Bumblebee

Bumblebee

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Tra il prequel e il reboot, Bumblebee prova a instillare nella saga di lungo corso dei Transformers un taglio a suo modo più “piccolo” e intimo; ma l’operazione, complice uno script privo di guizzi e un gusto vintage un po’ pedante, non va oltre l’anonimo blockbuster per famiglie.

Una trasformazione a metà

Fuggito dal pianeta Cybertron, dove i suoi Autobots sono impegnati in una guerra coi rivali Decepticons, il giovane robot B-127 giunge sulla Terra; qui, inseguito da un emissario nemico, l’automa viene danneggiato e privato della voce e della memoria. Assunte le sembianze di un vecchio Maggiolino Volkswagen, e nascostosi in un deposito di auto usate, il robot viene trovato e “adottato” da Charlie, una ragazza adolescente alla ricerca del suo posto nel mondo… [sinossi]

Se la ormai più che decennale saga dei Transformers, roboante trasposizione a firma Michael Bay di un media franchise molto popolare nella seconda metà degli anni ‘80, sembrava aver esaurito tanto il suo (già esiguo) potenziale di idee, quanto quello commerciale (trascinato verso il basso dai deludenti incassi del recente Transformers – L’ultimo cavaliere), il tentativo di Bay e del co-produttore Lorenzo di Bonaventura, con Bumblebee, è quello di svecchiarne almeno in parte i temi, offrendo un punto di vista un po’ diverso ai fans delle coriacee action figures anni ’80. L’idea, che è in parte quella di un prequel/spin-off, in parte di un vero e proprio reboot (l’ambientazione negli eighties mal si lega con quella contemporanea della saga originale) è portare nel franchise una dimensione per quanto possibile più “piccola”, che nel risalire alle origini della saga (l’arrivo del primo Transformer sulla Terra e il suo incontro con una ragazzina) fornisca personalità e spessore un po’ più consistenti ai guerrieri meccanici creati dalla Takara nel 1984.

Guardando le prime sequenze di Bumblebee, successive al rutilante prologo ambientato sul pianeta Cybertron, si ha l’impressione che il regista Travis Knight (patron della Laika Entertainment e regista del folgorante Kubo e la spada magica) scelga di giocare sul sicuro, accodandosi alla recente tendenza al revival di atmosfere, simboli e feticci degli anni ’80. Scelta che, se da un lato è giustificata dalla volontà di recuperare le radici originarie di un franchise (che fece il suo esordio sui palinsesti in un generale periodo di riflusso di tutto il contesto – quello dell’animazione nipponica robotica – di cui rappresentava un epigono), dall’altro fa sorgere il giustificato dubbio di un certo compiacimento, di una scelta più dettata da calcolo che da reali esigenze narrative. Viene da pensare, insomma (e la recente trasposizione filmata di It ne è stata ulteriore prova) che gli anni ’80, ormai sempre più decontestualizzati e ridotti alla mera mostra di icone, vengano trattati come semplice parte di un “formato”, utilizzati nell’ambientazione quasi come il template di una pagina web, più o meno intercambiabile.

In Bumblebee, in effetti, al di là di alcuni riferimenti più riusciti e funzionali (il ripetuto richiamo a Breakfast Club, per esempio, o il robot-automobile che comunica tramite le canzoni dell’autoradio) il coté anni ’80 appare un po’ posticcio, tutto esteriore, dalla musica di Smiths e Tears for Fears profusa a piene mani alle acconciature d’epoca, fino a qualche dettaglio filologicamente discutibile (nel salotto della protagonista vediamo uno dei tanti epigoni casalinghi del videogioco Pong… nel 1987). Riferimenti sorretti, oltre che dalla già citata origine del franchise, da un tono e un mood che vorrebbero richiamarsi direttamente al cinema di quegli anni, a titoli impressi nella memoria collettiva come Corto circuito ed E.T. – L’extraterrestre (richiamato esplicitamente nel film); nonché a quel senso di meraviglia nell’incontro con l’alterità che, sorretto dall’ottimismo tipico del periodo, caratterizzava molto di quel cinema. E Bumblebee, supportato da una Hailee Steinfield che, alle prese con un personaggio che certo non brilla per complessità psicologica, cerca comunque di fare il suo, prova a ricostruire almeno parzialmente quelle atmosfere, ricercando un equilibrio tra un cinema più esplicitamente dedicato alle famiglie, e le esigenze di un franchise che comunque vuole la sua dose di CGI, scontri tra esseri meccanici, e un certo quantitativo di (più o meno innocua) violenza.

Il tocco di Travis Knight (che in Kubo e la spada magica aveva mostrato consapevolezza e inventiva nel rielaborare un materiale altrettanto “storicizzato”), in questa operazione si nota molto poco, forse a causa di una sceneggiatura che procede a balzi e schematismi, inseguendo un filo narrativo esile e disinteressandosi del contorno (il subplot familiare e quello sentimentale sono irritanti nella loro pochezza). Nel film non si ravvede alcun guizzo, nessun tentativo di delineare più a fondo la società e la natura dello scontro in cui è coinvolto il protagonista meccanico, né sostanziali deviazioni dal canovaccio standard del filone; il regista tenta di sfruttare il mutismo del robot e l’isolamento della protagonista per imbastire un discorso sulla diversità e sulla comunicazione tra freaks (guardando anche a un classico moderno dell’animazione come Il gigante di ferro); ma i suoi margini d’azione sono (evidentemente) molto limitati. Il preteso carattere intimo del soggetto (così come la sua voglia di rifarsi a una sci-fi più piccola e problematica) si scontra con un formato che mal digerisce le pause, le parentesi riflessive, ma anche i momenti di asprezza e rovesciamento di prospettiva: l’unico episodio in cui Bumblebee ricorda la sua natura guerriera, perdendo il controllo delle sue azioni e rispondendo all’aggressione umana, è infatti brevissimo e privo di conseguenze.

Blockbuster meno costoso e dal taglio più “natalizio” (coerentemente al suo periodo di distribuzione) rispetto agli altri episodi della saga, proposta di riavvio di un franchise che sembrava instradato verso la sua naturale conclusione, Bumblebee sembra così mancare, nonostante i buoni propositi, il bersaglio: confermando che, per riscrivere e reinventare icone che nascono già coi loro limiti intrinseci, bisogna a volte avere il coraggio (che non è di tutti) di tradirle fino in fondo.

Info
Il trailer di Bumblebee.
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