Joker: Folie à Deux

Joker: Folie à Deux

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Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2024, Joker: Folie à Deux di Todd Phillips è un sequel ineluttabile, tanto atteso quanto già sbeffeggiato, cartina tornasole di una inattesa autorialità che cerca di convivere con le ferree regole dello star system, del fandom, del box office e – forse – persino della critica. A pochi anni da Joker, stand-alone che non avrebbe avuto bisogno di repliche, a vincere (dentro e fuori dallo schermo) è il pubblico, la derisione, la partigianeria, il chiacchiericcio da social e la necessità di innalzare statue viventi per poi distruggerle.

There’s a light, a certain kind of light

Joker: Folie à deux vede Arthur Fleck internato ad Arkham, in attesa di processo per i suoi crimini nelle vesti del Joker. Alle prese con la sua doppia identità Arthur non solo si imbatte nel vero amore, ma scopre anche la musica che ha sempre avuto dentro di sé… [sinossi – labiennale.org]
There’s a light
A certain kind of light
That never shone on me
I want my life to be lived with you
Lived with you..
To Love Somebody.

Quasi costretto a cavalcare l’inatteso trionfo di Joker, Todd Phillips abbandona i placidi lidi scorsesiani e si avventura in un sequel rischiosissimo, armato della suggestiva idea della sterzata musical e della presenza della trasformista Lady Gaga – che, sì, è un’ottima quanto depotenziata Harley Quinn. Se Joaquin Phoenix è già perfettamente calato nel classico ruolo di una vita e la tascabile Germanotta ha fascino da vendere, se alcune sequenze indubbiamente funzionano (ad esempio, quella in studio sulle note dell’intramontabile To Love Somebody) e le potenzialità narrative non mancano, Joker: Folie à Deux finisce però per girare a vuoto, appesantito dalla lunga e ridondante parte processuale (con eterno ritorno di temi e personaggi del primo capitolo) e da un’impasse via via sempre più evidente. Più che un passo a due, due passi indietro.

Nel ripercorrere una strada già ampiamente battuta, ovvero i meccanismi mentali di Arthur Fleck\Joker (che già sappiamo non essere Joker ma una maschera, un simbolo, un mito), Phillips e il cosceneggiatore Scott Silver indirizzano il timone verso altre direttrici: non solo e non tanto per la scelta di ibridare questo atipico cinecomic col musical, ma soprattutto per lo slittamento del contesto politico-sociale, per quello spirito di distruttiva ribellione che in Joker anticipava l’assalto al Campidoglio del 2021, intercettando una rabbia in pulsante divenire, e che in questo Joker: Folie à Deux è derubricato a qualcosa di più meschino, meno politico, soprattutto meno rischioso sul fronte hollywoodiano. In estrema sintesi, una scrittura che è riscrittura che è normalizzazione. La stessa parabola popolare di Arthur Fleck\Joker, in fin dei conti, si era compiuta ed esaurita già nel 2019, come ribadito dallo stesso regista e sceneggiatore a pochi giorni dal Leone d’oro: «il film non è stato impostato per avere un sequel. L’abbiamo sempre presentato come un unico film, e basta». Amen.
Gettati i buoni propositi alle ortiche, venuto a mancare il paracadute scorsesiano, a Joker: Folie à Deux non basta però la forma musical, coperta di Linus che si rivela presto fin troppo corta. Anche perché, a ben guardare, questo sequel è in buona parte una semplice variazione, quasi un auto-remake (come d’altronde molti sequel) cantato e danzato, con la macrosequenza giudiziaria che toglie fin troppo terreno e respiro al «folle e temerario» cambio di pelle. Non basta la strizzatina d’occhio affidata a uno spento Harvey Dent per mantenere viva la fertile ambiguità metanarrativa di Joker, come non basta Brendan Gleeson per dare davvero corpo a un personaggio e spessore al claustrofobico e malato contesto carcerario.

Il tentativo di scardinare le consuetudini del cinema mainstream, qui nel suo apice pop dei cinecomic, in questo secondo capitolo passa proprio attraverso il ricorso alle attuali icone del grande pubblico, con Lady Gaga chiamata in teoria a impreziosire delle cover e a dare spessore alle nuove canzoni. E in parte è effettivamente così. Ma il cortocircuito tra prudenza e ipotetico coraggio non casca purtroppo tanto lontano dall’albero, dalla volontà della casa madre di cavalcare l’idea di un DC Black. In fin dei conti, lo stesso prologo animato, non tra le cose migliori realizzate dal pur talentuosissimo Sylvain Chomet, è già una duplice dichiarazione d’intenti e una chiave di lettura del film, sia sul piano narrativo sia sul piano produttivo. Il conflitto di Io e la mia ombra non si limita infatti ad anticipare la linea narrativa di Joker: Folie à Deux, ma porta con sé anche questa fatale frizione tra creatività e (ri)scalata al box office. Il tradimento definitivo dell’idea di stand-alone. Come Fleck, anche Phillips dovrà forse fare i conti con la sua voce interiore, coi fan(atici) e forse persino coi corridoi di Hollywood e dintorni.

Info
La scheda di Joker: Folie à Deux sul sito della Biennale.

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