Hit Man – Killer per caso

Hit Man – Killer per caso

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Ventiduesimo lungometraggio diretto da Richard Linklater in trentacinque anni di carriera, Hit Man – Killer per caso segna il ritorno del regista texano al Lido a ventidue anni di distanza dal dittico Waking Life/Tape. Questo nuovo film è una commedia dal ritmo sfrenato, che si divincola dall’appartenenza a qualsiasi genere e lavora a più strati, ragionando sui concetti di identità e ruolo, ma anche sul desiderio come forma indispensabile dell’essere. Fuori concorso alla Mostra di Venezia 2023.

Io, es, e super-io

Gary Johnson è un professore di filosofia all’università di New Orleans, un tipo ordinario che però nasconde una doppia identità, visto che lavora sotto copertura per la polizia fingendosi un sicario in modo da far arrestare in anticipo coloro che vorrebbero commissionare un omicidio. Un giorno a uno degli incontri registrati dalla polizia si presenta però una ragazza indifesa, di cui Gary si innamora all’istante… [sinossi]

Per una coincidenza Hit Man – Killer per caso, ventiduesimo lungometraggio diretto da Richard Linklater, è stato presentato alla stampa alla Mostra di Venezia 2023 la stessa sera in cui si svolgeva anche la proiezione di Shadow of Fire, il nuovo film di Shinya Tsukamoto. Non potrebbero esistere due opere più diverse, visto che la prima è una spassosa commedia che gioca attorno al genere e la seconda un cupo dramma ambientato nel Giappone post-bellico, eppure c’è un dato che accomuna i lavori: entrambi avrebbero infatti meritato di prendere parte all’agone per la conquista del Leone d’Oro invece di essere piazzati, in modo all’apparenza del tutto arbitrario, l’uno nel fuori concorso, e l’altro in Orizzonti. Scelte di programmazione poco convincenti, e che sembrano frutto di un organismo festivaliero orchestrato facendo ricorso al manuale Cencelli. Premesso ciò era tempo che la Mostra si ricordasse dell’esistenza di Linklater, che mancava dal Lido addirittura da ventidue anni. Nel 2001 il regista texano presentò infatti addirittura due film: in concorso Waking Life, sogno lucido ripassato al rotoscopio, e nella sezione Nuovi Territori Tape, tutto ambientato in una camera d’albergo durante un festival di documentari e prodotto all’interno del progetto “IndiGent”. Oltre due decadi più tardi Linklater torna in laguna con una commedia scatenata, che si apre non casualmente con un cartello stradale che indica il nome di Allen Toussaint, figura preminente della scena rhythm and blues di New Orleans. Ed è proprio per la città del Mardi Gras che Linklater abbandona il natio Texas che solitamente rappresenta il cuore nevralgico delle storie che porta sullo schermo.

Reduce dalla quasi autobiografia ancora lavorata al rotoscopio di Apollo dieci e mezzo – purtroppo finito direttamente su Netflix senza passare dalle sale cinematografiche –, Linklater dimostra la sua totale indipendenza creativa costruendo Hit Man in fase di scrittura, insieme a quel Glen Powell che funge anche da eccellente protagonista, partendo da un articolo di giornale redatto quasi vent’anni fa da Skip Hollandsworth sul Texas Monthly e che aveva incuriosito il regista. Una storia incredibile, che parlava di un docente universitario che lavorava però anche sotto copertura per la polizia locale fingendosi un sicario assoldabile per omicidi “privati”. Ovviamente Linklater rimaneggia la storia, la rimodella così come fa il cinema, che nei fatti – sottolinea la voce narrante del protagonista – ha creato la figura mitica del killer a pagamento, e l’ha fatto con un tale dispiego di energie da aver connotato nella realtà un personaggio puramente leggendario. Ecco dunque che lo spettatore viene mitragliato da una miriade di immagini di sicari all’interno della storia del cinema, dalla Hollywood classica a Sergio Leone e Seijun Suzuki: un montaggio frenetico che dà spazio e agio alla celeberrima cinefilia di Linklater, fondatore nel 1985 di quella Austin Film Society che tutt’ora consente agli abitanti della città di imbattersi sul grande schermo in classici del cinema, opere provenienti da tutto il mondo, e film statunitensi indipendenti e fuori dal circuito mainstream. Un dettaglio, quello del breve interludio citazionista, che permette però fin da subito di cogliere la moltitudine di strati di cui si comporrà nelle sue due ore scarse di durata Hit Man.

Con un personaggio principale che durante le sue lezioni di filosofia all’università interroga i suoi studenti sui concetti freudiani di Io ed Es, Hit Man gioca con il registro della commedia degli equivoci – la bella Madison Masters, di cui Gary sotto copertura si innamora all’istante convincendola a soprassedere dalla sua richiesta di un sicario in modo da preservarla dall’arresto, ignora ovviamente la doppia identità dell’uomo, e si innamora a sua volta di Ron, il personaggio che questi sta interpretando – per indagare uno dei punti cardine della società occidentale contemporanea, vale a dire la specificità di ogni individuo, la sua personalità. Questo elemento non viene però visto in una chiave solipsistica, ma attraverso i detriti del noir evidenzia come la scelta individuale di mostrarsi in una certa maniera possa influenzare la società circostante, perfino arrivando a determinare la vita e la morte di qualcuno. Linklater e Powell edificano una sceneggiatura impeccabile, dominata da un ritmo irrefrenabile dove il fuoco di fila dei dialoghi sovverte lo schema dello scontro fisico, quasi riallacciandosi alle formule auree della screwball comedy. Ciò che ne deriva è un divertentissimo studio di Gary/Ron, delle sue due facce oramai inscindibili, come si fosse a tu per tu con una riedizione del dottor Jeckyll e del suo doppio omicida. Qui però la chiave scelta è quella della commedia brillante, nella quale confluiscono non solo tutti i generi che con maestria Linklater maneggia durante lo sviluppo della narrazione, ma anche e soprattutto i rimandi filosofici, psicologici, che possono a loro volta partecipare al gioco anche solo apparendo sui nomi delle strade che la Civic di Gary attraversa per recarsi da un appuntamento all’altro.

Mai Hit Man dà l’impressione di essere un meccanismo automatico, un orologio che deve seguire i suoi battiti, ma semmai rinnova la visione di un regista che ha sempre fatto della libertà il suo reale tratto distintivo: nell’insegnamento di Gary alla sua classe, di comprendere chi si è in profondità per poi vivere quell’identità nel modo più vivo e concreto possibile, c’è anche la lezione impartita all’anodino cinema mainstream statunitense degli ultimi anni da Linklater. Con l’estrema chiarezza di sé e del suo cinema Linklater può infatti senza problemi passare da un’opera a un’altra senza doversi ripetere stancamente, e senza affidarsi a formule, ma vivendo pienamente ciò che sta trasformando in immagini. È da questa assoluta libertà che nascono alcune delle situazioni più spassose di Hit Man, vale a dire il litigio “recitato” tra Madison e Gary, i giochi amorosi tra i due – la Madison Airlines rimane impressa nella memoria –, e ovviamente gli infiniti travestimenti che Gary mette in atto per presentarsi a coloro che lo incontrano ritenendolo un sicario. Scritto e diretto in stato di grazia, affidato alle cure attoriali di un cast in splendida forma ma privo di “star” (Glen Powell, Adria Arjona, Austin Amelio, Retta) e semmai infarcito di fedeli sodali di Linklater, Hit Man – Killer per caso è a sua volta una dichiarazione di intenti, la dimostrazione che c’è ancora un cinema statunitense che resiste alle lusinghe di una Hollywood mai così in crisi di identità al punto da essere passata al Super-Io dimenticandosi per strada sia l’Io che, e forse soprattutto, l’Es.

Info
Hit Man – Killer per caso sul sito della Biennale.

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