Death Race

Death Race

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Ben diretto da Anderson, Death Race regala qualche sorriso, qualche scazzottata e una sottilissima suspense legata ai veri motivi che hanno portato all’arresto di Ames. Insomma, quanto basta per consegnare allo spettatore una bella dose di azione, sgasate, esplosioni, cadaveri e curve da brivido.

La morte corre sull’asfalto

2012, la nazioni sono in crisi: disoccupazione e criminalità salgono ai massimi livelli. Il sistema carcerario collassa. Il governo degli Stati Uniti lo affida a delle corporazioni private, che tentano di ricavarne il massimo profitto trasmettendo via web delle gare mortali tra carcerati. La più famosa è la Death Race, una gara a bordo di auto corazzate, modificate per trasportare armi di vario tipo… [sinossi]

Era il lontano 1975 quando Paul Bartel, sotto l’occhio vigile del produttore Roger Corman (un nome, una garanzia), firmava la regia di quello che da lì a qualche stagione sarebbe diventato un cult del cinema di serie B, Anno 2000 – La corsa della morte (Death Race 2000). Fonte di ispirazione e plagio nei decenni successivi, la pellicola di Bartel, che nel 1978 trovò in I gladiatori dell’anno 3000 di Henry Suso il peggiore dei sequel possibili, portava sullo schermo le iperboliche e folli manovre a tutto gas del duo Stallone-Carradine. Il plot si consumava durante una lunga corsa coast to coast in un’America proiettata nel nuovo millennio, quando lo sport nazionale era l’automobilismo estremo e l’unico modo per vincere era quello di investire più pedoni possibili. Provocatorio e irriverente, in equilibrio tra l’azione pura e la parodia volutamente volgare e truculenta, il film non ha eguali negli inconsistenti tentativi di clonazione post anni Settanta riconducibili alla cinematografia indipendente a stelle e strisce, ma solo altalenati prove mainstream partorite dalla Hollywood delle major nel ventennio che va dalla metà degli anni Novanta al primo decennio del Duemila. Pellicole, quest’ultime, che spingono l’acceleratore stilistico e narrativo sull’azione e l’hi-tech dei bolidi motorizzati che percorrono a tutta velocità le piste designate come circuito. Action-movie ricchi di adrenalina che puntano tutto sulla componente visiva e sull’intrattenimento, riducendo al minimo indispensabile la cura dello script e la costruzione dei personaggi. Basi stilistiche sulle quali puntare per dare forma e poca sostanza drammaturgica a film come Initial D, Biker Boyz, Torque, Strada a doppia corsia, gli episodi della serie Fast and Furious e a tutto il resto degli action a due e quattro ruote ambientati nel mondo delle drag racing.

Era inevitabile, quindi, che qualcuno prima o poi tornasse a confrontarsi direttamente con l’originale, firmando quello che è a tutti gli effetti un remake e non una variazione sul tema. Il regista in questione è Paul W.S. Anderson e il film è Death Race. Messe da parte chi sa per quanto le trasposizioni per il grande schermo di videogame di successo come Resident Evil e Mortal Kombat, il regista inglese tiene sempre presente gli ingredienti alla base della matrice originale per poi distaccarsene intelligentemente, cosciente che l’unico modo per non sbagliare fosse quello di conservare intatte alcune componenti e attualizzarne altre. Da qui la decisione di cambiare totalmente l’ambientazione, catapultando storia e personaggi in un carcere di massima sicurezza battezzato Terminal Island, dove nell’anno domini 2012 telecamere di sorveglianza filmano e mandano in rete corse clandestine che vedono al volante alcuni dei migliaia di detenuti ospitati nel penitenziario. Si passa dunque dai tracciati cittadini improvvisati al tremendo e avvincente circuito costruito all’interno della prigione, sul quale ogni giorno rifiuti di una società ormai allo sbando si affrontano a bordo di bolidi truccati e armati fino ai denti alla ricerca di una vittoria che significa libertà immediata. Tra di loro c’è Jensen Ames, operaio ex-pilota professionista ingiustamente accusato di aver ucciso la moglie, qui interpretato manco a dirlo da Jason Statham, scelta azzeccatissima e studiata a tavolino dalla produzione vista la sua precedente e fortunata esperienza nella serie The Transporter.

Death Race non convince completamente, ma diverte ogni qualvolta i prigionieri indossano tuta e casco e si lanciano a 300 km/h sul circuito, regalando adrenalina e manovre pirotecniche al pubblico in sala e a quello che, per assistere alle corse, acquista in pay per view lo spettacolare evento comodamente seduto sul divano del salotto di casa. Anderson filma le sequenze d’azione in maniera perfetta, trasforma il tutto in un coinvolgente mix di stili e modi di fruizione, mescolando schermate e grafica da videogioco alle riprese multi-camera tipiche della modalità di scelta televisiva con la quale, da qualche anno a questa parte, i canali satellitari e generalisti offrono al proprio abbonato la possibilità di vedere sul piccolo schermo le corse automobilistiche. Dall’altra parte la pellicola regala qualche sorriso, qualche scazzottata e una sottilissima suspense legata ai veri motivi che hanno portato all’arresto di Ames. Insomma, quanto basta per consegnare allo spettatore una bella dose di azione, sgasate, esplosioni, cadaveri e curve da brivido.

Info
Il trailer originale di Death Race.
Death Race sul canale Film su YouTube.
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