Chesil Beach – Il segreto di una notte

Chesil Beach – Il segreto di una notte

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Chesil Beach – Il segreto di una notte è l’adattamento cinematografico firmato da Dominic Cooke del romanzo di successo di Ian McEwan. Irrobustito dall’eccellente interpretazione di Saoirse Ronan il film poggia totalmente sull’appassionante plot del testo.

Divergenze parallele

Regno Unito, 1962. Laureati di fresco e poco più che ventenni, Florence ed Edward si sono appena sposati ma non hanno mai avuto rapporti intimi. Provenienti da classi diverse e forgiati da educazioni diverse, i conflitti sopiti tra loro deflagreranno durante una disastrosa prima notte di nozze. [sinossi]

Ian McEwan aveva tratto una sceneggiatura dal suo romanzo del 2007, On Chesil Beach, pensando a un film diretto da Sam Mendes: il progetto era dato già ai nastri di partenza nel 2010. Come è evidente non se ne fece nulla, ma è interessante che il grande scrittore inglese fosse spinto a “incontrare” il regista di Revolutionary Road (da Richard Yates) per portare sullo schermo proprio questa storia. In comune i due lavori hanno infatti parecchie cose, a partire da un confronto brutale e non convenzionale tra il femminile e il maschile. Come spesso accade in McEwan, anche qui tutto ruota attorno a un episodio scatenante, a un evento che si fa carico di una miriade di conflitti, contraddizioni, problemi, sia epocali che psicologici, che afferiscono dunque sia alla società che agli individui raccontati e che di quella società sono il prodotto, l’esito, ma pure un elemento di innovazione e una freccia scagliata in avanti. In Chesil Beach l’evento è la prima notte di nozze di una giovane coppia, Florence (la bravissima Saoirse Ronan) ed Edward (Billy Howle), che ripetono tanto di amarsi ma non hanno alcuna dimestichezza con il corpo dell’altro e non si conoscono affatto sessualmente. Le cose nel talamo andranno malissimo e, invece di fare l’amore, la prima notte sarà l’occasione per chiarire i presupposti del loro matrimonio, chi sono, cosa desiderano o cosa credono di desiderare, che aspettative hanno l’uno rispetto all’altra.

Il film, nel 2015, è stato preso in mano dalla produttrice Elizabeth Karlsen che ha coinvolto Dominic Cooke, uno dei registi teatrali più importanti della Gran Bretagna, qui al suo esordio cinematografico, e con cui McEwan ha rivisto la sceneggiatura. Cooke si pone a servizio della storia senza farne un radiodramma o un film parlato dall’impianto teatrale: il regista alla sua prima opera dimostra di voler e saper lavorare con il linguaggio del cinema e, pur nella lineare classicità della messa in scena, sa usare sensatamente i campi lunghi (come nella bellissima inquadratura finale), i movimenti di macchina e i punti di vista implicati, i dettagli che devono restituire un sentimento o un’atmosfera. Insomma Cooke racconta la vicenda ricorrendo all’armamentario proprio dell’immagine in movimento ed evitando una regia statica: il risultato non è strabiliante, ma è sobrio e funzionale. Il miasma dei conflitti raccontati, però, è il vero punto di forza di Chesil Beach, incentrato su un incontro tra classi sociali differenti e identità sessuali acerbe in un’Inghilterra di inizio anni ’60 in cui non è ancora esploso il rock e la giovinezza è ancora solo l’incipit della vita adulta, coronata dall’ineluttabile matrimonio. Le traiettorie dei due protagonisti sono densissime, ma quella di Florence – il cui sogno è diventare una violinista e lavorare con l’ensemble d’archi che ha messo assieme – è dominante perché davvero dirompente. Chesil Beach offre cospicuo materiale per chi è interessato alla rappresentazione dei generi sullo schermo: abbiamo un giovane di modesta famiglia, la cui madre è rimasta cerebrolesa dopo un incidente, laureato con lode in Storia, che ascolta Chuck Berry, lusingato dal fatto di essere stato “puntato” e scelto da una ragazza aggraziata, di buona famiglia, violinista provetta di musica colta, che non ha per niente la puzza sotto al naso e anzi è gentile e dolce. Ovviamente i genitori di lei non sono entusiasti del legame, mentre il padre di lui dà al figlio un consiglio netto: “Sposala”. Florence, corteggiata anche dal violoncellista con cui suona, tira dritto senza tentennare di un millimetro: lei vuole Edward, lo ama e passerà con lui la vita. Anche se non è molto interessata a baci, carezze ed effusioni. Una strana creatura nel 1962 come oggi questa Florence, consapevole di essere donna quindi di essere chiamata dalla società ad alcuni “compiti” femminili, ma interessata soprattutto ad altro, alla musica, all’arte, e alla propria riuscita interiore. In Chesil Beach aleggia l’ombra della paura verso il maschile, rappresentato per la protagonista da un padre vanesio e anaffettivo (se non peggio), ma lo svolgimento della storia è focalizzato più verso i meccanismi adattivi dei due protagonisti e in particolare della giovane donna, che per il suo sesso è incaricata naturalmente a essere qualcosa di socialmente definito. Per sfuggire al recinto, Florence necessita di una strategia più raffinata rispetto a quella di Edward, che ha nonostante tutto – e nonostante la figura materna del tutto instabile ma con una sensibilità peculiare per la pittura, che conosce a fondo – introiettato i parametri che una brava moglie deve soddisfare.

Da queste premesse nasce il nodo problematico della relazione: non è la società, direttamente, a intervenire per “separarli” come in un plot classico e risaputo; sono i diversi costrutti psichici dei due, divergenti perché uno è l’evoluzione di un maschio e l’altro l’evoluzione di una femmina, a porli in un’insanabile contrapposizione. L’interesse di McEwan è rivolto, non a caso, a quei giovani dei primi anni ’60, nati alla fine degli anni ’30 o nei primi ’40, ancora intrappolati negli stereotipi di genere ma che potevano presentire anche un nuovo apparato sociale e nuove possibilità per cui i rapporti tra i sessi sarebbero cambiati. E si sarebbero complicati alquanto. Una generazione di transizione che ha dovuto escogitare ed esplorare strategie non necessariamente precostituite, perché i modelli relazionali precedenti si stavano sfaldando e quelli successivi non erano ancora diventati, a loro volta, canonici.

Chesil Beach non è un grande film, ma è una grande storia scandita da una sceneggiatura strutturata per flashback che, raccontando il pregresso della coppia, interrompono continuamente la scena madre, la resa dei conti a letto di due giovani che hanno parlato molto senza mai dirsi niente di significativo per non turbare le aspettative reciproche. Come detto, Cooke riesce a esprimere le emozioni del racconto, prima fra tutte il tragico disagio del rapporto sessuale, ma certamente il materiale narrativo prevale per forza e coraggio sulla resa filmica. Resta un po’ di rimpianto: solo in queste ultime settimane sono usciti due film tratti da romanzi di McEwan, e da lui stesso sceneggiati (questo e The Children Act) ma l’impressione è che la potenza drammaturgica dello scrittore non abbia ancora una volta trovato un adattamento cinematografico alla sua altezza.

Info
Il trailer di Chesil Beach.
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