia a faccia dialettici attraverso i quali tentare una via al rapporto genitore-figlio, che gli è sempre mancato. Non con i bambini, e infatti è attento e amorevole tanto con il nipotino quanto con i due figli dei vicini di casa. No. Lorenzo non sa essere genitore di un adulto. Così i vis à vis con Elena, ma ancor più con la raggiante Michela e l’ombroso Fabio, sono tappe di avvicinamento a un percorso di maturazione che non potrà far altro che scontrarsi con altri dolori, altre perdite, altre sconfitte.

Pur all’interno di una narrazione volutamente squadernata, che procede spesso per ellissi, Amelio racchiude il senso di una poetica forte, che torna finalmente alla ribalta dopo essere stata accantonata per molti anni – forse dai tempi de Le chiavi di casa nel 2004. Lo dimostrano, al di là di speculazioni che si potrebbero tentare solo svelando una parte troppo consistente della trama, almeno tre sequenze, tutte e tre a loro modo mirabili: il dialogo tra Lorenzo e Fabio sull’imbarcazione che il giovane ingegnere navale sta costruendo, quello tra l’anziano uomo e la madre dello stesso Fabio, in cui si parla di un episodio avvenuto durante l’infanzia del ragazzo, e la dispersione serale di Fabio per una Napoli multi-rumore eppure solo di sfondo a un’irrequietezza del vivere che non ha requie, né può averla. È una lunga messa di requiem, La tenerezza, ma allo stesso tempo propone un’ouverture sotterranea, pulsante, che vorrebbe riemergere dalla bara nella quale sta sprofondando, e della quale qualcuno vorrebbe serrare i chiodi. C’è bisogno, nel 2017, di un film come La tenerezza, così come c’è bisogno del cinema di Gianni Amelio, e della sua fede, al di là di tutto e tutti, nell’uomo, nonostante le sue debolezze. O forse, dolce pensiero, proprio grazie a quelle.

Info
Il trailer de La tenerezza.
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