Addio a Isao Takahata
Ci ha lasciato indietro, a guardare la Luna, Isao Takahata. Regista, intellettuale, cofondatore dello Studio Ghibli, autore di serie intramontabili (Heidi, Anna dai capelli rossi) e di meraviglie misconosciute (Goshu, il violoncellista, The Story of Yanagawa’s Canals). Una carriera che inizia negli anni Sessanta alla Toei, che attraversa la storia dell’animazione giapponese, che regala a tutti noi opere come La tomba delle lucciole e La storia della principessa splendente. Tristi come solo dei tanuki posso esserlo, gli dedichiamo questo righe.
Ricordi struggenti
Il fiore cade
alzo il mio sguardo
splende la luna.
– Baikō
Da dove iniziare? Forse dalla fine, dalla corsa infuriata disperata straziante della principessa splendente; dal suo lungo addio, ultimo saluto prima di tornare alla Luna; dal prodigio pittorico di Kaguya-hime no Monogatari, per noi La storia della principessa splendente, chiusura di un cerchio che immaginavamo credevamo speravamo immortale. No, purtroppo no, e proprio lui ce lo aveva raccontato più volte. Ci ha lasciato Isao Takahata, oramai provato dagli anni, e non sappiamo da dove iniziare. Dove e come ricominciare.
L’inizio. La fine. Come non pensare all’incipit e alla circolarità tragica de La tomba delle lucciole? Eccolo, un altro capolavoro. Allora ci si potrebbe immergere nella filmografia di Takahata, per cercare una sorta di sollievo, per gridare a quelli che la Luna non la guardano mai che Isao Takahata era un cineasta straordinario, un intellettuale raffinato, generoso. Un altro inizio, un altro pianto, un altro grido: Il segreto della spada del sole (1968), la sua prima regia cinematografica1. La sequenza d’apertura con Hols e i lupi, il gigante di roccia, la spada arturiana: animazione avanti di decenni, puramente cinematografica, uno strappo impensabile rispetto alle pellicole tradizionali e fin troppo accorte della Tōei Dōga. E infatti fu un disastro commerciale, lo spartiacque tra la faticosa e apparentemente interminabile gavetta alla Toei e le avventurose produzioni degli anni Settanta – quante storie, quanti sentieri: Toei, Nippon Animation, TMS, Topcraft, Studio Ghibli.
Di disastri commerciali, testardamente inseguiti, è piena la filmografia di Takahata. Ed è giusto così: se Miyazaki era ed è ancora un animale da box office, il frontman che raccoglie premi e copertine, Takahata ha percorso altre strade. Il titolo forse più indicativo, folle e misconosciuto, è The Story of Yanagawa’s Canals (Yanagawa horiwari monogatari, 1987), la sua prima regia ghibliana. Un documentario. Un documentario di quasi tre ore. Doveva essere un film d’animazione, ma i canali di Yanagawa e la fierezza dei suoi abitanti convinsero Takahata che invece di una storia si doveva raccontare la Storia. Un atto politico, l’ennesimo passo di un percorso che ha sempre cercato di raggiungere – di realizzare – l’utopia. Anche questo è (stato) lo Studio Ghibli: l’afflato pacifista, ecologista e femminista di Nausicaä della Valle del vento (Kaze no tani no Naushika, 1984); la vita e le lotte dei minatori gallesi di Laputa – Il castello nel cielo (Tenkū no shiro Rapyuta, 1986); la disumana quotidianità in tempo di guerra de La tomba delle lucciole; la strenua resistenza dei tanuki e dei loro boschi in Pom Poko (Heisei tanuki gassen Ponpoko, 1994), che riecheggiano altre battaglie, altri scontri, altre sconfitte2.
Nel momento stesso in cui il regista più anziano si recò a Yanagawa per la rituale attività di documentazione, si appassionò a un diverso sviluppo della storia. Il guizzo è geniale: attraverso i suoi canali la città sarà la vera protagonista e dovrà sintonizzarsi sulla memoria per viaggiare in profondità nell’animo umano […] canali che Takahata filma accendendo e spegnendo attimi di incommensurabile poesia (merito anche della suggestiva musica di Michio Mamiya che già sembra prefigurare il clima emotivo di Una tomba per le lucciole). Lo fa, da uomo maturo delle immagini, riscattando la preservazione che di quei canali (e quindi della memoria storica) fanno i cittadini di Yanagawa, soprattutto in prospettiva ecologista.3
Il cinema di Isao Takahata è prima di tutto un atto politico, intellettuale, artistico. Un atto d’amore nei confronti dell’animazione, dei suoi autori – La storia della principessa splendente è un dichiarato omaggio a Frédéric Back, è poesia visiva che travalica i paletti dei cortometraggi e mediometraggi, esondando oltre le due ore. Politica culturale, umanista, idealista, fieramente comunista. Come il suo impegno per la diffusione nel Sol Levante di pellicole come Kirikù e la strega Karabà e Principi e principesse di Michel Ocelot, Le roi et l’oiseau di Paul Grimault e molte altre. Animazione di qualità, senza confini, internazionalista – non a caso, il nuovo ciclo ghibliano ripartirà da La tartaruga rossa di Michaël Dudok de Wit, coprodotto con le francesi Prima Linea Productions, Why Not Production e Wild Bunch. Takahata è saggista, è curatore di mostre, è innamorato da sempre della letteratura francese. Lui, Miyazaki e Toshio Suzuki hanno edificato mattone dopo mattone un luogo impossibile, hanno realizzato e difeso per anni un’utopia apparentemente irrealizzabile: lo Studio Ghibli, il Museo Ghibli, la sala cinematografica a misura di bambino, la mostre dedicate a giganti come Jurij Norštejn, la scuola per animatori e il loro impiego fisso, la qualità abbacinante delle animazioni e la profondità e centralità della narrazione, la conquista del box office e la difesa a spada tratta di quei valori che ai tempi de Il segreto della spada del sole erano stati (quasi) spazzati via. Tanto, tantissimo, impossibile da raccontare in questo ultimo saluto…
Da dove iniziare? Come finire? È impossibile raccontare Isao Takahata. Lo possono fare solo le immagini, i film, le serie televisive. Una storia/filmografia che parte dai primi anni Sessanta, sembra arrestarsi con Il segreto della spada del sole, rifiorisce coi deliziosi e fanciulleschi Panda! Go, panda! (Panda kopanda, 1972) e Il circo sotto la pioggia (Panda Kopanda amefuri sākasu no maki, 1973), rapisce più di una generazione con la serialità e le linee chiare e morbide di Heidi (Arupusu no shōjo Haiji, 1974), Marco – Dagli Appennini alle Ande (Haha o tazunete sanzen ri, 1976) e Anna dai capelli rossi (Akage no An, 1979), dando il via al ciclo del World Masterpiece Theater (Sekai meisaku gekijō) della Nippon Animation e a uno stile grafico e cromatico che sarà la base di partenza dello Studio Ghibli e fonte d’ispirazione per buona parte dell’industria degli anime – si vedano i vari Makoto Shinkai (Oltre le nuvole, il luogo promessoci, 5 centimeters per second e Your Name.), Mamoru Hosoda (Summer Wars, The Boy and the Beast) e Sunao Katabuchi (Mai Mai Miracle, In questo angolo di mondo).
La filmografia di Takahata è fatta di scelte grafiche che cambiano, lui che è regista e non animatore, libero dalla perfezione miyazakiana. Accumuliamo immagini, ricordi struggenti: dalla certosina ricostruzione di Genova di Marco alle linee selvagge della Principessa splendente; dai fondali pittorici del gioiello Goshu, il violoncellista (Sero hiki no Gōshu, 1982) alla sottrazione e al minimalismo haiku de I miei vicini Yamada (Hōhokekyo tonari no Yamada-kun, 1999); dal gusto caricaturale di Chie the Brat (Jarinko Chie, 1981) al neorealismo animato de La tomba delle lucciole. Ed ecco che torniamo alla fine all’inizio, a Seita e Setsuko, alla scatola di caramelle. Alle lacrime. Agli addii.