Psycho Raman

Psycho Raman

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Anurag Kashyap torna sulla Croisette con Psycho Raman, per approfondire ulteriormente il discorso sul peccato e il crimine nella società indiana, dove tutto è meticciato e bene e male si specchiano l’uno nell’altro.

Chi è senza peccato…

Mumbai. Ramanna, un omicida seriale affascinato da uno psicopatico degli anni Sessanta, e Raghavan, un giovane ispettore di polizia, si lanciano in una lotta senza esclusione di colpi. Ma chi è davvero a cacciare l’altro? [sinossi]

Nell’intervista che aveva concesso a Quinlan lo scorso agosto al Festival di Locarno, Anurag Kashyap rispondeva così a una domanda di Giampiero Raganelli: “Bollywood sta cambiando, e ci sono anche film senza canzoni, come per esempio Lunchbox. Ci sono molte cose buone che stano iniziando con la nuova generazione di registi. Qui a Locarno c’è anche Thithi di Raam Reddy. Infatti come vedi molti film di Bollywood stanno attirando l’attenzione dei grandi festival internazionali”. Una lettura piuttosto precisa della realtà, se è vero che due dei colpi al cuore dell’ultima edizione della Mostra di Venezia sono stati inferti da Interrogation di Vetri Maaran e For the Love of a Man di Rinku Kalsy.
In realtà la sessantanovesima edizione del festival di Cannes non sembra particolarmente attratta da ciò che avviene a Bollywood, Tollywood, Kollywood, Sandalwood, Mollywood e dintorni (pensare il cinema indiano in modo generico come Bollywood è un errore grave, e che non tiene conto delle miriadi di culture, lingue e religioni che attraversano il subcontinente). Ma alla Quinzaine des réalisateurs, come d’abitudine, approda il nuovo film di Kashyap, che nella sezione collaterale sulla Croisette è stato presente nel corso degli anni già con il fluviale Gangs of Wasseypur e con Ugly (Bombay Talkies fu invece eletto tra le “séances spéciales”).

Psycho Raman di primo impatto può lasciare interdetto anche lo spettatore avvezzo al cinema di Kashyap: se lo stile si mantiene in linea con quanto già messo in scena in precedenza, la struttura narrativa – articolata attraverso diversi capitoli che non seguono necessariamente una linea temporale continua, ma si muovono piuttosto in direzione di un approfondimento psicologico delle diverse parti in causa – appare più complessa, schizoide quasi quanto i due protagonisti. Ed è nella loro caratterizzazione che si rintraccia non solo il senso più profondo di Psycho Raman, ma anche la base della poetica del regista indiano. Come già le opere citate in precedenza, in particolar modo Ugly, anche Psycho Raman sfrutta l’escamotage del thriller ad alta tensione per squarciare il velo della cecità per quel che concerne l’India, elefante moribondo e ripiegato su se stesso che schiaccia il popolo come se non si trattasse altro che di formiche.
Una nazione allo sbando, dominata dalla corruzione, economica e politica ma prima ancora morale: per questo Ramanna e Raghavan sono due facce della stessa moneta, anche se il primo si diverte ad ammazzare la gente e il secondo sulla carta dovrebbe impedirlo. Ramanna, per quanto distorto questo possa sembrare, agisce seguendo una morale: non uccide a caso, colpendo “solo” chi secondo lui si comporta in maniera ipocrita. Se prende il nome d’arte da quello di uno dei principali serial killer della storia indiana (Raman Raghav, che ammise di aver ucciso decine di persone nel corso degli anni Sessanta), è perché ne riconosce l’istinto predatorio, l’affermazione di un diritto superiore, incomprensibile agli occhi degli altri. Raghavan, al contrario, non mette in pratica nessuno dei buoni propositi che dovrebbero guidarlo, è violento con la fidanzata, si fa beffe lui per primo della legge (ad esempio sniffando cocaina a ogni pie’ sospinto): se persevera nella sua ricerca dell’assassino è solo per meccanico dovere verso il proprio ruolo, e perché non ha alcuna intenzione di apparire “sconfitto”.

Ramanna e Raghavan, due nomi che fondono insieme quello dell’efferato e folle assassino. L’identificazione dell’uno nell’altro si fa via via più evidente anche per il modo in cui Kashyap decide di inquadrarli, inserendoli in un contesto caotico nel quale sanno muoversi con una notevole maestria, senza mai perdere di vista il proprio obiettivo. Se da principio Psycho Raman sembra adempiere a dei doveri puramente “popolari”, cedendo di fronte a una struttura troppo contorta al punto da dover procedere per singole sequenze aneddotiche – alcune mirabili, come l’irruzione di Ramanna nella casa dove la sorella che l’ha ripudiato vive con il marito e il figlioletto –, poco per volta il film assume una forma definita. Qui Kashyap dà un saggio della propria capacità di gestire il genere e utilizzarlo a proprio piacimento, facendo sprofondare Psycho Raman in un vortice di angoscia, paranoia e violenza gratuita dal quale non si riesce mai a uscire rigenerati per respirare. Si soffoca, nella visione di questo thriller, schiacciati come quel popolo che ha visto collassare su di sé l’elefante moribondo dello Stato. Se qualcuno cercava ancora conferme sul ruolo centrale di Kashyap nel panorama dell’action, del poliziesco e del thriller contemporaneo, in Psycho Raman le troverà.

Info
Il trailer di Psycho Raman.
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