Gli equilibristi

Gli equilibristi

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Un film sulla crisi della classe media: Gli equilibristi di Ivano De Matteo affonda il discorso con sicurezza e con un eccellente Valerio Mastandrea come protagonista.

Discesa agli inferi

Giulio ha quarant’anni e una vita apparentemente tranquilla. Una casa in affitto, un posto fisso, un’auto acquistata a rate, una figlia ribelle ma simpatica e un bimbo dolce e sognatore, una moglie che ama e che tradisce. Quando il tradimento di Giulio viene scoperto la sua favola improvvisamente crolla. Ma cosa accade a una coppia che ai nostri giorni “osa” separarsi? [sinossi]

Tra i meriti evidenti del cinema di Ivano De Matteo, giunto con Gli equilibristi alla sua opera terza, c’è quello di scontrarsi con la realtà contemporanea senza alcuna intenzione di edulcorarla o svilirla. Nella sua precedente sortita nel lungometraggio, l’ottimo La bella gente (rimasto inspiegabilmente inedito dopo la sua presentazione all’interno del programma del Torino Film Festival del 2009), a essere indagato e preso di mira era l’universo della borghesia ‘radical chic’, sospinta da ideali che le è difficile – o forse impossibile – trasformare in reale pratica quotidiana. Il terreno di ricerca sociale de Gli equilibristi è invece assai differente: niente ville con piscina nella campagna umbra, niente “opere di bene” da dispensare a favore di immigrate costrette alla prostituzione, nessun circolo intellettuale del quale far parte. Giulio lavora agli sportelli del comune, con una busta paga di 1200 euro, mentre sua moglie è segretaria in uno studio medico: non hanno interessi particolari, non frequentano nessuno, non seguono la vita politica (Giulio diserta anche la riunione sindacale alla quale in un primo momento aveva assicurato la presenza). Sono la classe media, sempre meno rappresentata da una produzione italiana che sembra amare esclusivamente gli opposti: o gli scranni del potere e gli arrampicatori sociali che ambiscono alla scalata, oppure gli ultimi tra i derelitti, schiacciati dallo stato sociale.

De Matteo ha dunque il coraggio di fissare l’occhio dell’investigazione in quella terra di mezzo abbandonata al proprio destino dalla Settima Arte nostrana, e di metterne in rilievo le crepe che la stanno sospingendo con sempre maggiore rapidità verso il basso. La trama su cui si regge Gli equilibristi fa tornare alla mente un film misconosciuto come Hotel paura di Renato De Maria, che nel 1995 squarciava il velo della cecità sul sogno capitalista, narrando la rovinosa discesa agli inferi di Sergio Castellitto che, persi lavoro e famiglia, si riduceva a vivere come un barbone alla Stazione Centrale di Milano: un’opera diseguale, ma che vista a distanza di quasi due decenni appare fortemente profetica sul destino dell’Italia. Rispetto al film di De Maria Gli equilibristi ha il pregio di saper dominare con maggior sicurezza gli snodi narrativi, evitando l’esasperazione dei contenuti e senza lasciarsi prendere la mano dagli umori dei personaggi: a suo modo rigoroso, sia nella scelta degli stili interpretativi che nella fotografia lavorata da Vittorio Omodei Zorini, Gli equilibristi scava nella vita quotidiana di Giulio e dei suoi familiari con un naturalismo esaltato dall’ottimo lavoro nella scrittura dei dialoghi. Laddove sarebbe stato facile, e persino remunerativo, portare alle estreme conseguenze la romanità dei personaggi e delle ambientazioni – il film trasuda un’anima popolare viva, pulsante, e finalmente credibile dopo decenni di cliché cinematografici sulla Città Eterna – De Matteo preferisce la via del naturalismo, senza abbandonare per strada la vivacità gergale ma allo stesso tempo facendo in modo che questa non cannibalizzi l’essenza primaria della pellicola. Perché Gli equilibristi è un film sulla crisi che non ha alcuna paura di scontrarsi vis à vis con gli aspetti più sgradevoli della vicenda: se il piano sequenza iniziale, con la steadycam che svolazza nella sala degli archivi cogliendo solo di sfuggita Giulio e la sua amante impegnati in un amplesso clandestino, sembra voler donare aria alla storia, il resto del film si fa con il passare dei minuti sempre più ansiogeno e angosciante, fino a raggiungere il punto di non ritorno nella sequenza dei gonfiabili (con Giulio che non può permettersi di pagare le giostre a suo figlio e all’amichetto di scuola) e nell’atroce e insostenibile cena di Natale. La totale dissoluzione umana di Giulio (interpretato da un Valerio Mastandrea come sempre ai limiti dell’eccellenza: sarebbe ora che anche la critica riconoscesse i meriti di una generazione di attori che non può quasi mai contare su sceneggiature e registi in grado di valorizzare le loro capacità) è tratteggiata con acutezza. De Matteo non lesina critiche all’Italia contemporanea, sia nei ripetuti accenni all’incompetenza e alla cialtroneria dell’istituzione comunale capitolina, sia nello sguardo – sincero e finalmente non paternalistico – sul multiforme insieme delle comunità di immigrati, e sembra poter maneggiare una verità semplice e al contempo completamente dimenticata da chi ha fatto cinema negli ultimi due decenni.

Resta al contrario l’amaro in bocca per una parte finale in cui il ritmo accelera senza una reale motivazione, con i nodi che devono venire al pettine nonostante siano palesemente forzati: l’idea della quadratura del cerchio, che inizia a prendere corpo proprio dopo la succitata scena della cena del 25 dicembre, mal si sposa con quanto messo in scena fino a quel momento. In un film che vuole essere un’istantanea sulla condizione di un uomo e di una famiglia, in grado di ergersi a simbolo di una nazione in crisi – politica, morale, etica, sociale –, stona trovarsi a tu per tu con un finale che non lascia nulla all’interpretazione dello spettatore. Senza questa improvvisa – per quanto non irreparabile – caduta di stile, Gli equilibristi si sarebbe potuto segnalare come uno dei film italiani più puntuali e consapevoli degli ultimi anni, anche grazie alla regia di De Matteo, che coniuga esibita (anche troppo?) eleganza formale a una ruvida ricerca della sincerità negli occhi dei personaggi. È ancora presto per affermarlo con decisione – al Lido devono essere presentati i film di Marco Bellocchio, Daniele Ciprì e Francesca Comencini – ma l’impressione è che Gli equilibristi non avrebbe sfigurato nel concorso ufficiale.

Info
Il trailer di Gli equilibristi.
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