The Land of Cards

The Land of Cards

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Q pone la firma in calce a un’opera orgogliosamente post-punk, in cui anche il colore è utilizzato in modo eversivo. Spiazzante ed esaltante allo stesso tempo, The Land of Cards rammenta a coloro che ne avessero smarrito la memoria quanto il cinema possa essere rivoluzionario nell’utilizzo stesso delle tecniche e degli stili. Come le immagini delle proteste di massa che accompagnano, ultima ghignante posa barricadera, i titoli di coda.

Stato e Rivoluzione

C’era una volta un narratore. In una solitaria stazione ferroviaria, da qualche parte a Kolkata, parla ai treni. Il suo desiderio è di poter raccontare una storia, che non è nuova, ma per lui è l’unica che valga la pena raccontare. Dalle tenebre della sua mente, questa storia scatena un caleidoscopio di fantasia. C’era una volta un principe, vittima del suo destino, bandito con la madre e recluso in un palazzo/prigione oscuro e lontano. Lì cresce, senza speranza né futuro, con la madre decisa ad affogare i propri dolori nell’alcool: nella sua depressione il principe può contare solo sull’amicizia con il figlio di un mercante… [sinossi]
The Queen had only one way of settling all difficulties, great or small.
‘Off with his head!’ she said, without even looking round.
Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland.

La figura di Rabindranath Tagore ricopre ancora oggi, a più di settant’anni dalla sua morte, un ruolo di primaria importanza all’interno dello sviluppo della cultura indiana contemporanea: filosofo, poeta, drammaturgo, romanziere, Tagore ha trasformato in parola e atto (scenico) un’etica della non violenza e della democrazia – intesa nel suo senso più strettamente etimologico – tutt’ora attuali nel panorama politico dell’area indiana. L’immarcescibile potere politico e immaginifico della sua opera è reso evidente anche in The Land of Cards, adattamento cinematografico di uno dei più noti lavori di teatro-danza di Tagore firmato dal giovane cineasta indiano Kaushik Mukherjee, conosciuto dagli addetti ai lavori con lo pseudonimo Q. Tasher Desh – questo il titolo originale in hindi dell’opera – irrompe sul proscenio della settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma con la deflagrante potenza distruttrice di un ordigno nucleare: selezionato all’interno dei lungometraggi in concorso per CinemaXXI, il film di Q è una delle materializzazioni possibili dell’idea stessa di kermesse propugnata da Marco Müller, quella che vede il festival come un luogo che accorpi nella stessa anima ricerca e intrattenimento, sperimentazione visiva e racconto popolare, innovazione e classicità. Nell’affrontare la rilettura di The Land of Cards Q – i più attenti alle recenti produzioni indiane serberanno con ogni probabilità memoria del precedente Gandu (Asshole), allucinatorio coming of age che mescolava dramma, sesso e incubo con il quale Q sconvolse la platea della Berlinale nel 2011, dividendo nettamente a metà la critica – mantiene intatto lo spirito dell’originale senza però scendere a patti con esso, e cercando piuttosto di evidenziare la modernità assoluta del testo.

Il racconto allegorico della vita del Principe – i personaggi della pièce, dovendo svolgere una funzione iconica all’interno della messa in scena, sono riconoscibili solo attraverso la loro funzione sociale: il Principe, la Madre, il Narratore, la Regina eccetera – che, bandito dal palazzo reale con sua madre in seguito alle nuove nozze del Re e deciso ad abbandonare gli agi del suo status, mantenuti comunque anche nella sua ricca dimora da esiliato, raggiunge una terra abitata da mazzi di carte nella quale vige una dura e ferrea dittatura di stampo militare, trova sul grande schermo la sua glorificazione. La classe registica di Q, in grado di lavorare sulle geometrie della messa in scena e su un utilizzo quanto mai fertile e creativo della scenografia (la natura dello Sri Lanka, dove il film è stato girato, si mescola alla perfezione con la particolare ricreazione dello spazio voluta dal regista), si abbandona fin dall’incipit in bianco e nero – sulle scelte cromatiche ci si soffermerà con maggior dovizia di particolari in seguito – a una furibonda apocalisse visiva. Il montaggio sincopato, la narrazione ellittica e sconnessa, la recitazione urlata, le inquadrature sghembe fanno di The Land of Cards un elogio della frenesia e del caos che evidenzia, prima ancora che lo faccia il testo in sé e per sé, l’anima profondamente libertaria e antifascista del film. Una scheggia impazzita che attraversa la prassi cinematografica missando al proprio interno la cultura occidentale e quella indiana, ribadendo una volta di più le volontà di Tagore: così come il testo nasceva dall’esigenza di porre l’idea di fabula dell’impero coloniale britannico (il riferimento ad Alice nel Paese delle Meraviglie, che si sarà colto nella dispotica terra dominata dalle carte da gioco, non è certo casuale né pretestuoso) con la base stessa della cultura locale, visti i numerosi riferimenti alle tradizioni musicali indiane e alla Trimurti – in particolare Brahma – il film di Q utilizza stilemi del cinema occidentale e nipponico senza dimenticare il proprio sistema produttivo.

The Land of Cards infatti è un pastiche in cui trovano ospitalità anche il canto e la danza, elementi pronti a interrompere anche la sequenza più concitata. Q pone la firma in calce a un’opera orgogliosamente post-punk, in cui anche il colore è utilizzato in modo eversivo (si passa dal bianco e nero del narratore, al naturale utilizzo della luce nel castello in rovina fino all’esasperazione di contrasto fra bianco, rosso e nero nella terra delle carte da gioco) e un incontro di ping pong dalla brevissima durata può essere risolto registicamente con otto inquadrature diverse. Spiazzante ed esaltante allo stesso tempo, The Land of Cards rammenta a coloro che ne avessero smarrito la memoria quanto il cinema possa essere rivoluzionario nell’utilizzo stesso delle tecniche e degli stili. Come le immagini delle proteste di massa che accompagnano, ultima ghignante posa barricadera, i titoli di coda.

Info
Il trailer di The Land of Cards.
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