Tutti tranne te

Tutti tranne te

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Dopo essersi dedicato al film musicale con Annie e al dittico dedicato a Peter Rabbit il regista statunitense Will Gluck torna con Tutti tranne te al genere che più di ogni altro pare essere nelle sue corde, la commedia romantica in odor di “screwball”, basata sul battibecco amoroso (e non) tra i personaggi. Qui l’ispirazione è shakespeariana, anche se il risultato è un po’ asfittico, nonostante la verve di Sydney Sweeney e Glen Powell.

Molte riprese per poco

Bea e Ben sembrano la coppia perfetta, ma dopo un primo appuntamento fantastico succede qualcosa che spegne la loro infuocata attrazione. Quando si ritrovano inaspettatamente allo stesso matrimonio in Australia, decidono di fingere di essere una coppia, ognuno con uno scopo diverso. [sinossi]

«L’amicizia è leale in tutto tranne che negli affari e nelle questioni di cuore. I cuori innamorati è meglio che usino la propria lingua, è meglio che ogni occhio tratti per sé, non si fidi di nessuno»; così Claudio, fiorentino al seguito di Don Pedro d’Aragona, sentenzia in uno dei passaggi più noti di Molto rumore per nulla, la commedia che William Shakespeare scrisse tra l’estate del 1598 e la primavera del 1599, ambientandola in quel di Messina. In quella frase, in una certa misura, già si ravvedono i crismi che renderanno celeberrima – e imitatissima – secoli dopo la screwball comedy, dove la schermaglia amorosa diventa un duello verbale, in un fuoco di fila di battute al veleno, cattiverie, e dove soprattutto l’amore non si fida di nessuno, e arriva quasi di colpo, all’improvviso, pur essendo sempre stato lì, dietro ogni parola utilizzata. Non è dunque così bizzarro, a ben vedere, che proprio al Bardo e a questo testo in particolare si ispiri Will Gluck per Anyone But You, che in Italia viene tradotto letteralmente con Tutti tranne te; dopotutto anche Shakespeare saccheggiava a piene mani una delle novelle di Matteo Bandello, morto all’epoca da qualche decennio, in un percorso a ritroso che mostra l’eternità del discorso amoroso nella cultura, e la sua replicabilità con le dovute accortezze del caso. Se da un lato poi Gluck guarda appunto all’epoca Vittoriana, dall’altro ha l’occhio puntato sulla Hollywood dell’epoca d’oro degli Studios. A ogni inquadratura si può comprendere come il quarantacinquenne regista vorrebbe rivestire la sua Sydney Sweeney dei panni che furono di Carole Lombard, Claudette Colbert, o Katherine Hepburn, per poi operare lo stesso mascheramento per Glen Powell, agghindandolo alla moda interpretativa di James Stewart, Cary Grant, Clark Gable.

Letto in questa chiave prospettica Tutti tranne te è senza dubbio un’operazione produttiva interessante, quasi d’antan o comunque distante dalla prassi contemporanea hollywoodiana, e sembra finalmente riallacciare il percorso registico di Gluck alle intuizioni degli esordi, quando prima Fired Up! – Ragazzi pon pon e poi Easy Girl fecero emergere le qualità principali dell’autore, vale a dire una notevole capacità nel reggere il ritmo interno dei dialoghi e una propensione alla commedia per niente dimentica della propria storia, e del passato più o meno recente. Fallito almeno sotto il profilo estetico il salto di qualità in tal senso con Amici di letto – che può legittimamente essere considerato il fratello maggiore di Tutti tranne te –, dominato dalle interpretazioni di Mila Kunis e Justin Timberlake, il cineasta newyorchese ha poi dirazzato, muovendosi in direzione del film musicale con il remake Annie – La felicità è contagiosa e quindi della commistione tra live action e animazione alla base del dittico dedicato al coniglio Peter Rabbit, labilmente basato sul racconto di Beatrix Potter. La storia d’amore infuocata, congelata, e destinata ovviamente a rinfocolarsi sotto il sole dell’Australia tra la studentessa di legge Bea e l’impiegato di Goldman Sachs Ben segna dunque una sorta di “ritorno a casa” per Gluck, che si riappropria degli stilemi della rom-com senza aver alcuna intenzione di ribaltarli, rileggerli, o anche solo sconvolgerne le abitudini consolidate. Ecco dunque che il pubblico che si affaccerà in sala non tarderà molto a comprendere la direzione in cui punta il racconto, né tanto meno potrà dirsi sorpreso dell’esito cui giungeranno gli eventi. Anche perché ovviamente Tutti tranne te parla, tornando sempre alla citazione con cui si è aperto questo breve scritto, di “cuori innamorati”.

Ovviamente dopo la prima notte d’amore Ben si tirerà indietro, anche perché come ogni figura maschile che si rispetti per i codici del genere non ha alcuna intenzione di legarsi e ha addirittura paura di ciò che potrebbe comportare una relazione affettiva duratura, lui che preferisce magari flirtare in un aeroporto, perfino rimanendo dietro la porta di un gabinetto pubblico se necessario. Il tiro con cui parte il film è senza dubbio l’aspetto più convincente, perché i due interpreti sanno benissimo come gestire i dialoghi, come rintuzzare sulla battuta altrui, come trasformare un bisticcio in un momento di seduzione: Sweeney è stata svezzata negli anni da John Carpenter (The Ward), David Robert Mitchell (Under the Silver Lake), e Quentin Tarantino (C’era una volta a… Hollywood), mentre per quanto riguarda Powell c’è ancora negli occhi la strepitosa interpretazione in Hit Man di Richard Linklater, lui che con l’autore texano aveva recitato anche in Fast Food Nation, Tutti vogliono qualcosa, e Apollo 10 e mezzo. Eppure l’eccessiva levigatezza del contesto, con il matrimonio australiano che costringe i due non più amanti a condividere lo stesso tetto prima delle nozze tra la sorella di lei e quella del migliore amico di lui, finisce ben presto per inceppare la marcia trionfante di una commedia che avrebbe dovuto essere molto più cattiva, meno prevedibile, e più anarchica per potersi elevare al di sopra di un contesto di cinema medio in cui piomba in maniera quasi inesorabile. Nel momento in cui l’azione si sposta nella villa a Sydney tutte le mancanze strutturali del film vengono meno, a partire dall’idea di rifarsi all’ideale shakespeariano senza avere le spalle abbastanza larghe per reggerne il peso. Quando poi Ben e Bea non sono in scena a discutere/amoreggiare Tutti tranne te si arena completamente, anche perché loro due sono gli unici personaggi ad avere un arco narrativo da rispettare, oltre a ricevere le uniche battute degne di nota del film. Per quanto resti un divertissement piacevole, un modo gradevole di trascorrere una serata – o un pomeriggio – al settimo lungometraggio di Gluck manca l’eversione tipica dell’Apatow’s touch, che pure viene rincorso (il film a tratti guarda insistentemente dalle parti di The Five-Year Engagement e Non mi scaricare, entrambi diretti da Nicholas Stoller ma prodotti da Apatow) e imitato, ma senza particolare ispirazione.

Info
Tutti tranne te, il trailer.

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