Assassinio sul Nilo

Assassinio sul Nilo

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Grande classico del cinema dedicato ai romanzi di Agatha Christie, Assassinio sul Nilo di John Guillermin è un rigoroso giallo deduttivo in linea con i consueti marchingegni ideati dalla scrittrice britannica, qui rivisitata secondo una rilettura in formato kolossal che non disdegna veri accenti drammatici. Cast all-star, di glorie vecchie e nuove, capitanate dal gustoso Hercule Poirot di Peter Ustinov.

Le crisi di nervi di Mia Farrow

Campagna inglese. La fragile Jacqueline de Bellefort presenta all’amica Linnet Ridgeway il proprio fidanzato, Simon Doyle, giovane spiantato di bell’aspetto che si propone per un lavoro. Linnet è una ricca ereditiera un po’ arrogante che in quattro e quattr’otto ruba il fidanzato all’amica e se lo sposa. I due partono per un viaggio di nozze in Egitto, ma sono seguiti da Jacqueline, ferita e determinata a compiere una propria singolare vendetta, ripresentandosi ovunque agli sposi per rovinare il loro viaggio e stuzzicare sensi di colpa. Credendo di seminare Jacqueline, gli sposi s’imbarcano poi su un battello che compie una traversata del fiume Nilo, dove si raccolgono vari conoscenti di Linnet che hanno, ciascuno di essi, motivi di risentimento nei confronti della donna. Fa parte della comitiva anche Hercule Poirot, famoso detective belga, e più tardi s’imbarca pure Jacqueline. Durante un violento litigio Jacqueline, mezza ubriaca, spara a Simon ferendolo a una gamba e nella stessa notte qualcuno uccide Linnet nella sua cabina con un colpo di pistola alla tempia… [sinossi]

I gialli di Agatha Christie evocano spesso un’orizzonte di realtà parallela. È un mondo espressivo con sue precise regole, alle quali bisogna sottostare per non perdersi il gusto della lettura o della visione durante le numerose trasposizioni cinematografiche e televisive che si sono succedute negli anni. Specie nella trilogia esotica di cui Assassinio sul Nilo fa parte, i personaggi si ritrovano casualmente tutti insieme in un luogo lontano dal Regno Unito e tutti legati da un buon motivo per uccidere la vittima di turno. Lo stesso accade nel celeberrimo viaggio in treno di Assassinio sull’Orient Express, salvo poi scoprire, almeno in quel caso, che la raccolta di tutti i personaggi durante lo stesso viaggio ferroviario non è per niente fortuita – la celeberrima soluzione sembra giocare con gli stessi schemi consolidati dei romanzi della Christie e spingono ancora più in alto la sospensione dell’incredulità. Hercule Poirot, Miss Marple o chi per loro si trovano sempre a passare di lì o abitano nelle vicinanze. La coincidenza non è più coincidenza, è pura realtà da accettare se si vuole stare al gioco, prendere o lasciare. Le deduzioni delle indagini si svolgono sul filo della teoria, della differenza tra possibilità e probabilità – bisogna credere al possibile e trascurare i richiami realistici dettati dall’improbabile. Spesso la struttura del racconto assume i tratti di un teorema apparente, dove ogni tassello del mosaico sembra andare al suo posto con logica millimetrica, salvo che poi la dama britannica ci ha nascosto un dettaglio o due (fondamentali) per ricostruire il mistero. Cosicché sul finale si resta sempre sorpresi dalla soluzione del giallo e ci sentiamo un po’ stupidi – «Ah, come ho fatto a non pensarci». E invece sì, era proprio impossibile pensarci. Si possono fare ipotesi, più basate sulle sensazioni che sulle idee, ma la vera dinamica del delitto ci rimane quasi sempre oscura, e poi sul finale, con atteggiamento che ha del miracoloso, Hercule Poirot elabora la soluzione facendo passare per perfettamente comprensibile, alla portata di tutti, qualcosa che, per l’appunto, sta tra il possibile e l’improbabile. Le soluzioni sono sempre cervellotiche, e più lo sono, più entusiasmano.

Assassinio sul Nilo (1978) di John Guillermin prosegue lungo una riscoperta di Agatha Christie avviata dal celebrato Assassinio sull’Orient-Express (Sidney Lumet, 1974) in cui era stato chiamato Albert Finney a incarnare il ruolo del detective belga. Visto il buon successo del prototipo, la britannica EMI Films mise in cantiere altri capitoli, sostituendo Finney con Peter Ustinov, che da Assassinio sul Nilo in poi assunse la fisionomia del Poirot più popolare. Più istrione e più compiaciuto di Finney, forse più simpatico e gustoso nella sua caratterizzazione. Appartenente alla trilogia esotica, ossia ai tre romanzi che tra il 1936 e il 1938 la Christie dedicò ad avventure di Hercule Poirot in luoghi extra-europei, Death on the Nile si delinea così come un perfetto pretesto per combinare il giallo con l’approccio da kolossal, dove le affascinanti e inconsuete ambientazioni la facciano da padrone nel loro ruolo di cornice alla storia. Rispetto al suo predecessore sull’Orient Express e ai successivi capitoli che seguiranno nella saga di Poirot, questo conserva con ogni evidenza l’ambizione di tradursi anche in attrazione visiva, recuperando in parte il ruolo del cinema come strumento di mostrazione, qui magari declinato verso un più evidente spirito turistico e cartolinesco – basti pensare alle sontuose cavalcate e arrampicate sulle Piramidi, alle zoomate sulla Sfinge o all’uscita ai templi di Luxor e Abu Simbel. In qualche modo Assassinio sul Nilo sembra dunque proporsi come un giallo che vuol uscire dagli stretti confini della pura e semplice trasposizione di un intrigo da risolvere, tenendo a mente invece gli sfarzosi esempi (in minore, ovvio) del cinema di David Lean. Oltre alla fastosa confezione di location, scenografie e costumi è sufficiente ricordare il pomposo main theme fornito da Nino Rota e soprattutto la durata che giunge a sfiorare i 150 minuti, decisamente inconsueta per una pura e semplice avventura di Poirot. Le location ricoprono dunque un ruolo fondamentale, e in tal senso, per valorizzarle al loro massimo, è forse spiegabile anche lo strano squilibrio narrativo dovuto a una lunghissima introduzione al racconto che posticipa il delitto e l’innesco del vero e proprio giallo praticamente fino alla metà del percorso – che del resto, di nuovo, ricalca piuttosto fedelmente il romanzo originario, caratterizzato da una lunga premessa in cui si dà pieno spazio al nucleo melodrammatico intorno al quale si sviluppa l’intreccio, insolitamente enfatico rispetto alle consuete prassi della Christie.

Facendosi forte della squisita fotografia di Jack Cardiff, Guillermin non disdegna infatti una confezione leccatissima dove, rispettando la lettera del romanzo, il giallo piega scopertamente verso il melodramma e quasi al fotoromanzo, mettendo al centro della dinamica narrativa un trio di giovani personaggi belli e seducenti avvinti in un triangolo dai risvolti nevrotici – Lois Chiles, prima che attrice, era soprattutto una top model, Simon MacCorkindale esordiva qui al cinema per poi riprendere una prevalente carriera televisiva anche in serial americani, mentre Mia Farrow dà qui vita al personaggio più interessante dell’intero film. Al giallo intinto nel melodramma Guillermin abbina, in piena coerenza con i romanzi della Christie, una spiccata tendenza alla commedia di costume, pure con qualche punta di eccesso grottesco, riflesso meno accentuato nel film precedente con Finney come protagonista. Va di scena la britannica ipocrisia, sia pure infarcita di attori sia britannici che americani, e l’insieme dei sospettati si muove secondo le linee di una caratterizzazione eccessiva, talvolta bizzarra – la coppia Bette Davis/Maggie Smith, che a tratti sembra pure alludere a riflessi lesbo, è la più gustosa, mentre Angela Lansbury sfonda imprevedibilmente verso la conclamata macchietta iperbolica disegnando il personaggio della scrittrice Salomè Otterbourne, conciata con buffi abbigliamenti, attaccata alla bottiglia e ossessionata da tematiche erotiche. Stessa sorte tocca al dottore teutonico impersonato da Jack Warden, macchietta a tutti gli effetti, mentre rispetto al romanzo lo sceneggiatore Anthony Shaffer (drammaturgo gemello del più noto Peter, autore quest’ultimo dei testi teatrali e relative sceneggiature di Equus, Sidney Lumet, 1977, e di Amadeus, Milos Forman, 1984) opta per un deciso sfrondamento del numero dei personaggi, talvolta accorpandone alcuni in un’unica figura.

John Guillermin sembra anche fare tesoro di proprie esperienze precedenti. Onesto mestierante buono per tutte le stagioni, aveva diretto infatti solo quattro anni prima L’inferno di cristallo (1974), caposaldo del filone catastrofico anni Settanta che condivide con i film ispirati alla Christie la raccolta di un ampio cast all-star, con frequente recupero e rilancio di vecchie glorie del cinema per mandarle al macello durante un cataclisma naturale o sotto i colpi di un misterioso assassino. In tal senso Assassinio sull’Orient Express resta un esempio inarrivabile, animato com’è da una lista infinita di attori prestigiosi e in buona parte ancora sulla cresta dell’onda. Assassinio sul Nilo, invece, sembra anche chiamare a raccolta qualche volto con gran bisogno di lavorare (si pensa a questo soprattutto riguardo a Bette Davis), e il prestigio è qui spesso mischiato a giovani volti non particolarmente ispirati. La confezione globale resta innegabilmente accattivante, anche se rivedere il film a distanza di anni sortisce un curioso effetto soprattutto riguardo alle dimensioni degli spazi – con occhi infantili ricordavamo il salone principale del battello Karnak come qualcosa di grandioso e fastoso, mentre rivisto oggi è particolarmente angusto e ribassato rispetto alla statura degli attori.

Il film di Guillermin sconta d’altra parte qualche rigidità in due momenti-chiave nello sviluppo di un giallo, ossia la tessitura dei sospetti e le indagini dopo il delitto. Una volta saliti sul Karnak, l’odiosa Linnet Ridgeway intrattiene senza particolare fluidità narrativa un dialogo dopo l’altro con i compagni di viaggio in modo che si possa delineare per ciascuno di loro, un po’ artificiosamente, un buon motivo per ucciderla. Lo stesso avviene subito dopo il delitto, quando Hercule Poirot mette in moto le sue cellule grigie proponendo a ciascuno dei sospettati una possibile ricostruzione del delitto che prende la forma di un ipotetico flashback. La parte centrale risulta la più faticosa e senza molte idee – si ferma il Karnak e in qualche modo si siede un po’ anche il racconto, per riprendere poi un passo più spedito nel consueto spiegone finale di amplissima estensione, in cui Poirot, raccolti i suoi amati sospettati, comunica l’effettiva ricostruzione di quanto accaduto. È uno stratagemma di grande effetto, con qualche reminiscenza teatrale e addirittura metateatrale, che caratterizza puntualmente i Christie-movies. Il luogo chiuso conferisce maggiore suspense; dal Karnak nessuno può fuggire, nemmeno l’assassino, costretto a riascoltare quanto egli stesso ha compiuto. L’intarsio di flashback costituisce uno degli elementi di più spiccato fascino dei film tratti dalla Christie; quegli squarci in un passato ipotetico sembrano riaffermare al contempo la natura stessa del cinema, capace di ricostruire un artificio conferendogli parvenza di realtà, ma capace anche di raccontare volutamente una finta realtà tramite la visualizzazione di ipotesi e deduzioni. Lo stesso accade per la soluzione del giallo, che a sua volta ripropone il tema dell’inganno del vedere e anche del mostrare – senza voler svelare troppo, il film mostra un’azione che da spettatori si dà per acquisita secondo consuete e inconsapevoli modalità di fruizione, per poi affermare in seguito che tale azione non si è verificata, quantomeno non nel momento in cui pensavamo, ennesima possibilità garantita dal potere affabulatorio del cinema. Il cinema può persuadere che sta mostrando qualcosa, ma quasi mai la mostra nel suo vero farsi, per cui possiamo solo crederci.

La regia di Guillermin non appare particolarmente personale, ma è responsabile di almeno una sequenza magistrale nella scansione della suspense, che lascia con il fiato sospeso attraverso l’uso espressivo di spazio, tempo, silenzio, senso di labirinto e figure che appaiono da dietro le colonne – tutta la sequenza sapientemente allungata ai templi di Luxor, culminante con il lancio del masso da grande altezza. Oltre alla machiavellica soluzione e alle consuete dinamiche di intrigo e suspense garantite dalla struttura del giallo, Assassinio sul Nilo ha dalla sua parte un’inconsueta attenzione per le psicologie dei personaggi, almeno per i suoi principali. Il trio di protagonisti, ancorché impersonati da attori non sempre brillantissimi, sono indagati secondo un approccio che almeno nel finale si tramuta in sinceramente drammatico. In buona parte ciò è dovuto alla bella costruzione riservata al personaggio di Jacqueline de Bellefort, alla quale si riserva una cura nel tratteggio decisamente insolita per le dinamiche di un giallo classico. Affidata a una Mia Farrow piuttosto a suo agio con nevrosi e instabilità emotive, Jacqueline è il vero motore del racconto, anima ferita che mette in atto la sua vendetta ricorrendo al senso di colpa innescato dalla presenza fisica – una sorta di stalker ante litteram non aggressiva, ma che semplicemente ricorda agli altri tutto il dolore subito per causa loro continuando a ripresentarsi in ogni luogo. È anche piuttosto insolito il rapporto di affetto e comprensione che viene a crearsi tra Poirot e Jacqueline, cosicché un giallo classico, genere di per sé asciutto e razionale nel suo dipanarsi di deduzioni e controdeduzioni, qui finisce per combinarsi con un dramma talvolta ben centrato, che trova il suo culmine nel grande finale. «Quelle tragédie!», può solo commentare il borioso Poirot.

Intrattenimento, insomma, con mestiere registico e molta classe attoriale, garantita quantomeno dai protagonisti più attempati o di solide formazioni – Ustinov, Niven, Davis, Smith, Lansbury, Warden, Kennedy, e con la presenza laterale e fondamentale di un’inquieta Jane Birkin. Da (ri)vedere e gustare, anche per prepararsi al remake a opera di Kenneth Branagh pronto a uscire in sala a fine 2020, dove l’autore-attore britannico, ormai in preda a un’insistita Christie Renaissance, tornerà a vestire i panni di Poirot dopo l’esperienza di Assassinio sull’Orient Express. Non ce ne voglia Branagh, ma Ustinov e Finney sono i nostri Poirot. E Mia Farrow è la nostra Jacqueline de Bellefort.

Info
Il trailer di Assassinio sul Nilo.

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