The Vanishing – Il Mistero del Faro

The Vanishing – Il Mistero del Faro

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Nonostante qualche convenzione narrativa poco originale, The Vanishing – Il mistero del faro di Kristoffer Nyholm è un teso mistery che cucina a fuoco lento e con indubbia efficacia, forte di location suggestive, interpreti impeccabili e una regia ben orchestrata.

Uomini soli

Tre guardiani di un faro si apprestano ad assumere servizio per sei settimane su una piccola e remota isola al largo della Scozia. Tutto prosegue con normalità fino a quando i tre non scoprono un baule pieno d’oro, portato sull’isola da un naufrago in fuga. Saranno costretti a uccidere dapprima per difendersi, poi per trattenere l’oro e infine continueranno a farlo accecati dall’odio e dalle paranoie, fino a quando rimarrà un solo sopravvissuto… [sinossi]

Mai lasciare tre uomini soli su un’isola deserta. È grossomodo questo il principale insegnamento che si può trarre dalle vicende realmente accadute all’inizio del ‘900, quando tre guardiani di un faro, posto su un’isoletta a largo delle coste occidentali scozzesi, scomparvero nel nulla. Questo caso, rimasto irrisolto e noto come il “Mistero delle isole Flannan”, è ora oggetto di The Vanishing – Il mistero del faro di Kristoffer Nyholm (già regista per le serie tv Taboo e The Killing), dove regista e sceneggiatori (Celyn Jones e Joe Bone) si spingono però ben oltre il monito da lanciare agli eventuali “uomi soli su un’isola” per orchestrare un teso gioco al massacro tutto virile, innescato dalla più potente arma di distruzione di massa: il denaro.

Nuca increspata di rughe quasi gommose, berretto da vecchio lupo di mare e occhi tristi, Peter Mullan incarna qui il veterano guardiano di fari Thomas, un vedovo amareggiato pronto a imbarcarsi nel – per lui abituale – turno di sei settimane isolano, insieme al collega James (Gerard Butler), coriaceo padre di famiglia inseparabile dal suo maglione in pura lana delle isole Shetland, e al novizio Donald (Connor Swindells), imberbe post-adolescente senza famiglia e additato dalla comunità civile come “bastardo”.
Giunti sull’isoletta sperduta, i tre inizieranno un ménage domestico e lavorativo ben scandito, almeno fino al giorno in cui, dopo una roboante tempesta, non incapperanno in un naufrago e nel suo bottino: una cassa con lingotti d’oro. Il superstite avrà vita breve dal momento che, per difendere il suo tesoro, proverà subito ad uccidere il giovane Donald, che lo stenderà con un’esiziale sassata. Ma l’oro porta subito zizzania tra i tre guardiani stagionali, già notevolmente provati dall’isolamento e dalla convivenza, e con l’approdo poi in loco dei complici del naufrago defunto, il numero delle vittime rischia di aumentare in maniera esponenziale. La radio del faro poi, inutile dirlo, è rotta.

Serrato nel cadenzare eventi, incontri e prove di forza all’interno di una struttura narrativa che segue le tappe classiche di un “dramma da camera”, The Vanishing – Il mistero del faro si propone come una vera e propria riflessione narratologica sui possibili sviluppi di una tragedia annunciata. Assai consapevoli di avere tra le mani una storia già narrata innumerevoli volte sul grande schermo (pensiamo a Il tesoro della Sierra Madre di John Huston, ma anche a Soldi sporchi di Sam Raimi), i due sceneggiatori allestiscono infatti tutto con cura, predisponendo gli oggetti – il gancio per pescare i granchi, la corda per spezzarne il guscio e poi il mercurio, necessario per far girare la lanterna del faro, ma letale per gli esseri umani – per incentivare la tensione e centellinando le informazioni sui personaggi (il plurimo lutto alle spalle del vecchio Thomas), il tutto per meglio preparare l’esplosione di una violenza che è data sempre come latente: sui volti dei personaggi, nelle loro abitudini quotidiane, negli agenti atmosferici pronti a scatenarsi e fare piazza pulita di ogni cosa, animata e inanimata. Il sentore dell’operazione fine a se stessa è costantemente dietro l’angolo nel corso della visione di The Vanishing – Il mistero del faro, insieme al rischio che l’architettura narrativa prenda il sopravvento su tutto, mostrando il suo scheletro e allontanando da una reale identificazione con personaggi ed eventi. Ma va detto che anche la regia di Kristoffer Nyholm fa il suo dovere e, orchestrata come un ordigno a orologeria, si prodiga in movimenti inquieti di macchina a mano, dediti ora a scandire, con fare quasi documentaristico, le attività lavorative dei tre guardiani, ora a scandagliare i loro volti e i loro corpi, vessati, piegati, affranti, resi sempre vigili e scalcianti dai relativi, ottimi interpreti.

Impeccabile come sempre, Peter Mullan brilla di luce propria (è lui il vero faro, anche in qualità di “maestro” per i due colleghi) nonostante qualche eccesso di patetismo dovuto alla sequela di lutti familiari che qui gli è stata destinata, quasi di pari intensità è poi la performance di Gerard Butler che, nelle vesti anche di produttore (come spesso accade) del film, si ritaglia un personaggio complesso e ambiguo, la cui “scissione dell’io” è poi sottolineata in una scena in cui si indulge nel gioco di specchi della lanterna del faro, che frammenta il suo volto acciaccato dai troppi scontri corpo a corpo. Solida e senza smagliature è poi anche la prova attoriale del giovane Connor Swindells, qui al suo, promettente, debutto.

Forte di location suggestive, interpreti impeccabili e una regia ben orchestrata, The Vanishing – Il mistero del faro è dunque un teso mistery che cucina a fuoco lento e con indubbia efficacia. Niente di nuovo, certo, e bisogna chiudere un occhio di fronte ad alcune, inevitabili convenzioni – si veda la succitata radio trasmittente rotta – ma tre uomini, un faro e un forziere d’oro possono sempre avere una loro efficace presa sull’immaginario dello spettatore, inutile negarlo.

Info
Il trailer di The Vanishing – Il Mistero del Faro.
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