Una pazza giornata di vacanza

Una pazza giornata di vacanza

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Lo spirito di Ferris Bueller, ozioso bohemien anarcoide che fa del gesto gratuito e della scaltrezza le armi per inserirsi nel sistema statunitense senza esserne avvinto, è il centro nevralgico di Una pazza giornata di vacanza di John Hughes, tassello indispensabile per comprendere l’universo dei teen-movie. Con Matthew Broderick, Alan Ruck e Mia Sara.

Twist and Shout

Ferris Bueller, allievo di un noioso liceo americano, decide di marinare la scuola in una bella giornata di primavera. Convince perciò i genitori di sentirsi male e informa i compagni di dover subire un’operazione al rene. Nel frattempo fa credere al preside Rooney che è morta la nonna della sua ragazza, Sloane Peterson, in modo da farla uscire da scuola. Così, Ferris se ne va in giro per Chicago con lei e con Cameron Frye, il suo migliore amico, sulla Ferrari rossa del padre di quest’ultimo, superando la gelosia della sorella minore Jeannie e le sospettose indagini del preside, il quale è deciso a smascherare il vistoso inganno dell’allievo. [sinossi]

Lo si è scritto già in occasione di un articolo su Breakfast Club, vale la pena ribadirlo con forza per Una pazza giornata di vacanza: esiste un cinema interessato alle dinamiche adolescenziali pre e post l’ingresso in scena di John Hughes. Per quanto la sua morte sia sopraggiunta prematura quando però Hughes si era ritirato dalle scene da quasi venti anni (diciotto per l’esattezza, dai tempi dell’incompreso Carly Sue, anno domini 1991), l’impronta lasciata sull’universo dei teen-movie non ha nessuna pietra di paragone possibile, a Hollywood come nel resto del mondo. In un pugno di anni, e a volte limitandosi alla sola scrittura come nel caso di Bella in rosa affidato alle cure di Howard Deutch, Hughes ha letteralmente stravolto il rapporto del cinema statunitense con la pubertà, creando una nuova grammatica della messa in scena del corpo adolescente, tratteggiando le linee guida da seguire, rinverdendo “tipi” che appartenevano a generi adulti. Creando vere e proprie icone, star la cui vita cinematografica fu sovente più breve di quel che si sarebbe potuto immaginare: è il caso di Molly Ringwald, per esempio (tornata proprio in questi mesi alla ribalta grazie a un lucido ed elegante intervento all’interno della discussione generata dalle denunce a Weinstein sull’abuso perpetrato dal potere cinematografico maschile sulle donne, per lo più attrici), ma anche di Anthony Michael Hall, Emilio Estevez, Judd Nelson, Ally Sheedy.
Il merito di Hughes, al di là del nero valore dei film che ha diretto (e che segna spesso uno dei picchi della produzione di commedie nella Hollywood di quegli anni), è stato quello di creare quasi dal nulla un vero e proprio codice, con regole ferree fatte apposta per poter essere eluse e smentite. Un cosmo a sé stante, verrebbe da dire. Un cosmo in cui a regnare non potrebbe essere nessun altro se non Ferris Bueller…

Ferris Bueller’s Day Off, questo è il titolo originale di quello che in Italia venne tradotto in un assai più insignificante Una pazza giornata di vacanza. Un titolo che pone l’accento, con una certa secchezza, sui due punti fondamentali attorno ai quali gira il film. Il primo è il “day off”, la giornata libera dagli impegni scolastici. Il secondo è, com’è ovvio, Ferris Bueller. È difficile, a trentuno anni di distanza dalla realizzazione del film, spiegare quanto fosse innovativa la scrittura del personaggio del protagonista. Sia il suo migliore amico Cameron Frye (che è ricco e ha un burrascoso rapporto con un padre dittatoriale e assente) sia la sua ragazza Sloane – il più frettoloso in fase di sceneggiatura, ma Hughes ha sempre puntato molto sui caratteri femminili, come dimostra in maniera lampante la sua filmografia – rientrano senza troppe eccezioni nei canoni del genere, mescolando un po’ di pathos e di commedia. Ma nessuno è mai stato come Ferris Bueller. Nessuno, neanche lo strafatto Jeff Spicoli interpretato da Sean Penn in Fast Times at Ridgemont High, ha mai intaccato lo strapotere di Ferris Bueller, cui presta corpo e voce un Matthew Broderick mattatore come non mai.
Proprio dopo aver incardinato il teen-movie in un codice decodificabile, sottolineando l’esistenza di tipologie riconoscibili di personaggi in Breakfast Club, Hughes inventa di sana pianta un eroe che non ha radici evidenti ma figlierà eredi a getto continuo dal 1986 in poi.

Il preside di Breakfast Club pensava di avere in punizione, per rimanere ai caratteri maschili, un atleta, un cervello e un criminale? Ebbene, Ferris Bueller non è un criminale, per quanto ami raggirare un po’ tutti, perfino il suo migliore amico; non è neanche un atleta, e c’è da scommettere che durante le ore di ginnastica ha sempre trovato il modo per darsi malato (dopotutto ha convinto l’intera scuola di essere in punto di morte…); è sì un cervello, con una certa dimestichezza con computer e affini (una reminiscenza dello splendido Wargames di John Badham per Broderick? Chissà…), ma senza tutte le paranoie nerd che rendono insopportabile la routine scolastica al povero Anthony Michael Hall recluso il sabato in biblioteca.
Non è ricco, Ferris Bueller, per quanto la sua sia una famiglia della classe media, ma non è neanche un prodotto del sottoproletariato urbano. Non si droga, non ha messo su una rock band, non sogna di attraversare gli States in autostop. Prima di Una pazza giornata di vacanza non è mai esistito un altro Ferris Bueller, dopo chiunque vorrà assomigliare a lui, senza riuscirci. Hughes crea dal nulla un ragazzo che nessuno aveva mai pensato potesse esistere, un adolescente dandy, saccente e un po’ citazionista che è il prototipo di un’America metà liberista metà liberale, in una fase di opulenza inevitabilmente passeggera.

Proprio queste qualità giustificano il superamento della quarta parete, con Ferris che si rivolge direttamente alla camera, e dunque al pubblico in sala. Quello che può apparire un vezzo o un escamotage è il modo in cui Hughes riesce a fare incontrare la screwball comedy (di cui in parte il film è un aggiornamento) con gli stilemi della nouvelle vague. È un Godard giovanile cantato da John Lennon, Una pazza giornata di vacanza: la fuga senza senso né destinazione per la città è una versione scanzonata di Fino all’ultimo respiro, e la visita all’Art Institute of Chicago rimanda alla mente la folle corsa nel bel mezzo del Louvre dei tre protagonisti di Band à part. Tre anche loro, due ragazzi e una ragazza come il triangolo scaleno Ferris/Sloane/Cameron. In un crescendo di trovate che trova il suo punto di non ritorno nella magniloquenza del Von Steuben Day e della parata come sempre vampirizzata da Ferris, Hughes firma un poemetto amoroso verso Chicago, lo spirito della sua popolazione, l’architettura, la modernità che sposa l’antico senza annientarlo. Un film che va di fretta (perché, come educa i suoi spettatori Ferris “Life moves pretty fast. If you don’t stop and look around once in a while, you could miss it”) ma che è impossibile scacciare dalla mente. Così ci si ritrova a fissare i titoli di coda che scorrono sullo schermo, fino a quando non è lo stesso Ferris a sbucare di nuovo fuori per mandare via il pubblico. “A casa”, è l’ultima sentenza.

Info
Una pazza giornata di vacanza, il trailer originale.
Una clip di Una pazza giornata di vacanza.
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