La via lattea

La via lattea

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Nel firmamento surrealista di Luis Buñuel, e Jean-Claude Carrière, La via lattea occupa un posto chiave, con il suo percorso tra le eresie storiche nate in opposizione alla religione cattolica e ai suoi dogmi. Un’opera che è eresia essa stessa, il film sessantottino di uno dei protagonisti del movimento surrealista, che incontra altre eresie del linguaggio, come quelle di Resnais e di Godard.

Grazie a Dio sono ateo

Pierre e Jean, due pellegrini sul Camino de Santiago de Compostela, incontrano una serie di personaggi in costume ed eventi storici, incluse scene della vita di Gesù, che suscitano discussioni sulla dottrina e sulle eresie cristiane. [sinossi]

I bambini di un collegio su un palco all’aperto, guidati da una maestra che li guarda con benevolenza e severità, recitano degli anatemi contro chi devia dal dogma cattolico, davanti a numerose persone radunate su un prato come in un happening all’aria aperta, applaudendo a quelle litanie che i giovani scolari hanno imparato a memoria, che sono state inculcate loro come nelle ore di religione scolastiche. In questa scena ci sono inserti di un gruppo di anarchici in marcia, con la bandiera rosso-nera (capitanati da una donna, possono essere i rivoluzionari della guerra civile spagnola come, volendo, i sessantottini del maggio francese), che poi si vedono fucilare il papa, interpretato dallo stesso Luis Buñuel. Sono scene che irrompono con violenza, montate, come si dice, con l’accetta, rispetto al flusso narrativo principale. Rappresentano un sogno di uno dei due pellegrini protagonisti, Jean, come suggerito inizialmente da un primo piano sul suo volto trasognato. Alla fucilazione del papa segue la reazione dello spettatore vicino a Jean, che sobbalza dal rumore, al che il protagonista rivela essere semplicemente lui che sogna che sparino al pontefice.

Nella celeberrima scena de La via lattea, film del 1969 di Luis Buñuel, sceneggiato dal sodale Jean-Claude Carrière, si raggiunge «quel punto unico dello spirito dal quale la vita e la morte, il vero e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso, cessano di essere concepiti in contraddizione fra di loro» come teorizzato da André Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1826. Poco dopo, in quello stesso testo, il Surrealismo viene definito quale «un misticismo senza Dio, che placa e illustra la sete dell’assoluto dell’uomo in rivolta».

Nella forma del romanzo picaresco, con due vagabondi, due nuovi Don Chisciotte e Sancho Panza, con una dualità di personaggi che si replica, nelle figure dei due eretici e dei due ciechi alla fine (che nell’ultima scena sono protagonisti di un momento estremo di quel cinema della crudeltà di cui parlava Bazin), Buñuel mette in scena un road movie, nel Camino de Santiago de Compostela, quell’itinerario medioevale per raggiungere la cattedrale con le reliquie dell’Apostolo San Giacomo il Maggiore. Il percorso del film travalica l’itinerario fisico e geografico per attraversare il tempo e lo spazio, con un procedimento decostruttivo, in una rassegna delle eresie cristiane che hanno messo in discussione i dogmi della chiesa. Il catarismo, l’arianesimo, il giansenismo, il priscillianesimo, il molinismo, la duplice natura di Cristo, la santissima trinità, il libero arbitrio, l’immacolata concezione, l’eucaristia, la transustanziazione.
Tra i boschi, le strade asfaltate, nelle locande, all’ombra delle imponenti cattedrali gotiche che celebrano la magnificenza divina, i vari personaggi, semplici, incrociati dai pellegrini, discettano dei massimi sistemi confessionali. Tutto autentico, garantisce il regista nella scritta finale: le citazioni di testi e scritture sono reali. Tutto vero e parte di quella coesistenza degli opposti, teorizzata da Breton, che Buñuel prende e rimescola nel suo caleidoscopio surrealista. Convivono presente e passato, luoghi diversi, la vita di Gesù Cristo, scene dell’inquisizione medioevale. L’anacronismo è del resto l’elemento su cui si fonda il romanzo picaresco di riferimento, il Don Chisciotte della Mancia, e Buñuel ci mostra Gesù che vorrebbe radersi la barba, con rasoio e pennello, ma la Madonna glielo vieta, per preservarne l’iconografia.

I due viandanti, Pierre e Jean, sono come spettatori passivi di tutto, osservano quei conflitti dogmatici e teologici, che Buñuel rende come estremamente sterili. Nell’opposizione ai dogmi, agli assiomi precostituiti rientra la libertà stessa del surrealismo, eresia anche nella forma cinematografica, così come il libertinismo e l’illuminismo materialista del Marchese de Sade, figura cara a Buñuel, che qui compare con le fattezze di Michel Piccoli, sulla quale avrebbe voluto fare un film. Il regista ebbe a dire che tutta la sua filmografia è da considerarsi come un ponte tra L’âge d’or e La via lattea, dove in effetti porta a compimento un cinema dalla non linearità narrativa, dalla narrazione che si gioca su diversi livelli. Ambiguo e aperto il finale, con quell’inquadratura sull’erba, dopo che i ciechi che si credevano miracolati da Gesù si rivelano come ancora non vedenti. Ma Buñuel non è mai schematizzabile e in questo film, come in tutto il suo cinema, è sbagliato cercare risposte, rimangono le domande.
L’eredità de La via lattea nel cinema successivo è cospicua, come tutto il cinema di Buñuel, ma va ricordato in tal senso il recente O Ornitólogo di João Pedro Rodrigues, dove il Camino de Santiago porta a deviazioni oniriche che conducono a Padova, con un’immagine molto vicina a quelle delle strade del capolavoro del Maestro, approdo in questo caso del percorso di sant’Antonio.

Info
Il trailer originale de La via lattea.

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