San Babila ore 20: un delitto inutile

San Babila ore 20: un delitto inutile

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Film a tesi e film di suspense, San Babila ore 20: un delitto inutile di Carlo Lizzani conduce un chiaro discorso socio-politico sul neofascismo anni Settanta secondo una propria lettura riveduta e corretta di neorealismo, avvalendosi di attori semi-professionisti o non professionisti. Spesso crudo e violento, quasi mai sensazionalistico. Disponibile su Film&Clips.

Il dato bruto e il racconto

Milano. Quattro ragazzi di radicata fede fascista partecipano al funerale di un camerata, e poi passano la giornata tra una provocazione e l’altra nei dintorni di piazza San Babila. Fabrizio è il leader naturale del gruppetto, ma al contempo collabora di nascosto con la polizia concedendosi a qualche spiata in cambio di denaro. Franco, il più fragile e intimamente dubbioso, ha un rapporto conflittuale con la madre ed è spinto dagli amici a mettersi alla prova con missioni sempre più rischiose. Michele deve sopportare una situazione familiare ai limiti della psicopatia, col padre anziano cattolico fanatico e la madre bellona che ammette candidamente di essersi sposata solo per i soldi. Alfredo, infine, è l’unico immigrato dal Sud, è già sposato con figli dopo aver fatto la “fuitina” e lavora in un negozio, sembra il più responsabile del gruppo ma è anche uno dei più violenti e fedeli al credo politico. Ai quattro si aggrega Lalla, una ragazza svampita, violentata da Franco e malmenata da Fabrizio… [sinossi]
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Regista dal taglio frequentemente secco e asciutto, Carlo Lizzani conferma questa sua predilezione estetica anche in San Babila ore 20: un delitto inutile (1976), che viene a costituire in qualche modo un dittico milanese con il precedente Storie di vita e malavita (1975), entrambi caratterizzati dal ricorso ad attori semi-professionisti o non professionisti. Lizzani sceglie di stare stretto sulla cronaca del tempo, e se nel film precedente guarda al traffico della prostituzione minorile, in San Babila ore 20 si concentra sul fenomeno del neofascismo milanese, prendendo spunto dalla cronaca più immediata, qui in particolare dall’omicidio Brasili che vide vittima un simpatizzante di sinistra, colpito a morte davanti alla sede dell’ANPI nei dintorni di piazza San Babila. Com’è noto, in Italia sono gli anni di un conflitto socio-politico condotto fino alle più estreme conseguenze, e di un cinema che non può ignorare quanto sta accadendo.

Il cinema politico trova nel nostro paese una pluralità di letture; quella del Lizzani di San Babila ore 20 sembra una delle più spoglie, aspre, legata a doppio filo al dato della cronaca che malgrado le apparenze va incontro a una robusta drammatizzazione, ma rifacendosi a pratiche da neorealismo che ne riconfermano la sensazione di “verosimiglianza qualificata” rispetto alle consuete pratiche del racconto finzionale. Come per alcuni capolavori del neorealismo, infatti, Lizzani non sceglie attori, bensì opta per volti, corpi e aspetti fisici, pescando tra protagonisti improvvisati o semi-improvvisati di età assai giovane. A dispetto però di un’idea più radicale di realismo, la perfetta dizione e recitazione è qui garantita dal doppiaggio (in questo non era rigorosissimo nemmeno il neorealismo tradizionale), mediante il quale professionisti di lungo corso combinano la propria voce di studio all’aderenza fisica dei ragazzi ai propri ruoli. In sostanza, il realismo da inchiesta si incrocia con le consolidate pratiche di un cinema dalle buone risorse produttive, concepito per un ampio contatto col pubblico, e in qualche modo, pure in un contesto di deciso rifiuto della compiaciuta spettacolarizzazione, costruito intorno a un racconto avvincente, fitto di peripezie e brani di suspense. La rielaborazione finzionale sul materiale narrativo è dunque intensa e robusta, ben lontana da qualsiasi approccio da puro cinéma-vérité. Anzi, non si rinuncia nemmeno a qualche tenue sfumatura di romanzesco – vedi la sequela di contrattempi che impediscono la fuga, in prefinale, alle due vittime designate, e che sembrano riaggiornare il cinema d’inchiesta ai più o meno coevi esempi di giallo italiano e metropolitano.

Lizzani sceglie innanzitutto di indagare solo parzialmente ragioni e motivazioni del rigurgito di fascismo giovanile che infettava quegli anni. E anzi, a dire il vero dove l’autore tenta scopertamente qualche affondo socio-psicologico, va incontro anche a soluzioni rozze e sbrigative. Ne sono prova i contesti familiari che Lizzani e i suoi sceneggiatori (Ugo Pirro, Mino Giarda) costruiscono intorno ai suoi ragazzi protagonisti. Se il rapporto tra Franco e sua madre traballa già pericolosamente sul crinale dello stereotipo eccessivo, il film raccoglie poi una sequela di vere e proprie stecche nelle figure dei genitori di Michele, in particolare nel ritratto del padre, un grottesco e incredibile cattolico fanatico oltre il limite della patologia psicotica. In tutto il comparto familiare Lizzani distribuisce in sostanza una buona dose di luoghi comuni che sembrano ricavati da coevi rotocalchi. Genitori benestanti, gelo affettivo venato da episodi di malata violenza, figli che crescono come psicotici in erba con annessa qualche tara comportamentale – la vaga impotenza sessuale di Franco, compensata dal ragazzo, nella sequenza più cruda del film, dall’uso del manganello come sostituto del fallo durante un rapporto erotico.

Nei tratti forti delle secondarie figure genitoriali, così come nella citata sequenza dello stupro, San Babila ore 20 riduce fortemente la distanza, fino a rivelarne l’insussistenza, tra cinema di genere e cinema d’impegno civile cosiddetto “autoriale”. La sequenza dello stupro conserva il pregio del passo lento e allungato, che permette a Lizzani di mantenere la situazione narrativa su un piano di piatta e consueta quotidianità, venata pure di qualche accento umoristico. Per giungere poi, a poco a poco, all’esplosione della violenza, dove lo sguardo di Lizzani sembra avvicinarsi invece a quello di un Fernando Di Leo. È inevitabile addurre qualche sospetto di sensazionalismo, ma è altrettanto vero che il momento della violenza è incorniciato da una sapiente crescita narrativa (squallida l’ambientazione nel magazzino, angosciante la lotta infinita dei due ragazzi con gli scatoloni di cartone) e da un’uscita straniante, ossia la reazione della ragazza, che riassorbe il violento atto sessuale senza alcuna scossa.

Altrove, Lizzani mette la sordina a luoghi comuni di facile populismo, enunciandoli e aderendo a essi, ma sempre en passant, sempre depotenziandoli in un flusso narrativo dalle maglie larghe. Anche San Babila ore 20 non si risparmia, ad esempio, l’attacco più che giustificato alle connivenze tra estrema destra e una parte delle forze dell’ordine, ma lo diluisce in un quieto rapporto quotidiano, fondato su un reciproco “do ut des”. Anzi, per tratti Lizzani ne problematizza il fondamento, tentando una riflessione che vada oltre il dato superficiale garantito dal luogo comune stesso. Vi è una battuta in tal senso molto significativa (audace e sgradevolissima, letteralmente inaccettabile in un film realizzato ai giorni nostri) sulla morte dell’anarchico Pinelli. “Una volta dalle finestre volavano i sovversivi. Adesso volano solo cazzi di gomma” dice Michele lasciando la questura, e accusando le forze dell’ordine di essere diventate troppo morbide e noncuranti nei confronti degli avversari di sinistra.

È ben rilevabile, infine, una sapiente costruzione drammaturgica che piazza pochi momenti forti ed enfatici dopo un grande lavoro di preparazione narrativa dispiegato su tempi lunghi. Si pensi alla manifestazione improvvisata dai “sanbabilini” dove, abbracciati uno all’altro, si esibiscono in gruppo in una terrificante coreografia del passo dell’oca. È anche una delle rare sequenze dove assume un preciso ruolo espressivo il commento musicale extradiegetico di Ennio Morricone, relegato a pochissimi interventi a tutto vantaggio di un sapiente tappeto di rumori d’ambiente.

Seguendo dunque una partitura espressiva che alterna lunghi pianissimi e rari, intensi fortissimi, Lizzani confina per fortuna a poche parentesi le varie e stonate cornici familiari, mentre stringe tutto il racconto in un’unica giornata scandita per capitoli separati. Sulle prime San Babila ore 20 esordisce con una lunga introduzione al racconto che pedina i suoi protagonisti in una folla di figure. Dal funerale del camerata, i quattro ragazzi si disperdono in una folla indistinta al caffè di piazza San Babila, loro punto di riferimento, e si rendono protagonisti di una serie di provocazioni che si dispiegano sotto forma di racconto paratattico. Solo in un secondo momento si individuano più nettamente i profili dei quattro protagonisti, ritagliati fuori da una massa collettiva, e a ciò concorre in modo decisivo il ricorso ad attori sconosciuti, che impediscono l’immediato riconoscimento del protagonista. Il modo narrativo adottato da Lizzani è sostanzialmente fondato sul fatto, sull’oggetto evenemenziale in sé, al quale si affida il compito di assumere parola e posizionamento etico-politico tramite il puro e semplice racconto di se stesso. Ciò comporta precise ricadute estetiche, funzionali a un racconto che progressivamente riduce l’uso dei dialoghi e che si stringe in un secco e frammentatissimo montaggio mirato a narrare movimenti e ripensamenti, azioni e reazioni, avvicinamenti e allontanamenti.

Si tratta di un progressivo prosciugamento estetico che trova un suo primo compimento nella sequenza del fallito attentato alla sede della CGIL, sequenza magistrale per il suo incastro a mosaico tra le incertezze di Franco e i suoi movimenti impacciati in un ambiente popolato di numerose figure. L’apice di un tale metodo espressivo è ovviamente da rintracciarsi nella splendida sequenza del delitto, che occupa tutto il prefinale allungando a dismisura i tempi di suspense e risoluzione. Trionfo del fatto, dell’oggetto evenemenziale, frammentato in una rete di titubanze, incertezze, movimenti altrui che provocano conseguenti movimenti in altri. Un gioco a incastri su una scacchiera, dove il montaggio svolge un ruolo fondamentale e dove i rumori d’ambiente hanno la meglio sulla presenza discreta dei dialoghi. È qui, come già detto, che sembra anche di avvertire una qualche filiazione dal giallo italiano anni Settanta, specialmente nell’enfatica insistenza di filtri di vetro che si frappongono tra le figure umane e la macchina da presa. Spinge in questa direzione anche l’ambientazione urbana, che alterna i grigi diurni ai bluastri notturni, affidati alla bella fotografia di Piergiorgio Pozzi, intenta a ricavare effetti suggestivi dalle illuminazioni al neon di portici e vetrine.

Vi è infine un’ultima sequenza decisamente problematica. Prendendo di mira un sexy shop, i quattro fascistelli acquistano una manciata di falli di gomma e si mettono a provocare i passanti. Uno dei ragazzi si mette più volte il fallo anche sul naso, e subito viene in mente Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971), che del resto condivide più di una suggestione, almeno nella sua prima parte, col film di Lizzani. La sequenza è girata con la parvenza di una candid camera, visto che le reazioni dei passanti sembrano dettate da effettivo sconcerto, forse catturato “dal vero” senza alcuna preordinazione. È assai problematico, tuttavia, l’atteggiamento tenuto nei confronti dei ragazzi. Il commento musicale di Morricone interviene con tono quasi divertito, e per un attimo si rischia di dimenticare che i quattro sono dei violenti fascisti, ricondotti alla dimensione giocosamente funerea dei protagonisti di Amici miei (Mario Monicelli, 1975) in età più giovane e strafottente. In realtà, la provocazione messa in atto dai quattro protagonisti si muove da premesse sbagliate per finalità anche comprensibili. Per loro l’esibizione del sesso tramite un preciso luogo di commercio è inaccettabile per ragioni radicalmente moralistiche e reazionarie, ma al contempo il loro gesto mette in evidenza la contraddizione ipocrita di una società che coltiva il neofascismo, che se lo coccola nei suoi giovani, che rimuove il sesso dalla vita pubblica con atto di perbenistica repressione, ma che al contempo, di fronte alla sua fruttificazione in ottica di profitto, ne permette la mercificazione sotto gli occhi di tutti. Basta che non si sappia in giro. Il loro gesto è una sfida più o meno consapevole a una paradossale ipocrisia. Mentre le autorità (e la maggioranza silenziosa) chiudono un occhio sui loro pestaggi con una mezza approvazione sussurrata, al contempo non accettano però che scherzino col sesso.

In tal senso, San Babila ore 20 oscilla tra estetica della pura fattualità (la violenza basta da sola a parlare) e film a tesi, la cui ipotesi analitica, sia pure tenuta a briglia corta, è più che evidente. Lizzani sembra criticare profondamente le dinamiche sociali che stringono questi giovani fanatici nel ruolo di vittime predestinate. Dopo averli usati per contribuire a una precisa idea di ordine sociale, sono loro i primi a finire vittime del sistema stesso. L’atto d’accusa di Lizzani è tutto ben riassunto nell’inquadratura finale. Soffermandosi con sottile enfasi sulla brutale incoscienza dei ragazzi, che si rifugiano in sala giochi come bambini dopo aver compiuto un omicidio, San Babila ore 20 si chiude con un accerchiamento della polizia fuori dal locale. La società li ha accerchiati, li ha forgiati ed esaltati, li ha sfruttati. In quell’accerchiamento è riassunta una responsabilità che cade a pioggia su tutti i principali attori istituzionali. Quei ragazzi sono già accerchiati, prima ancora di aver compiuto il delitto, spinti in un cono di violenza da dinamiche sovraindividuali. Tesi non originalissima, invero. Ma magari nemmeno sbagliata, e sorretta da un bell’approccio secco e aspro al racconto.

Curiosità: Tra i protagonisti, l’unico volto un po’ più noto è quello di Pietro Brambilla, nipote di Ugo Tognazzi, che ricordiamo nei panni del chierichetto Lidio in La casa dalle finestre che ridono (Pupi Avati, 1976). La versione del film qui disponibile pare sia quella integrale, che spesso circola invece in una copia tagliata alla quale mancano dieci minuti circa. Alcune delle sequenze solitamente mancanti e qui ripristinate sono l’esibizione di gruppo con il passo dell’oca, e il pestaggio sotto gli occhi indifferenti del prete.

Info
La scheda di San Babila ore 20: un delitto inutile su Wikipedia.

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