La loi de la jungle

La loi de la jungle

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Esuberante, scomposto, incontrollato. La loi de la jungle di Antonin Peretjatko è una satira vertiginosa sull’ossessione imperialista della Francia. In Festa mobile al Torino Film Festival.

Addio Marianne bella

Quando il governo francese decide di lanciare il turismo invernale nei suoi territori in Guiana, spedisce l’impacciato funzionario del ministero delle normative e degli standard, Marc Châtaigne, a supervisionare la costruzione delle piste da sci. Approdato in America centrale, lo sprovveduto burocrate si trova a fare i conti non solo con la scarsa ospitalità della giungla, ma anche con una collega dall’aspetto provocante e dall’attitudine poco collaborativa. [sinossi]

È sempre più raro vedere, persino ai festival, film francesi che esulino dalla norma del bel prodotto d’oltralpe, ben confezionato, in fin dei conti educato ed edulcorato, in certo modo aristocratico. Questo, ad eccezione dei grandi autori. Così, il fatto di veder catapultato al Torino Film Festival in Festa mobile, sezione fuori concorso quest’anno avara di sorprese, un film come La loi de la jungle di Antonin Peretjatko non può che far piacere.
Baraonda incontrollata di frenetici colpi di scena, pochade irriverente che affonda le sue radici nella tradizione teatrale e popolana transalpina, La loi de la jungle vede Vincent Macaigne (semplicemente magnifico) nei panni di un funzionario ministeriale che deve approvare un progetto folle nella Guiana francese: una pista sciistica al coperto in uno dei territori più caldi del mondo!
Giunto sul posto, il nostro si trova ad aver a che fare con le decadenti derive dell’imperialismo del suo paese: gli altri funzionari dello Stato che si trovano lì, tra cui un Mathieu Amalric purtroppo poco utilizzato, sono anch’essi vittime della discrasia tra la presunta superiorità della civilizzazione occidentale e la primigenia forza della natura che tutto stravolge e sconvolge. E di lì a poco lo stesso protagonista ne farà le spese, finendo per perdersi nella giungla in compagnia del suo autista, Tarzan, che – a dispetto del nome – è una ragazza molto avvenente.

Avventuroso secondo un’ottica fumettistica quasi d’altri tempi, spassoso per lunghi tratti, quasi abbacinante per l’innumerevole serie di trovate che assomma, La loi de la jungle è però soprattutto una arguta satira della presunzione francese, del bon ton, dell’irrealistica volontà di dominio francofono nei confronti del resto del mondo. Una volontà di dominio che, proprio perché impossibile a realizzarsi, si risolve in una irrazionalità incontrollata, in una confusione totale di segni e simboli. Non sorprende perciò che, sin dall’inizio, nel momento in cui si assiste all’incontro tra il personaggio interpretato da Macaigne e il Ministro della Norma, quest’ultimo dispieghi una serie di ragionamenti insensati, quale estremo e grottesco rappresentante di un sistema completamente impazzito e ormai non più funzionante. Lo stesso Macaigne d’altronde viene insignito di un ruolo di responsabilità, ma non viene pagato, in quanto stagista; e nella sua stessa situazione si trova anche l’autista Tarzan. Mentre, nel frattempo, un esattore tormenta il povero Macaigne e gli distrugge casa, per poi scoprire di aver sbagliato indirizzo. Le ingiustizie quindi, sia pur mostrate sempre su di un piano comico, e i progetti criminosi su cui poter lucrare, a partire proprio dalla pista sciistica, si sommano le une sugli altri fino a comporre il ritratto di una nazione scombussolata. E allora non sorprende che, come sorta di chiosa simbolica, Antonin Peretjatko ci mostri una statua della Marianne, simbolo della République, sperduta nel mezzo della giungla.

Quel che in parte segna il limite di La loi de la jungle è il suo indefesso contare sulle trovate singole, a scapito perciò di una narrazione altalenante soprattutto nella parte centrale, quando i protagonisti sono sperduti nella giungla e trovano un paio di personaggi che poco contribuiscono ad arricchire la fauna sregolata e sragionante del film.
Ma, come dire, ce ne fossero di film così: autenticamente anarchici, adepti dello sberleffo e incuranti delle buone maniere.

Info
La scheda di La loi de la jungle sul sito del Torino Film Festival.
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