Cetto c’è, senzadubbiamente

Cetto c’è, senzadubbiamente

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Cetto c’è, senzadubbiamente porta per la terza volta al cinema il personaggio di Cetto La Qualunque, interpretato da Antonio Albanese. Proprio la presenza in scena del comico è l’unico valore reale di una commedia stanca, sempre più prevedibile, che vorrebbe farsi moralizzatrice – con sarcasmo – di vizi pubblici e privati del popolo italiano ma non sa andare molto più in là di una farsa giocata solo sui luoghi comuni.

L’inconsistenza reale

A dieci anni dalla sua elezione a sindaco di Marina di Sopra di Cetto la Qualunque si erano perse le tracce. Scopriamo che vive in Germania e, messa da parte ogni ambizione politica, Cetto la Qualunque oggi per i tedeschi è soltanto un irresistibile e pittoresco imprenditore di successo, che considera la Germania una terra di conquiste e la mafia un marchio di qualità. La sua catena di ristoranti e pizzerie infatti spopola; ha una bella compagna tedesca e due suoceri neonazisti che lo guardano con la simpatia riservata ai migranti. Il richiamo della sua terra tuttavia resta forte e la notizia dell’aggravarsi delle condizioni dell’amata zia che lo hacresciuto, lo induce a tornare sul luogo del delitto e del diletto. In Italia la zia gli rivelerà qualcosa sul suo passato, e sui suoi natali, che cambieranno per sempre il corso della sua vita e, purtroppamente, anche quelli di tuttinoi. Cetto torna al comando e questa volta le conseguenze possono essere imponderabili. [sinossi]

È stato sindaco criminale (ruolo ricoperto con un certo orgoglio), è diventato deputato. Ora che è immigrato in terra teutonica Cetto La Qualunque può perfino scoprire di avere ascendenti nobili, riportando dunque in auge addirittura la monarchia. Assoluta, non è neanche il caso di sottolinearlo. Per una serie di ironiche coincidenze Cetto c’è, senzadubbiamente raggiunge le sale italiane – dove può probabilmente contare su un buon successo di pubblico – proprio nei giorni in cui rimbalza sui social network la delirante e demente dichiarazione di Emanuele Filiberto di Savoia che prima ha pubblicato un video – preso sonoramente in giro sulla rete – e quindi ha affermato che in caso di sua presenza alle elezioni potrebbe issarsi senza problemi oltre il 20% dei consensi. Se si esclude la differenza di tono e di dizione, tra le espressioni dell’erede della famiglia reale che venne con doverosa ignominia cacciata dall’Italia repubblicana e quelle di Cetto non si avverte poi un grande scarto di senso. In questo raffronto si può già evincere in qualche modo uno degli aspetti meno convincenti di questa nuova sortita cinematografica del personaggio creato da Antonio Albanese. Se all’epoca di Qualunquemente questo squallido figuro privo di vergogna, di cultura e di qualsiasi altro requisito strettamente umano sembrava cogliere con una certa acutezza il degrado imperante nel sistema italiano, oggi le sue corbellerie appaiono appannate, stanche, quasi aderenti a un tessuto sociale e politico completamente sbrindellato. Sovrapposte, non più grottesche deformazioni del reale. Si potrebbe argomentare che se ciò è avvenuto la “colpa” è da attribuire proprio al progressivo scivolamento della composizione sociale, ma sarebbe una lettura rischiosamente partigiana. Anche ciò fosse vero, infatti, non è in ogni caso compito dell’artista – del capocomico, nel caso in questione – quella di non abbassare mai la soglia dell’attenzione, continuando a essere percettivo e a cogliere le eventuali modifiche in atto nella società?

Sono trascorsi otto anni dai fasti comici di Qualunquemente, ma nel mondo di Cetto La Qualunque sembra che il tempo si sia raggelato: certo, qui si prende di mira un popolo che sarebbe pronto anche a rispolverare il vassallaggio solo per poter godere della guida di un supposto “uomo forte”, ma è un dettaglio che esaurisce la propria efficacia nei primissimi minuti del film. La realtà è che la maschera di Albanese riesce a reggere oramai solo per la bravura dell’interprete, ma ha completamente perso di vista la realtà. In questo modo a essere preso per i fondelli è un Paese inesistente, ben diverso da quello che si pretende di mettere in scena. A questo problema si aggiunge una sceneggiatura priva di mordente, che una volta di più esaurisce il proprio senso proprio nel momento in cui il film dovrebbe operare lo scarto definitivo ed entrare nel vivo: vale a dire quando Cetto La Qualunque scopre di essere l’erede di un principe calabrese e decide di approfittare della situazione, rispolverando un animo monarchico che non aveva mai avuto. Da lì in poi Cetto c’è, senzadubbiamente si limiterà a una sequela di giochi – di parole e di situazioni – sulla classe aristocratica da un lato, e sull’invidia della detta classe da parte di chi non vi può accedere dall’altro. Un po’ poco, oggettivamente.
Ma a venire meno, nel complesso, è l’idea stessa di narrazione. Manfredonia, che conferma una volta di più tutti i limiti della propria regia (il film paga la mancanza di uno sguardo, limitandosi Manfredonia a una semplice illustrazione di ciò che deve accadere), non può neanche fare affidamento su una scrittura divertente. Le battute sono sempre le stesse e non colgono il bersaglio, i personaggi di contorno attorno al protagonista mancano di senso e profondità. Farsa che non osa mai più del necessario e che non accetta neanche una possibile seconda via “agrodolce” Cetto c’è, senzadubbiamente è un film inerte, aggrappato solo a un attore carismatico. Un’opera vacua, così inconsistente da cadere nel bieco qualunquismo che da sempre il personaggio vorrebbe e dovrebbe mettere alla berlina. Un respiro così affaticato avrebbe forse giovato di un altro medium espressivo, meno esigente e strutturato del cinema.

Info
Il trailer di Cetto c’è, senzadubbiamente.

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