Roma 2024
143 titoli tra lungometraggi, corti, e serie. Questi i numeri che certificano Roma 2024 come evento monstre, che tenta di espandersi alla grandezza della città. Ma è questa la soluzione migliore per una kermesse che in quasi venti anni di vita ha faticato a trovare una sua dimensione riconoscibile?
La conferenza stampa di Roma 2024, diciannovesima edizione di ciò che ora si chiama Rome Film Fest ma che in passato ha cambiato più denominazioni (Festa del Cinema, Festival Internazionale del Film ecc.), si apre con Salvatore Nastasi, nuovo Presidente della Fondazione Cinema per Roma, che certifica come non esista al mondo un evento come quello capitolino. Al di là della dichiarazione abbastanza roboante, e che non ha forse completa cognizione del sistema globale dei festival – si pensi a realtà come Busan, o Toronto, senza neanche mettere in campo la Berlinale -, è interessante annotare come Roma 2024 funga in qualche misura da nuovo, ennesimo punto di ripartenza per una kermesse che in quasi venti anni di vita non ha ancora avuto modo di trovare una sua collocazione definitiva, quasi fosse un corpo adolescente, in crescita, e quindi in sempiterno divenire. Ma è giunto il momento di assestarsi, o così sembra suggerire il diktat odierno. È giunto il momento di divenire realtà consolidata. Un’impresa non così semplice, a dirla tutta, ma la cui sfida viene interpretata da Nastasi, dalla direttrice Paola Malanga e dal suo staff come l’occasione per fondere il festival al territorio; ecco dunque che quel che avverrà tra il 16 e il 27 ottobre all’Auditorium Parco della Musica e dintorni assume le dimensioni gargantuesche della Capitale, e si espande a macchia d’olio, sia per quel che concerne i luoghi che per il numero di titoli selezionati, che conti alla mano raggiungono la ragguardevole cifra di 143 (e l’elenco non è ancora finito, stando alle parole di Malanga, perché alcuni film verranno aggiunti nelle prossime settimane), tra lungometraggi, corti, serie, recuperi del passato. E se è vero che Roma 2024, contrariamente per esempio a Venezia, ha il dovere di coinvolgere una cittadinanza che consta di alcuni milioni di persone, l’impressione che l’ipertrofia dominante un po’ dappertutto nelle strutture festivaliere internazionali abbia preso la mano anche in questa occasione è davvero forte. Al di là delle scelte fatte, che potranno essere giudicate solo ed esclusivamente al termine del festival, sarebbe probabilmente da ripensare l’intero impianto di questi giganti, che masticano titoli come fossero caramelle senza aver modo di difenderli nel modo adeguato, e di proteggerli dalle intemperie di un rapporto con il pubblico sempre più difficoltoso. Perché se è certo che gli spettatori romani saranno giustamente ben contenti… [continua a leggere]