Gloria Mundi

Gloria Mundi

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Gloria Mundi è l’ennesima incursione di Robert Guédiguian tra i proletari marsigliesi. Una presa di posizione coerente con la sua poetica e stimabile; peccato, in questo caso, che per cercare di annodare tutti i fili della narrazione il regista transalpino finisca per dare vita a un film a tratti un po’ asfittico. In concorso alla Mostra di Venezia.

In prigione, nel mondo

Marsiglia, una famiglia festeggia la nascita della piccola Gloria. Nonostante la gioia del momento, i tempi sono duri: i genitori della bambina sono lavoratori precari, i nonni cercano di dare una mano ma non sempre ne sono in grado, la sorellastra della neomamma Mathilda è invidiosa ed egoista. In un contesto già fragile, il vero padre di Mathilda esce dal carcere dopo più di 20 anni e desidera conoscere la nipotina… [sinossi]

Difficile non provare sincera simpatia per Robert Guédiguian, regista che da oltre 20 anni racconta le esistenze fragili di persone ordinarie – ben lontane dai bourgeois parigini e dai problemi della classe dominante in primo piano in tanto cinema francese – interpretate molto spesso da un clan di attori fedeli e bravissimi (come la coppia Jean-Pierre Daroussin e Ariane Ascaride). Ambientando la maggior parte dei propri film nella natia Marsiglia, Guédiguian sposta anche fisicamente lo sguardo dalla grandeur pretenziosa della capitale a una città portuale e proletaria, sempre animato dalle migliori intenzioni politiche e umanistiche. Anche Gloria Mundi è girato a Marsiglia ed è incentrato su di una famiglia umile, composta da lavoratori distanti dall’essere professionisti e incarnati dai volti noti del cinema del regista. Un artigiano del racconto, non sempre ugualmente ispirato ma sicuramente mosso da una indubitabile volontà politica.

Il film esordisce simbolicamente con la nascita di una bambina, Gloria, che i genitori Mathilda (un’altra habituè di Guédiguian, Anaïs Demoustier) e Nicolas (Robinson Stévenin) hanno chiamato così ispirati da un film. Se quello con la Rowlands o il remake con la Stone, però, non è dato sapere. L’annotazione appare forse oziosa, ma il divario generazionale nella visione del mondo che corre tra Mathilda (e la sorellastra Aurore) e i genitori è uno dei punti fondamentali di un film in cui quelli prossimi alla pensione, con tutte le loro debolezze (si veda la questione dello sciopero), possiedono ancora dignità, spirito di sacrificio, senso della gratitudine, sincero amore. Tutte cose evaporate nella generazione dei (più o meno) trentenni, ossia Mathilda e Aurore (la giunonica Lola Naymark) con i loro partner, che non hanno avuti grandi possibilità di studio e riscatto proprio come i loro parenti prossimi ma sono pure privi di scrupoli, amorali, disinteressati agli altri e tutto sommato crudeli. Dopo la nascita della piccola Gloria – una sorta di feticcio cui viene consegnata la speranza di una migliore prosecuzione della specie – il vero padre di Mathilda esce di prigione dopo più di 20 e va a conoscere la nipotina: Daniel (Gérard Meylan), nonostante la galera stoicamente accettata per aver difeso un amico, è saggio e dolce come se la lontananza da un mondo che peggiora costantemente lo avesse preservato. Daniel scrive haiku, possiede il nostalgico romanticismo dei sopravvissuti e degli affamati di vita, e a lui sono consacrate le scene più sentimentali ed empatiche del film (in cui rincara la dose lo struggimento delle musiche di Ravel) A distanza di tanti anni, Daniel ritroverà una famiglia e una figlia pronti a sconcertarlo, forse deluderlo, sicuramente rattristarlo. Ma per cui sarà disposto a dare tutto.

Gloria Mundi, a differenza de La casa sul mare ovvero il penultimo film di Guédiguian, è programmatico e costretto dalla sua programmaticità. Non mancano affatto momenti riusciti fin dall’incipit, quando appena dopo la nascita – sacralmente mostrata – la famiglia sembra unita e felice ma pochi minuti dopo uno dei personaggi ci sorprende festeggiando a cocaina. Non mancano affatto i personaggi ben disegnati: lo sono tutti gli “adulti”, cioè i sessantenni, lo sono le loro relazioni e lo è anche Mathilda, mammina assai poco stereotipata. A maggior ragione Gloria Mundi si mortifica da solo prendendo le complesse relazioni che riesce a costruire e schiacciandole in una strettoia soffocante, in una svolta banalizzante. Dovendo mostrare il declino inesorabile dei tempi, gli intrecci devono necessariamente prendere la peggiore delle strade. I “giovani” (ossia la generazione dei figli) sono infatti orrendi, cattivi e pensano solo ai soldi: il mondo si abbruttisce di giorno in giorno diventando sempre più triste, dimentico delle parole date e degli impegni presi. Il film è, in sostanza, il racconto del fallimento totale della società. Ma questa eccessiva quadratura del cerchio non funziona come risoluzione drammaturgica: il riferimento al precedente La casa sul mare sta proprio a indicare che il regista è perfettamente ancora in grado di esprimere il proprio pensiero chiaramente e senza realizzare lavori a tesi, lasciando aperti varchi e mettendo in scena persone dotate di chiaro-scuri. In Gloria Mundi le sfumature sono poche e il senso di artificiosità prevale: il messaggio metaforico, raggelante, è una condanna infernale a un mondo che non sa riscattarsi. Oltretutto, in un film come sempre girato con semplicità e grazia, si fanno notare un orribile fermo immagine con tanto di sguardo in macchina e un ancor più terrificante rallenti in una delle ultime scene: due scelte non necessarie ma in compenso molto retoriche. Se è impossibile non provare simpatia per Robert Guédiguian, perché al centro del suo cinema fieramente anti-cool c’è un pensiero sacrosanto e militante (in conferenza stampa a Venezia ha ancora una volta citato Antonio Gramsci), non sempre il suo lavoro è all’altezza dell’ottimismo della volontà. In questo caso la necessità di annodare ermeticamente i fili e di non lasciare margini ai dubbi fanno di Gloria Mundi un film un po’ asfittico e forzato.

Info
Gloria Mundi sul sito della Biennale.

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