Les hirondelles de Kaboul

Les hirondelles de Kaboul

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Presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2019, il pur volenteroso Les hirondelles de Kaboul di Zabou Breitman e Eléa Gobbé-Mévellec si rivela un’operazione piuttosto prevedibile e superficiale nei contenuti e nelle scelte estetiche. La cartina tornasole è l’animazione, un ripiego produttivo, apprezzabile più nei fotogrammi promozionali che nella resa sullo schermo.

L’insostenibile leggerezza dell’acquerello

Estate 1998, Kabul in rovina è occupata dai talebani. Mohsen e Zunaira sono giovani, si amano profondamente. Nonostante la violenza e la miseria quotidiane, vogliono credere nel futuro. Una mossa insensata di Mohsen sconvolgerà le loro vite… [sinossi]

I buoni propositi non fanno un buon film. Ha più limiti che pregi Les hirondelles de Kaboul di Zabou Breitman e Eléa Gobbé-Mévellec, lungometraggio d’animazione presentato nella sezione Un Certain Regard. Kabul, i talebani, la condizione delle donne e via discorrendo sono il cuore pulsante di una parabola morale che ricorda troppo da vicino operazioni come The Breadwinner di Nora Twomey e il più vivace The Prophet, nobilitato dalla presenza di uno stuolo di talentuosissimi animatori. Lo sguardo sembra sempre lontano, troppo didascalico, schematico anche nelle scelte grafiche e registiche. In live action non sarebbe cambiato di una virgola, e questo non è un punto a favore.

Non giova il confronto con J’ai perdu mon corps di Jérémy Clapin, altro lungometraggio transalpino d’animazione, presentato in questi giorni con travolgente successo alla Semaine de la Critique – in zona Miramar hanno e devono avere più fantasia e coraggio, come con ACID ai tempi de La jeune fille sans mains. Eppure il confronto è inevitabile e ci dice molte cose sui limiti di operazioni come Les hirondelles de Kaboul e i già citati The Breadwinner e The Prophet – lì però c’erano percentuali di talento, di budget e di ambizione decisamente superiori, a partire dalla Twomey e dal magico quartetto Moore, Paley, Gratz & Plympton.
Non siamo poi tanto lontani da Cafarnao, dall’opera necessaria e commovente, da quell’impegno che si rivela però una coperta sempre troppo corta. La parabola dei quattro protagonisti è una semplificazione dell’intreccio di Yasmina Khadra, ma ha soprattutto i riflessi della stantia operetta morale occidentale, quel filtro che tanto ci rassicura, ci mette dalla parte giusta, evita letture più complesse e spinose – spostandoci da Kabul a Teheran, la mente corre allo spessore narrativo ed estetico di Jasmine di Alain Ughetto, opera/diario che si poneva interrogativi, si metteva a nudo.

A prima vista si potrebbero tirare in ballo le scelte grafiche dell’ultimo Takahata (La storia della principessa splendente) o del fidato discepolo Sunao Katabuchi (In questo angolo di mondo), ma le linee e i cromatismi de Les hirondelles de Kaboul hanno ben poca vita, non dialogano mai con gli spazi bianchi, non regalano sussulti grafici. A poche ore dalla proiezione restano impresse solo le panoramiche dalla collina, che scandiscono la narrazione e almeno spezzano la routine della messa in scena. Non c’è magia nell’animazione scelta da Zabou Breitman e orchestrata da Eléa Gobbé-Mévellec (Le chat du rabbin, Lastman), non c’è una vera e propria ragion d’essere.

Alla fine, visto l’afflato morale e politico de Les hirondelles de Kaboul, ci si domanda quale possa essere il pubblico, il destinatario finale. Vengono in mente le scuole, i soliti liceali, i loro professori. È un po’ tutto già scritto, premi e riconoscimenti compresi, per questi film. Eppure l’animazione, quella fertile, è altrove. L’abbiamo trovata in J’ai perdu mon corps, ritrovata ne La leggenda del serpente bianco, speriamo di riempirci nuovamente gli occhi anche con La famosa invasione degli orsi in Sicilia. In ogni caso, un’edizione di Cannes alqaunto generosa con l’animazione. Sappiamo che è un caso. Ci si accontenta.

Info
La scheda de Les hirondelles de Kaboul sul sito del Festival di Cannes 2019.
Il trailer de Les hirondelles de Kaboul.
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