Sorry We Missed You

Sorry We Missed You

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Resoconto dettagliato delle condizioni di vita di un lavoratore contemporaneo, Sorry We Missed You è l’ennesimo film “necessario” di Ken Loach, forse l’unico regista per il quale l’aggettivo “didattico” ha sempre un’accezione positiva. In concorso a Cannes 2019.

Consuma, crepa

Un corriere a domicilio e sua moglie lottano per mantenere la propria famiglia nell’Inghilterra di oggi. [sinossi]

“Io lotto contro l’idea che la felicità stia nella capacità di comprare cose nuove. Non siamo venuti al mondo solo per lavorare e per comprare; siamo nati per vivere. La vita è un miracolo; la vita è un regalo. E ne abbiamo solo una.”
Queste celebri parole dell’ex presidente uruguaiano José “Pepe” Mujica compaiono di quando in quanto sui social network, utilizzate dunque più come slogan che per la loro reale portata rivoluzionaria. Ci pensa ora il britannico Ken Loach a prendersi la briga di squadernarne il più intimo significato nel suo nuovo film Sorry We Missed You, una tragedia umana e lavorativa montante presentata in concorso a Cannes 2019.

Da attento osservatore della realtà sociale che lo circonda qual è – e dato poi che Denis Arcand ha di recente perso quest’occasione con il suo La caduta dell’impero americano, un film-metafora troppo intellettuale per risultare efficace – non poteva che essere Loach a portare sul grande schermo il lavoro che più di ogni altro caratterizza il nostro tempo: quello del corriere a domicilio. Si tratta di un lavoratore vittima di una nuova forma di alienazione, perché non solo non possiede i “mezzi di produzione” ma, a ben vedere, di fatto non produce nulla, è solo l’ultimo anello di una catena al cui apice, come giustamente immaginato qui dal protagonista del film, potrebbe anche non esserci un essere umano, ma un robot.

Sorry, We Missed You segue dunque le vicende di un padre di famiglia, Ricky Turner (Kris Hitchen) che accetta di diventare “lavoratore autonomo” per un franchise di consegne, accettando ritmi sostenuti, l’assenza di diritti, le multe per i ritardi, la distanza dalla propria famiglia, in un crescendo cristologico ben indirizzato verso il martirio. Lo stipendio non esiste più, c’è “la paga”, l’orario di lavoro nemmeno, lavori finché ce la fai e se per qualche ragione non puoi lavorare, non solo non vieni pagato, ma devi pagare a tua volta. Pagare per lavorare, questo succede oggi. Gli strumenti di lavoro poi, in questo caso il Van per le consegne, te li compri a rate e te li porti ogni giorno da casa, e probabilmente non li possiederai mai. No, non siamo nel secondo dopoguerra di Ladri di biciclette di De Sica, ma forse, questo punta a dirci Loach, oggi è anche peggio, perché non solo è difficile trovare un impiego, ma bisogna essere pronti a tutto, anche a morire, per tenerselo. Nel frattempo, come ci avvertiva Mujica, la vita, quella vera, con gli affetti familiari, scorre via inesorabilmente. Perché è il tempo l’unica cosa che l’uomo davvero possiede e che l’attuale sistema economico spinge a sacrificare sull’altare del consumo.

Procede inizialmente all’insegna di una coralità “familiare” Sorry We Missed You, alternando le giornate di Ricky Turner con quelle della moglie Abbie (Debbie Honeywood), infermiera a domicilio per invalidi. Di quando in quando seguiamo anche la solitudine domestica della figlia più piccola della coppia e le sortite con gli amici graffitari dell’adolescente ribelle Seb (Rhys Stone), assenteista scolastico in predicato per la bocciatura.
Lo script, come al solito ben congegnato da Paul Laverty, alterna inizialmente il dramma a momenti più distensivi e non dimentica di aprire squarci umanistici schietti, talvolta un po’ rudi, talaltra esplicitamente comici, come ad esempio l’alterco calcistico che si sviluppa tra Ricky e un corpulento cliente dell’e-commerce. Quanto invece al personaggio di Abbie, anche qui le varie creature da lei assistite non restano mai solo sullo sfondo, anzi, proprio a una di esse è affidata la breve scena che ben stigmatizza il percorso storico che ha portato all’estinzione del proletariato come comunità in grado di lottare per i propri diritti. Mentre infatti Abbie mostra alla donna una foto dei suoi anni verdi, quando partecipava ai rave con gli amici, l’anziana sfodera un’immagine dei caffè collettivi offerti durante lo sciopero dei minatori del 1984. Si tratta in entrambi i casi di ricordi preziosi, intimi, ma il tipo di “collettività” che vi soggiace è, evidentemente, del tutto differente.

Alacre e instancabile osservatore della realtà che lo circonda, Ken Loach con Sorry We Missed You non si limita a raccontare il presente, ma anche il percorso che lo ha generato e non ci consegna soltanto un film sul lavoro, bensì, in tutta evidenza, contro il lavoro, così come oggi è diventato. Un robot disumano e disumanizzante, utile solo a rigenerare, continuamente, l’imput sintetico del consumo, travestendolo da benessere. E dopo aver visto il film, inevitabilmente, non sarà poi tanto facile né spensierato per lo spettatore fare acquisti on line. Era davvero giunto il momento che qualcuno ce lo facesse notare.

Info
La scheda di Sorry We Missed You sul sito di Cannes.
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