Noah

Pur prendendo spunto dalla Genesi, Noah disperde fin dalle primissime sequenze qualsiasi possibile riallaccio a una riflessione antropocentrica (e antropologica) sulla Bibbia, accontentandosi di scalfire solo ed esclusivamente la superficie fantastica del racconto. Aronofsky si confronta con la storia del diluvio universale, trasformandola in un fantasy poco avvincente. Al Bif&st 2014.

Il signore delle arche

Noè, la cui famiglia è l’ultima a discendere dalla stirpe dei fedeli al Creatore, ha delle visioni riguardo un diluvio apocalittico che si abbatterà sulla Terra distruggendo la razza umana. A lui il Creatore affida il compito di costruire un’arca per portare in salvo gli innocenti, vale a dire gli animali non umani che popolano il mondo… [sinossi]
Ci son due coccodrilli
e un orango tango
due piccoli serpenti
un’aquila reale
il gatto, il topo e l’elefante
non manca più nessuno,
solo non si vedono i due liocorni…
Filastrocca

“Aussitôt que l’idée du Déluge se fut rassise, un lièvre s’arrêta dans les sainfoins et les clochettes mouvantes et dit sa prière à l’arc-en-ciel à travers la toile de l’araignée.”
Inizia così Après le Déluge, gemma dell’arte poetica di Arthur Rimbaud raccolta nelle Illuminations: il diluvio universale diventa nelle mani del giovane poeta francese l’occasione per riflettere sulla tanto amata rivoluzione comunarda, sul suo fallimento (concreto) e sulla sua vittoria (ideale). Un diluvio rivoluzionario che non ha bisogno di dei né di apocalissi, ma di uomini in lotta, favola della rivolta che si trasforma inevitabilmente anche in autoanalisi ironica, dolorosa e priva di compromessi.
Ha invece bisogno di Dio (o, per rispettare l’ebraica impossibilità alla pronuncia del suo nome, del Creatore) il Noè tormentato eppure fedele alla linea, anche quando non c’è, descritto da Darren Aronofsky in Noah, ritorno dietro la macchina da presa del cineasta statunitense a quattro anni di distanza dai peana e dalle critiche ricevute in egual misura per Black Swan. Del progetto si parlava da tempo, e lo stesso Aronofsky ha più volte ammesso di aver creduto a tal punto nell’idea di Noah da rifiutare contratti per Man of Steel 2 e Wolverine: L’immortale.

In fin dei conti anche il suo Noè mantiene al proprio interno una forte componente superomistica: alla stessa stregua degli eroi della Marvel o della DC Comics, anche il Noè di Aronofsky ha dei poteri – le visioni, che lo pongono in stretto contatto con il Creatore –, una volontà ferrea, l’assoluta impossibilità di essere compreso a pieno dagli altri uomini, compresi i propri familiari che pure (come nel caso della maggior parte dei supereroi) lo amano in maniera indefessa, sapendo che non potrà far altro che “agire per il bene”.
Pur prendendo spunto dalla Genesi, Noah disperde fin dalle primissime sequenze qualsiasi possibile riallaccio a una riflessione antropocentrica (e antropologica) sulla Bibbia, accontentandosi di scalfire solo ed esclusivamente la superficie fantastica del racconto. Ne viene fuori un fantasy in piena regola, in cui i “Vigilanti”, vale a dire gli angeli che hanno scelto di difendere l’uomo dopo la caduta dall’Eden e per questo sono stati puniti dal Creatore (in teoria tra di loro dovrebbe esserci anche Lucifero, ma non viene mai citato), sono giganti di pietra che riportano alla mente gli Ent, i pastori degli alberi di tolkeniana memoria. Una scelta forse inevitabile, anche vista la materia da trattare, ma che sottolinea la mancanza di finezza con cui Aronofsky ha approcciato Noah.
In Noah, infatti, tutto viene inevitabilmente tagliato con l’accetta, esasperando i contenuti a favore di una semplicità nello svolgimento della matassa che impedisce di approfondire i temi che pure di quando in quando vengono sollevati, come l’obbedienza verso la divinità, il diritto all’omicidio, la crudeltà insita nell’uomo, e via discorrendo. Tutti spunti di riflessione che Aronofsky vorrebbe trattare, fallendo, a volte per l’impossibilità di intesserli in un discorso coerente con l’action apocalittico – è proprio il caso di dirlo – allestito per la messa in scena, più spesso per la pericolosa vena reazionaria che attraversa l’intero film.

Al di là dei chiaroscuri del personaggio principale – a loro volta tratteggiati con mano tutt’altro che lieve – in Noah si avverte la pericolosa tendenza a vedere nell’umanità il male che avrebbe allontanato Dio dalla Terra, un male che Noah vede persino dietro il libero arbitrio (anche l’unica scelta in controtendenza di Noè rispetto ai supposti voleri del Creatore viene giustificata come un’illuminazione ricevuta dal Creatore stesso). L’uomo come massa viene destinato in Noah alla dannazione, senza ripensamento alcuno, eccezion fatta per un timido rimbrotto del figlio Sem al padre: “Non potevano essere tutti soldati”.
Una scelta grave da un punto di vista ideologico, ma sulla quale si potrebbe forse soprassedere (almeno in parte) se l’apparato visionario di Noah fosse quantomeno in grado di irretire la retina. Invece anche la tonitruante stereoscopia lavora solo per accumulo, soffocando qualsiasi impeto autoriale, tanto che non sembra neanche di riconoscere lo stile di Aronofsky. Resta solo, immoto e immutabile, un “dio cattivo e noioso preso andando a dottrina”, per rubare le parole a Luca Carboni.
Il consiglio, se si vuole vedere Aronofsky ragionare con intelligenza sull’immateriale, è quello di recuperare il tanto ingiustamente bistrattato The Fountain: un film imperfetto, forse, ma coraggioso e ricco di fascino e di umana pietas. Tutte doti che mancano a Noah e alla sua genia. Quella che, purtroppo, ha ripopolato la Terra dopo il diluvio…

Info
Noah, il sito ufficiale
Il trailer italiano di Noah.
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