Suburbia

Tratto da una pièce di Eric Bogosian, Suburbia è il quinto lungometraggio da regista di Richard Linklater. Uno sguardo disilluso e partecipe sui destini della cosiddetta “generazione X”, mandata al macello all’estero come in patria.

Storditi e sempre più confusi

A Burnfield, quartiere periferico di Austin, nel Texas, cinque ragazzi hanno l’abitudine di bivaccare quotidianamente vicino ai cassonetti della spazzatura posti all’angolo del piccolo supermercato locale, prendendo in giro occasionalmente il commesso straniero che vi lavora. Jeff, il personaggio principale del film, è un’anima priva di scopo che guarda con grande incertezza al futuro. Jeff esce con Sooze, che ha espresso il desiderio di lasciare Burnfield per diventare un’artista. I migliori amici di Jeff sono Buff e Tim, un travagliato giovane congedato con onore dall’esercito che beve troppo e ha difficoltà a tenere la bocca chiusa. L’amica di Sooze Bee Bee è invece un’alcolizzata che da poco si è unita al gruppo. Una sera un loro vecchio amico divenuto una rock star, Pony, torna in zona per rimettersi in contatto con il gruppo. Nonostante alcuni di loro siano gelosi del suo recente successo, la maggior parte degli amici è contenta di rivederlo. [sinossi]

Suburbia, quinto lungometraggio diretto per il cinema dall’allora trentaseienne Richard Linklater, si apre sulle note accorate e disperate di Town Without Pity, che Gene Pitney portò al successo internazionale nel 1962, al punto da registrarne anche una versione in tedesco e una in italiano, quest’ultima dal titolo Città spietata. Le liriche di Town Without Pity, scritte da Ned Washington per la musica composta da Dimitri Tiomkin, si aprono sul distico “When you’re young and so in love as we / And bewildered by the world we see / Why do people hurt us so? / Only those in love would know / What a town without pity can do”. Al di là del valore anche cinefilo della riscoperta di una memorabilia simile – la canzone fu composta per il solido dramma bellico La città spietata, coproduzione internazionale diretta da Gottfried Reinhardt –, sembrano le frasi perfette per cercare di entrare in contatto con i giovani protagonisti di Suburbia, che prima di diventare film nelle mani di Linklater fu una pièce di Eric Bogosian, qui firmatario della sceneggiatura. Per quanto sia il primo e uno dei pochi film in cui il regista texano non scrive di proprio pugno lo sviluppo della trama e i dialoghi (gli altri sono Tape, School of Rock, Bad New Bears, e Me and Orson Welles) Suburbia appare in tutto e per tutto come un’opera compiutamente linklateriana. E non solo perché il regista sceglie di trapiantare i protagonisti della pièce dal New Jersey dell’originale ai sobborghi di Austin, capitale del Texas, città e Stato che rappresentano per Linklater una seconda pelle. No. C’è qualcosa che si agita nella notte blu che più non si può e che si muove tra le accese discussioni dei suoi protagonisti, sperduti reietti che non sono neanche consapevoli di essere tali, che rende questa piccola storia un punto di svolta essenziale all’interno della filmografia dell’autore di Boyhood, Last Flag Flying e Waking Life.

Non è certo casuale che tutto questo avvenga con l’unica sceneggiatura classicamente intesa portata in scena a Hollywood – o meno, nel suburbio di Hollywood – nel corso del tempo: a ben vedere infatti sia Wake Up and Smell the Coffee che soprattutto l’arcinoto Talk Radio sono costruiti interamente dall’attore e autore su se stesso, sule sue movenze, sulla sua timbrica vocale. In Suburbia al contrario Bogosian si mette a disposizione di un racconto corale, che parla di una generazione di cui non fa parte e di un milieu culturale che non gli appartiene. Mettersi a lato per partecipare, uno dei punti di partenza essenziali per comprendere la poetica di Linklater. Mettersi da parte, assistere senza giudicare, amare i propri personaggi oltre i loro stessi meriti. Oltrepassare i limiti morali, sociali, politici, che dovrebbero tenere lo spettatore a distanza di sicurezza. Non esiste distanza nel cinema di Linklater, e non esiste neanche in Suburbia, che fa leva sulle unità aristoteliche per cercare di scandagliare una generazione mandata al macello, tanto all’estero – Tim è stato in guerra nel Golfo, per esempio – quanto in patria. Sono poco più che adolescenti, ma forse il loro destino è già segnato. In parte lo hanno direzionato loro, ma il più lo ha fatto una società sordida, cieca, priva di qualsiasi collante.

Il fulcro narrativo del film è presto raccontato: quattro amici si incontrano come ogni sera dietro il drugstore gestito da due immigrati indiani. Quella è una serata a suo speciale, però, perché in città arriva un loro compagno di scuola che ce l’ha fatta, ed è il leader di una band di successo. Questo incontro porterà a galla rimossi, delusioni, rivendicazioni. Fin dalla sua descrizione si capisce come Suburbia sia un film di dialoghi, di relazioni umane, di confronti serrati. Linklater riesce a evadere dalla stretta gabbia del teatro filmato sia per l’ambientazione en plein air – eccezion fatta per qualche interno – sia grazie a una regia accurata, granitica, che solo a uno sguardo distratto può sembrar muoversi nella direzione tracciata dall’indie movie statunitense di quegli anni. Una direzione che Linklater ha sempre rifuggito, smarcandosi da apparentamenti forzosi e cliché già usurati prima ancora di diventare tali. Suburbia scava in profondità nelle psicologie dei suoi protagonisti, cerca di comprenderne amarezze e riottosità, rabbie e disamori, perché sono il frutto di un dettato sociale dal quale è difficile evadere. Pony ce l’ha fatta, e ha subito voltato le spalle all’angolo di muro sul quale si appoggiava fino alla sera prima. Si può cedere con facilità alle lusinghe del Capitale, come faranno sia Sooze che Buff, ma al di là di un giro in limousine non è detto che si possa ambire a granché. Oppure si può rifiutare in toto quel mondo, con la consapevolezza però di rimanerne esclusi e di essere per sempre condannati alla solitudine, appestati, disadattati. Un discorso che è valido per Tim, sempre a un passo dall’aver problemi con la legge, e ancor più per la povera Bee-Bee, sull’orlo del tracollo per l’abuso di alcol. A tenere la barra dritta resta il solo Jeff, geloso di un successo che non avrà mai: il suo gesto di ribellione però si ferma a un vandalismo fine a se stesso, vacuo, impossibilitato a lasciare il segno.

Incorniciato dalle belle musiche approntate dai Sonic Youth e da Stewart Copeland – nella ricca colonna sonora compaiono, oltre alla band di Thurston Moore e Kim Gordon, anche Beck, U.N.K.L.E., Girls Against Boys, Boss Hog, Butthole Surfers e Flaming Lips – Suburbia è un uggioso inno post-punk a una generazione disintegrata, stordita e confusa, a un passo dalla balcanizzazione e destinata a non lasciar traccia di sé negli annali della storia americana, tra una guerra del Golfo e l’altra, un impeachment al presidente e l’orrore degli attacchi terroristici all’orizzonte, a preparare un nuovo scenario bellico. Ma non ha bisogno del fronte, la generazione narrata da Linklater e Bogosian, per trovare la sua lotta perdente quotidiana. Una generazione che non ha ideali (“l’idealismo è il senso di colpa dei borghesi”), se non forse “Smoke; babe; slice; brew. All four bases”, come sentenzia il poco brillante Buff. Ad avere le idee chiare è sempre Jeff, quando afferma “Nothing ever changes, man. Fifty years from now we’re all gonna be dead. And there will be another group of people standing here drinking beer, eating pizza, bitching about the price of Oreos and they’ll have no idea we were ever here and fifty years after those suckers will be dust and bones and there’ll be all these generations of suckers, all trying to figure out what the fuck they’re doing on this fucking planet and it’ll all be full of shit. It’s all so fucking futile”.

Sì, è tutto futile, ma non si può fare a meno di agitarsi, di continuare a cercare un senso, di salvarsi dal soffocamento definitivo. Suburbia, uscito direttamente in VHS all’epoca in Italia, è un film basilare non solo per comprendere la carriera di Richard Linklater, ma anche per trovare una direzione non usuale e non banale al mondo off Hollywood che negli anni Novanta ancora sognava una rivoluzione impossibile. Ed è per di più l’occasione per vedere all’opera un manipolo di attori mai presi davvero in considerazione, ma di eccellente talento: tra loro varrà la pena ricordare quantomeno Steve Zahn (quasi trent’anni di carriera tra Giovani, carini e disoccupati di Ben Stiller e Blaze di Ethan Hawke), Nicky Katt (al lavoro in altri tre film di Linklater), e in particolar modo Giovanni Ribisi. Per chiudere con una curiosità la sorella gemella di quest’ultimo, Marissa, recitò per Linklater in Dazed and Confused. Corsi e ricorsi storici…

Info
Il trailer originale di Suburbia.
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