Ragazza tutta nuda assassinata nel parco

Ragazza tutta nuda assassinata nel parco

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Tra alti e bassissimi, Ragazza tutta nuda assassinata nel parco di Alfonso Brescia assembla tratti caratteristici del coevo e pregresso giallo italiano senza trascurare reminiscenze da modelli internazionali. Curioso e interessante più che memorabile, conta un buon soggetto e qualche sprazzo visionario. In dvd per Cinekult e CG.

Il ricco Johannes Wanterburger viene trovato morto su un carrello del tunnel degli orrori al luna park di Madrid. Subito sua figlia Catherine è perseguitata da telefonate anonime eseguite da una misteriosa voce soffiata, mentre una compagnia d’assicurazioni è interessata a fare luce sulla morte di Johannes poiché l’uomo aveva stipulato un’ingente assicurazione sulla vita il giorno stesso della sua morte. Sospettando dei familiari dell’uomo, la compagnia incarica il giovane Chris di avvicinare Catherine e di indagare tra i suoi congiunti. Chris e Catherine s’innamorano, mentre gli omicidi si ripetono e inizia a indagare anche l’ispettore Huber. Il movente sembra aver a che fare con un lontano trauma brutale che ha avuto luogo durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale… [sinossi]

Nel cinema di genere italiano ci sono parenti ricchi, medi, poveri e alcuni poverissimi. Appartiene probabilmente a una categoria intermedia tra poveri e poverissimi Ragazza tutta nuda assassinata nel parco (1972) di Alfonso Brescia, riproposto adesso in dvd per Cinekult e CG. Tale catalogazione non è dovuta alla certezza dei numeri del budget (non li conosciamo, e non siamo ovviamente in grado di stilare una graduatoria assoluta tra film meglio o peggio finanziati), bensì all’evidenza del risultato e della confezione. Coproduzione italo-spagnola che conseguentemente vede tra i protagonisti anche volti iberici, il film di Brescia non brilla certo per il cast d’attori, dove accanto al bello d’epoca Robert Hoffmann si collocano sì Adolfo Celi e Philippe Leroy, ma in ruoli decisamente defilati – entrambi sembrano passare di lì per caso. Specie Leroy appare piuttosto spaesato ed è confinato quasi in un’unica location, mentre Celi ha un ruolo di maggior peso ma compare in scena a metà inoltrata del racconto ed è assurdamente doppiato dalla voce di qualcun altro.

Non è soltanto il comparto attoriale, e l’evidente modestia dei giovani attori principali, a dare la misura della povertà dell’operazione: le location trovate a Madrid sono piuttosto ridotte, gli snodi narrativi da intrigo giallo sono pochissimi, i veri colpi al cuore praticamente assenti, e lo svolgimento del racconto è scolastico se non addirittura elementare. In più, è ben risaputo certo che la titolistica dei gialli italiani puntava all’effetto, al sensazionalismo e/o allo scandalistico senza troppe preoccupazioni di cedere alla pretestuosità, ma nel caso del film di Brescia tale meccanismo merceologico è ancora più scoperto e spudorato. La ragazza tutta nuda assassinata nel parco appare al minuto 53 dei 92 totali, è soltanto una delle vittime e non rappresenta assolutamente l’innesco narrativo né l’elemento principale del racconto o dell’indagine. Il titolo richiama con ogni evidenza la modalità dei giornali scandalistici che al tempo incontrava i favori del pubblico in vena di emozioni forti tra brividi di paura ed erotismo (tra i titoli di film italiani che adottarono tale metodo, ricordiamo uno dei migliori, I corpi presentano tracce di violenza carnale, 1973, Sergio Martino).

A dire il vero, in Ragazza tutta nuda assassinata nel parco tale scollamento tra titolo ed effettiva sostanza narrativa è dovuto anche alla storia produttiva del film. Come racconta negli extra del dvd Gianni Martucci, sceneggiatore e aiuto regista del film, il progetto originario aveva il titolo di Prater Shock, doveva svolgersi nello storico parco giochi del Prater di Vienna e i legami con l’antefatto traumatico (che ha a che fare con le violenze della Seconda Guerra Mondiale) dovevano essere più forti, e soprattutto più vicini nel tempo ai fatti storici evocati. Poi passò qualche anno prima della realizzazione del film, e per la sua veste definitiva vennero effettuate molte modifiche, spostando l’asse verso lo scandalistico e l’erotismo secondo i gusti commerciali del tempo. Andò incontro a mutamento anche l’ambientazione del film: non più Vienna ma Madrid, per ragioni di coproduzione, benché gran parte dei personaggi conservi curiosamente nomi e cognomi germanici. In tal senso è probabile che sia stato appiccicato alla bell’e meglio anche il titolo definitivo, in linea con gli annunci a effetto di riviste come “Cronaca Vera”. E altrettanto pretestuoso appare l’innesto dell’elemento erotico, che almeno nel caso dello stalliere muto (ma selvaggio seduttore) si affida a una posticcia aggiunta narrativa tanto per fare peso e volume, evocando oltretutto in una versione a buon mercato scenari pregressi da “L’amante di Lady Chatterley” di D.H. Lawrence dove lo stalliere tiene luogo del guardiacaccia.

Fare peso e volume sembra in realtà la funzione di tutto il coté erotico, che disinvoltamente accenna ad aperti triangoli tra le due sorelle protagoniste e il baldo Robert Hoffmann, il quale poi finisce pure nelle mire della maliarda madre di famiglia. Vi è però almeno un punto a favore del film riguardo all’uso dell’erotismo. Se l’esposizione soft di atti erotici e corpi nudi è evidentemente mirata al piacere del pubblico, sul piano narrativo è ricorrente un opposto sentimento sessuofobico e repressivo, che sembra voler alludere a una realtà di turbe sottaciute in quell’oscura famiglia a poco a poco segregata nella magione. Si mostra un tenue erotismo, ma lo si nega, secondo un produttivo movimento schizoide.

Se una delle caratteristiche più ricorrenti del cinema di genere è l’alternarsi di cose buone a cadute rovinose, la povertà del film di Brescia amplifica ulteriormente tale divario, lasciando ampio spazio a una sezione centrale stanchissima e spesso pretestuosa. L’ampiezza del divario tra alti e bassissimi è tale da assumere tratti quasi drammatici se rapportata all’incipit del film. Specie nei gialli di casa nostra “di seconda fascia”, ricoprono infatti un ruolo fondamentale l’esordio e la conclusione del film; l’esordio deve catturare, incuriosire e turbare lo spettatore, mentre la conclusione deve dare il brivido finale prima di andare a casa. Brescia rispetta tale canone, e anzi mette in stretta relazione l’inizio con la fine secondo una struttura beffardamente circolare – il cadavere che all’inizio esce dal tunnel degli orrori fa il paio con la salma dell’assassino, a sua volta portato fuori dal tunnel del luna park su un carrellino meccanico nello scioglimento del racconto.

Ma l’ottimo esordio di Ragazza tutta nuda assassinata nel parco è ulteriormente arricchito e corroborato dal trauma di guerra, che in un interessante bianco e nero alterna immagini di repertorio di bombardamenti bellici alla vera e propria introduzione al racconto, in cui un nazista fa esplodere in una villa una donna e suo figlio tenuti prigionieri. Il tòpos del trauma iniziale da cui far srotolare un giallo più o meno psicopatologico è dunque perfettamente rispettato, e tramite una messinscena fortemente suggestiva. È innegabile infatti l’efficacia dell’incipit, che trae intensa suggestione dal bianco e nero e dall’impiego espressivo dei rumori di guerra. A operare da intelligente grimaldello per l’interesse spettatoriale è anche l’originale coinvolgimento della Storia, non di frequentissimo utilizzo tra le disparate motivazioni omicide che si sono alternate nell’ampio catalogo del giallo italiano anni Sessanta e Settanta.

Nel corpo centrale del racconto, però, Brescia sembra accontentarsi dell’incipit e del finale, e apre così a un racconto dai toni pressoché catatonici, che solo di rado si accende di sorprese e visionarietà. Vi è semmai da registrare una sorta di transizione (o mescolanza) tra istanze da giallo italiano fine anni Sessanta e inizio anni Settanta, poiché Brescia assembla due elementi decisivi uno a fianco dell’altro: il giallo che ruota intorno a denaro, eredità e intrighi familiari, proveniente dalla classicità degli intrecci italiani fine Sessanta, e la psicopatologia, più prettamente Seventies. Il racconto di Brescia si muove tra questi due poli, lasciando aperte le due possibili soluzioni fino alla fine.

Timidamente e goffamente il regista evoca di passaggio anche un altro filone molto diffuso nel giallo italiano, quello del sogno che si mescola alla realtà senza confini netti – nell’aggressione in casa subita da Catherine poco dopo l’avvio, la ragazza si risveglia la mattina dopo incapace di stabilire se il tentativo d’aggressione è realmente avvenuto o se ha soltanto sognato. Quella di Brescia è una rilettura semplicistica, didascalica, tutta dichiarata, che “racconta” l’ambiguità piuttosto che evocarla o suggerirla tramite gli specifici mezzi espressivi del cinema. In tal senso Ragazza tutta nuda assassinata nel parco si delinea come una globale semplificazione di canoni narrativi tutti desunti da altre fonti più o meno nobili. È evidente infatti la costante influenza di I diabolici (1955) di Henri-Georges Clouzot, riconosciuto in altre occasioni da Sergio Martino come fonte di infinita suggestione e solido riferimento di molto giallo italiano. In Ragazza tutta nuda assassinata nel parco i debiti verso il famoso film di Clouzot sono numerosi e ben evidenti: anche Brescia mette al centro del racconto una cardiopatica, lascia nell’ambiguità l’esito dell’omicidio iniziale facendo riapparire una misteriosa figura che cammina nell’ombra (Johannes è davvero morto? C’è in giro un fantasma? O è soltanto l’assassino?), e rimette poi in scena un prefinale di spavento a morte per ritorno dall’oltretomba che ricorda moltissimo lo scioglimento di I diabolici, dove in luogo dell’infarto di Christina interviene una balaustra difettosa a far precipitare la vittima giù dal balcone (non più la cardiopatica Catherine, bensì sua madre).

Lo svolgimento di quella sequenza ricorda davvero molto da vicino la modalità clouzotiana, affidata alla medesima idea di simulato ritorno dalla morte come duplicazione metafilmica. Se la vittima dello spavento a morte non è più la cardiopatica Catherine, d’altra parte l’infarto è traslato da Brescia poco più avanti nel racconto, quando la ragazza cade spaventata tra le braccia dell’assassino, secondo un meccanismo di scomposizione della fonte piuttosto frequente nelle eredità cinematografiche. L’ottima sequenza in prefinale fa il paio con l’effettivo scioglimento al luna park, decisamente suggestivo se rapportato ai mezzi a disposizione di Brescia, ed evidentemente debitore nei confronti di Alfred Hitchcock. Spesso ci troviamo di fronte insomma ad apprezzabili sequenze visionarie che s’impennano in una generale monotonia narrativa, dove la fa da padrona una sceneggiatura decisamente (e inutilmente) verbosa. Alla stessa visionarietà appartiene un’avvincente sequenza alla villa, quando l’assassino si muove in casa nel buio uccidendo i due camerieri. A esempio della scaltrezza di Brescia alla macchina da presa, basti pensare alla take di discreta lunghezza in cui Chris si trova al centro di una ripetuta alternanza di soggettive e semisoggettive in continuità attraverso l’uso di rapide panoramiche a schiaffo. L’effetto è di identificazione, paura e smarrimento, ed è ben coadiuvato da un tetro ed elegante commento musicale a opera di Carlo Savina; poi certo la logica narrativa va a farsi benedire, ma nel giallo italiano ciò accade con una buona percentuale.

Nel giudizio inevitabilmente multiforme che scaturisce dalla visione di un film dai così evidenti sbalzi di qualità ed efficacia, vi è posto però anche per l’ammirazione verso qualche soluzione davvero felice, che fa pensare a cosa sarebbe potuto essere lo stesso soggetto se realizzato in un contesto più favorevole. Resta infatti memorabile, nella sequenza della persecuzione in casa a opera del finto morto Johannes, quella porta che dalla fotografia a colori si apre sul bianco e nero del ricordo. Riallacciandosi alla sequenza iniziale del trauma originario, Brescia opera una collisione tra due piani narrativi restituita tramite un’elegante soluzione sinottica di opposte opzioni fotografiche. Il colore che spalanca la porta sul bianco e nero colpisce e rimane, indubbiamente; è una soluzione nobile, suggestiva e addirittura raffinata.

Alfonso Brescia, spesso accreditato come Al Bradley, è ben definito da Gianni Martucci “regista di battaglia”. Filmografia chilometrica ed esclusivamente di cinema di genere, ha affrontato tutte le declinazioni della produzione commerciale concludendo poi la carriera nel fedele sodalizio con Mario Merola e Nino D’Angelo per i film-sceneggiata. In Ragazza tutta nuda assassinata nel parco non dimostra forse particolare propensione per il giallo e il thrilling, ma il film lascia comunque la netta sensazione di un buon soggetto che poteva dare luogo a un’opera ben più convincente se fosse stata meno preoccupata di andare incontro alle più diverse istanze del pubblico. Qua e là la bontà del soggetto conduce probabilmente a conseguenti buone scelte formali; il leit-motiv del luna park è in tal senso molto efficace ed è facile intravedere in esso una traccia residuale del soggetto originario che a detta di Martucci dedicava molto più spazio al parco delle attrazioni. È certo tutto cinema di riporto, che alterna saccheggi interni (il coevo e appena pregresso cinema italiano di successo) e saccheggi esterni (Hitchcock, Clouzot). Eppure, anche a fronte di intere sezioni narrative dominate dalla noia, resta al fondo un’invincibile fisionomia di cinema del piacere che riguarda tutto il giallo italiano d’epoca. Piacere a intermittenza, come talvolta accade con alcune opere sconnesse e squilibrate. Ma comunque piacere.

Extra:
trailer originale, “Prater Shock” (31′ 09”) – intervista a Gianni Martucci, soggettista, sceneggiatore e aiuto regista del film a cura di Manlio Gomarasca e Davide Pulici.
Info
La scheda di Ragazza tutta nuda assassinata nel parco sul sito di CG Entertainment.

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