Guardiani della Galassia Vol. 3

Guardiani della Galassia Vol. 3

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Terzo e ultimo capitolo della saga galattica scritta e diretta da James Gunn, nel frattempo passato ai DC Studios, Guardiani della Galassia Vol. 3 riparte dalla libertà sconquassata e goliardica del televisivo Guardiani della Galassia Holiday Special, tassello apparentemente secondario che anticipa lo spirito di questo (parziale) commiato. Tenendosi ancora una volta in equilibrio tra risate e lacrime, Gunn lascia un evidente vuoto nella serialità marveliana – anche se, in fin dei conti, i Guardiani hanno sempre fatto corsa a parte.

Come and Get Your Love

I Guardiani della Galassia si sono oramai ambientati a Knowhere, la loro nuova base, ma non passa molto tempo prima che le loro vite vengano stravolte dal turbolento passato di Rocket. Ancora provato dalla perdita di Gamora, Peter Quill deve riunire la squadra intorno a sé in una pericolosa missione per salvare la vita di Rocket, una missione che, se non sarà portata a termine con successo, potrebbe portare alla fine dei Guardiani… [sinossi]
I said-a find it, find it, go on and love it if you like it, yeah
Hail (Hail), it’s your business if you want some, take some
Get it together, baby…
Redbone – Come and Get Your Love.

Sembrerebbe facile, se solo non ci fossero gli altri tentativi della Marvel di accodarsi alla ricetta gunniana. Una ricca playlist di canzoni orecchiabili, ballabili, a volte struggenti; un po’ di azione, un po’ di scanzonate battute, un po’ di paura e dramma; gli attori giusti al posto giusto; una storia sovrabbondante, non necessariamente perfetta, ma con un finale che riannoda i fili, magari con un balletto (apparentemente) insensato o con un addio (im)previsto e dolorosissimo. Facile? No. Anche perché, come abbiamo visto, dipende dall’eroe o supereroe di turno, da come lo si vuole raccontare e da cosa si vuole raccontare, magari in una trilogia, costruendo un percorso coerente, un viaggio del (super)eroe. E la fine di questo viaggio, solo in piccola parte legato alla saga delle gemme, è esattamente quello che troviamo in Guardiani della Galassia Vol. 3, con una narrazione che si intreccia ai lunghi flashback, alla parabola più singolare ed emblematica, a quel riscatto che è la ragion d’essere di tutto il gruppo e di ogni singolo personaggio che gravita attorno a Knowhere.

Guardiani della Galassia Vol. 3, come le precedenti avventure, è una storia di famiglia. Non quella tradizionale, ovviamente. La famiglia dei Guardiani, come quella più ampia dei Ravager, non guarda minimamente al DNA, alla provenienza, alla forma vivente e nemmeno al passato o a piccoli e grandi errori\orrori. I Guardiani e i Ravager sono figli dell’inclinazione inclusiva dei perdenti, dei reietti, dei mostri; i Guardiani e i Ravager, pronti a uccidere ma anche a salvare, sono la riserva indiana degli underdog. Tutte queste cose le avevamo già viste nei primi due volumi, ma nel terzo deflagrano definitivamente, gettando al vento parecchi paletti narrativi, un po’ come nel già citato Guardiani della Galassia Holiday Special, che è in buona parte la cifra stilistica dell’ultimo lungometraggio, sia sul piano narrativo sia su quello estetico.
Non a caso, il film di Gunn abbraccia senza remore gli effetti prostetici, numerosissimi, pur non rinunciando alla CGI: anche da questo punto di vista, il cinema gunniano si conferma naturalmente aperto a tutto, capace di battere strade alternative, spesso dimenticate e abbandonate. Una poetica che viaggia a braccetto col singolare percorso professionale, con la fondamentale esperienza alla Troma, con quella inusuale capacità di maneggiare e plasmare elementi apparentemente inconciliabili – e il tentativo in piena corsa della Marvel di imitare la leggerezza del patchwork gunniano si è via via rivelato un cambio di rotta deleterio, forzato, troppo spesso stridente col contesto e con la (vera) natura dei personaggi.

Volendo guardare all’Alto Evoluzionario come a una beffarda metafora dell’industria hollywoodiana contemporanea, in primis l’onnipotente Disney, non dobbiamo però sottostimare lo spiccato spirito aziendalista di Gunn, che alla sua oramai ex-casa di produzione serve su un piatto d’argento per ogni Guardiano la migliore uscite di scena possibile e che, soprattutto, lascia in eredità un personaggio dalle notevoli potenzialità narrative, qui trattato con estrema cura e lasciato volutamente aperto: all’interno di un film che gioca col caos organizzato, Adam Warlock è una sorta di regalo da spacchettare, consegnato alla Disney per future produzioni – ovvia l’unica domanda possibile: la Marvel\Disney sarà in grado di gestirlo?

Se le parabole dei vari personaggi sono portate a compimento, ci sembra ammirevole il percorso sottotraccia del giovane Adam, ancora «bambino»: è lui la controparte di Rocket, qui motore di tutta la vicenda e protagonista emotivo della pellicola (con Creep dei Radiohead che strappa lacrime e cuore), un nuovo strambo personaggio in cerca di un equilibrio, un sostegno, un aiuto. Ed è ancora una questione di DNA, di (im)perfezione, di rifiuto e accettazione. Senza tanti proclami, sempre pronto alla battuta irriverente, Gunn mette in scena il vero e sano volto della tanto sbandierata inclusività. Un’inclusività in senso molto ampio, che si riverbera nelle scelte musicali, narrative, tecniche, estetiche e, in maniera evidentissima, nel cuore grande dei suoi personaggi, a loro modo tutti figli di Yondu. (Under)dog days are (not) over.

Info
Il trailer di Guardiani della Galassia Vol. 3.

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