La Llorona – Le lacrime del male

La Llorona – Le lacrime del male

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Tentativo di trattare una figura affascinante, figlia di un folclore giunto solo di rimando nel mondo nordamericano ed europeo, La Llorona – Le lacrime del male offre la sua giusta dose di spaventi, ma non sfrutta al meglio le potenzialità del suo tema.

Lacrime che (non) corrodono

Dopo che una donna affetta da problemi psichici viene arrestata, col sospetto di maltrattamenti nei confronti dei suoi due figli, l’assistente sociale Anna è testimone di fenomeni inquietanti: i due bambini vengono uccisi nottetempo, mentre la madre parla della misteriosa Llorona, spirito che prenderebbe di mira i bambini. I due figli di Anna, nel frattempo, iniziano a manifestare loro stessi strani comportamenti… [sinossi]

Non è la prima volta che il cinema tratta la figura della Llorona, cupa creatura del folclore latinoamericano che incarna, per le culture locali, una sorta di equivalente di ciò che è Medea per la mitologia greca. Leggenda di provenienza precolombiana, diffusa a macchia d’olio in tutto il continente americano, il dolente spirito che annegò i figli per vendicare il tradimento del marito fu già oggetto di un film messicano del 1933, intitolato semplicemente La Llorona, di una nuova incarnazione del 1961 (La maldición de la Llorona), e di una serie di occasionali apparizioni cinematografiche e televisive, in opere a tema fantastico della più varia natura e provenienza. Il cinema statunitense, almeno nella sua variante mainstream, si è tuttavia tenuto finora abbastanza lontano da questa figura, strettamente legata a un universo magico e ancestrale piuttosto lontano dai canoni dell’horror occidentale, e difficile da replicare se non nella sua forma più esteriore. Ha cercato di rimediare a tale mancanza, con questo La Llorona – Le lacrime del male, il produttore James Wan, che incorpora la storia del cupo fantasma nell’universo composto dai vari The Conjuring e Annabelle (con relativi sequel): proprio col primo film dedicato alla bambola maledetta, risalente al 2013, il film ha in comune la figura di padre Perez, ex prete e indagatore del sovrannaturale.

Parte con un prologo interessante, il film di Michael Chaves (esordiente, già regista designato del prossimo The Conjuring 3): l’ambientazione rurale, la composizione di un quadro familiare e ingannevolmente edificante, la quiete di un gioco presto destinato a originare l’orrore, fanno venire in mente il melò horror di un’opera come The Orphanage di Juan Antonio Bayona. Una particolare declinazione del genere, quella più intrisa di melodramma, con cui il film di Chaves continua a flirtare nelle prime sequenze ambientate nel presente (qui gli anni ’70, nella razionale, cosmopolita ma inquieta Los Angeles); con la messa in primo piano del tema familiare e di quello sottostante del lutto, che accomunano le figure dell’assistente sociale Anna e dell’instabile Patricia, madre di origini messicane sospettata di maltrattamenti (e poi dell’omicidio) dei suoi due bambini. Non tarda a manifestarsi, l’orrore della Llorona, e lo fa prima uccidendo crudelmente i figli della donna latinoamericana, e poi prendendo di mira quelli della protagonista. Lo fa, soprattutto, presentandosi con l’iconografia della tradizione locale – velo e vestito bianco – ma ricorrendo nella sua azione a tutto l’occidentale, ben rodato armamentario di spaventi, tra porte scricchiolanti, luci al neon difettose, apparizioni celate da porte e finestre, pronte a invadere l’inquadratura proprio laddove (non) ce le si aspetta. Un materiale stereotipato che tuttavia, va detto, il regista dimostra di saper maneggiare piuttosto bene: specie laddove i vasti interni della casa coloniale celano la minaccia differendone gradualmente la manifestazione (come nel primo, efficace confronto della protagonista con lo spettro).

Se da un lato il problema di La Llorona – Le lacrime del male sta nella consueta, “globalizzante” tendenza dell’horror occidentale a normalizzare le suggestioni più inconsuete, riconducendole ai suoi codici estetici e alla sua morale (l’importanza della famiglia e la protezione della prole), dall’altro la sceneggiatura mostra più di una falla sul puro piano della consequenzialità e della logica narrativa. Non staremo qui a elencare i passaggi che nel film funzionano poco a livello di credibilità – intendendo il termine, ovviamente, come coerenza con le premesse poste dal soggetto: basterà dire che il primo contatto dei figli della protagonista con lo spettro muove da una premessa a dir poco pretestuosa (portare due bambini su una scena del crimine in piena notte?); e che, nella lunga parte del confronto finale con la creatura, lo script sembra perdere di vista la necessità di coerenza, fidando forse sul fatto che le invenzioni visive possano efficacemente supplire alla scarsità di idee. Soprattutto, i rimedi che il travagliato ex prete interpretato da Tony Amendola mette in campo contro il male restano puri ornamenti; coloriture di marca “esotica” per un film che in realtà guarda in parti uguali al J-Horror (filone non a caso oggetto, nello scorso decennio, della stessa colonizzazione culturale che si intravede qui), alla declinazione europea e più colta del genere (il già citato The Orphanage, citato più a livello di riferimento ideale che altro), e soprattutto al popcorn horror digitale, figlio di una concezione usa e getta della ghost story, di cui lo stesso Wan è stato significativo interprete nell’ultimo decennio.

Funzionano poco, e in modo insoddisfacente, anche gli accenni di melò che lo script dissemina in modo intermittente nel film, tutti ricondotti a una valorizzazione – predominante – della struttura familiare, e al tema del bambino come vittima predestinata (più che vettore) del sovrannaturale. In questo senso, ogni tentativo di umanizzare la creatura, e di scavare un po’ più a fondo nella sua figura ancestrale, appare a dir poco pretestuoso; sommerso dalla pesantezza del digitale, e dalla necessità di costruzione di un mostro che (con fattezze tutt’altro che celate, ma anzi – quasi orgogliosamente – manifeste) possa promettere la giusta dose di spaventi a buon mercato. Così, questo in sé non disprezzabile La Llorona – Le lacrime del male, resterà nella memoria soprattutto come ulteriore capitolo (o spin-off, se si preferisce) della saga inaugurata da The Conjuring: il potenziale delle lacrime del titolo, però (che potevano corrodere a vari livelli, non solo quello letterale) resta quasi del tutto inutilizzato.

Info
Il trailer di La Llorona.
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