Il padre d’Italia

Il padre d’Italia

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Troppi cliché e poca voglia di rielaborarli fanno di Il padre d’Italia di Fabio Mollo un road movie in stile anni ’90 fuori tempo massimo.

La vita sognata da Paolo

Paolo ha 30 anni e conduce una vita solitaria. Il suo passato è segnato da un dolore che non riesce a superare. Una notte, per caso, incontra Mia, una prorompente e problematica coetanea al sesto mese di gravidanza, che mette la sua vita sottosopra. Spinto dalla volontà di riaccompagnarla a casa, Paolo comincia un viaggio al suo fianco che porterà entrambi ad attraversare l’Italia e a scoprire il loro irrefrenabile desiderio di vivere. [sinossi]

Il background di un regista è importante, e ancor di più lo è l’immaginario culturale e nazionalpopolare in cui è stato immerso negli anni dell’adolescenza. Seppur ancora esigua, la filmografia del regista calabrese Fabio Mollo, pare già mostrare in tal senso una sua ben precisa identità, fatta di una mai del tutto riconciliata malinconia nei confronti della propria terra d’origine, che però, pur nelle sue varie declinazioni, rischia alla lunga di costituire un limite al suo orizzonte cinematografico. Premiato al Festival di Roma nel 2013 per il coming of age Il Sud è niente con il Premio Camera d’oro Taodue, Mollo ha poi continuato a raccontare la sua Calabria con Vincenzo da Crosia, documentario dedicato a un quindicenne della provincia di Cosenza, che nel 1987 dichiarò di comunicare con la Madonna.

Il sud, con le sue famiglie matriarcali, il sole a picco o intento ad esibirsi in abbacinanti tramonti, i rituali popolari e religiosi, segreti e bugie, lasagna o parmigiana di melanzane al pranzo della domenica, nonne rugose e nerovestite, torna dunque anche nel nuovo film del giovane regista, Il padre d’Italia. Questa volta però il Sud è un approdo e non più un luogo da cui fuggire (come in Il Sud è niente), ma il volgersi alle radici è collegato nuovamente a un percorso di crescita personale che coinvolge due “dropout” on the road, le cui caratteristiche principali (ben evidenti fin dal loro primo incontro) consentono oltretutto di lambire questioni sociali di una certa urgenza. Incinta lei, gay lui, Mia (Isabella Ragonese) e Paolo (Luca Marinelli) si incontrano al rallenty in un locale per soli uomini. Lei sviene addosso a lui, lui la porta in ospedale e da lì non riuscirà più a separarsene. Viaggeranno verso il meridione (quando si incontrano sono a Torino) in cerca di un (possibile) futuro.

È una storia quasi elementare quella raccontata da Il padre d’Italia che infatti fatica a liberarsi di certi cliché legati al film di viaggio e non riesce a mostrare in filigrana uno scopo narrativo che vada oltre la lista di tappe e incontri previsti lungo il tracciato. Lei è tanto sciroccata – davvero poco convincente e priva di sfumature la performance della Ragonese -, lui è tanto serio, al punto che riesce a liberarsi del suo grigiore solo quando si esibisce in un exploit canoro sulle note di Il mare d’inverno, cosa che rischia di diventare un fardello ineludibile per Luca Marinelli, dopo la strabordante esibizione in Lo chiamavano Jeeg Robot (lì si trattava di Un’emozione da poco). Inoltre, Mia aspetta una bambina e la cosa non la entusiasma molto, mentre Paolo è stato da poco lasciato dal fidanzato, proprio perché quest’ultimo desiderava mettere su famiglia.

Il padre d’Italia è dunque soprattutto un film incentrato sul contrasto caratteriale tra i suoi protagonisti, tra l’esuberanza, fin troppo “gridata” del personaggio femminile e l’aspirazione, qui tutta maschile, a una vita che assomigli il più possibile quella comunemente considerata “normale”. Per cui ecco che il sogno inconffessato di Paolo si esplicita, in maniera fin troppo discascalica, in quel suo sguardo insistito su un cartellone pubblicitario dell’Ikea family card. L’altro elemento che tiene insieme la struttura episodica e le crisi esistenziali dei personaggi appartiene invece tutto a Mollo e al suo milieu di riferimento, che non è solo la Calabria, meta del viaggio e del film, ma anche quel che resta di un certo immaginario pop anni ’90, riecheggiato dalle scelte musicali, dall’apparizione di un vecchio registratore a musicassette, dalle referenze cinefile che di quando in quando emergono nel corso della storia.

Ecco allora che il viaggio dei due protagonisti di Il padre d’Italia va a omaggiare nel corso di una scena al mare (lei insegna a lui a nuotare) Il ladro di bambini di Gianni Amelio (1992), o ancora il percorso verso sud e lo status di disadattati dei due rispecchia quello dei personaggi del Verso Sud di Pasquale Pozzessere (1992), i capelli fluorescenti di lei e la musica electro-pop riportano alla mente Lola corre di Tom Tykwer (1998).
Quanto alle scelte registiche di Mollo, queste si rivelano piuttosto anodine nella prima parte del film, quasi compresse da location in cui l’autore non nasconde un certo disagio, in attesa di aprirsi a qualche entusiasmo e a dettagli osservati con maggiore acutezza (il classico “non finito” dell’edilizia calabrese, l’arredamento assai realistico degli interni domestici) con l’approdo nell’amata/odiata Calabria. Ma qualche scelta vistosamente kitsch tradisce il riferimento a uno stile videoclipparo fuori tempo massimo (i videoclip non sono più d’altronde il fenomeno di massa di un tempo), come quando vediamo l’esuberante Mia correre al rallenty tra i vicoli di Napoli tra le volute di un abito da sposa appena rubato, o ancora quando la vediamo ricoperta solo da una tenda trasparente nei panni agiografici di neo-Madonna velata.

E infine, Mollo rivela un sottile velo d’ipocrisia proprio nell’affrontare quei temi “scottanti” che il suo film lambisce appena per non turbare troppo lo spettatore benpensante, per garantirsi un passaggio televisivo, magari in prima serata. Ecco allora che il locale notturno dedicato a incontri omosessuali è avvolto in una densa oscurità da cui emergono sagome virili fuori fuoco sotto faretti, naturalmente, a luce rossa e ancora, il discorso sulla paternità omosessuale è ridotto a una generica considerazione su cosa sia “naturale” o meno.
Si dirà che probabilmente né la maternità né la paternità omosessuale volevano essere i temi centrali di questa commedia drammatica on the road, ma sarebbe stato meglio, in ogni caso, che un argomento, di forte impatto sociale o meno, fosse stato davvero messo a fuoco.

È necessario forse iniziare a fare delle considerazioni più ponderose e meno condiscendenti sul nostro cinema e sul suo atavico moralismo, se anche i giovani autori, per parlare di questioni più che serie, finiscono per nascondersi dietro uno stile gradevole e una confezione nostalgica, pur di andare incontro a un pubblico che si pensa sempre più retrivo di quello che magari è. Bisogna essere più ottimisti e un po’ meno pop.

Info
Il trailer di Il padre d’Italia.
La scheda del film sul sito del distributore Good Films.
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